di GIORGIO BOCCA
Ha fatto scandalo l'intervento di Saviano sulla Padania mafiosa e sulla Lega come terreno di caccia delle mafie calabresi e siciliane. Ma che la politica basata sulle tessere e sulle clientele, come viene praticata in Italia, sia un terreno adatto alle infiltrazioni mafiose non è una novità. Già nell'Italia rossa e in Toscana le clientele dei mezzadri erano un'istituzione rispettata e ritenuta il nuovo ordine: "Il capitalismo democratico è quello diretto dei comunisti".
E similmente per i cattolici integralisti di Comunione e Liberazione "il capitalismo buono è quello diretto dai seguaci di Don Giussani".
Che le mafie, salite dal meridione, ambiscano ad entrare in queste clientele è normale, che
Certo, il federalismo all'italiana favorisce le clientele, basti pensare alle centinaia di finti ciechi mantenuti dalle amministrazioni della Campania, alle migliaia di assunti dalla burocrazia siciliana e della Lucania, più numerosi
percentualmente di quelli di Roma.
Gli sdegni e le proteste dei leghisti contro le accuse di Roberto Saviano sono poco convincenti, piuttosto si rafforza l'idea che nella società di tipo mafioso, dove la libertà di concorrenza è sostituita dai monopoli clientelari, dove la libertà di opposizione e di critica tace di fronte alla rete dei privilegi, la consorteria sia un portato storico, la difesa dalla legge del più forte, anche nel peggio, una forma di protezione per i non protetti e per i non riconosciuti. Qualcosa di simile ai Nap, Nuclei armati proletari, che negli anni di piombo assunsero la protezione dei derelitti e dei delinquenti.
Come ha osato dire Saviano che il virtuoso Nord celtico è mafioso? Eppure per esser d'accordo con lui basta girare per Milano e nell'hinterland. I mafiosi non solo sono visibili, ma padroni. Andate dal famoso ristorante di pesce di Città Studi, a capo del salone principale c'è una tavolata di mafiosi, non solo riconoscibili ma dichiarati, ostentati: una tavola lunga cinquanta metri. Alla destra le donne, fimmine cun fimmine, alla sinistra gli uomini, masculi cun masculi.
Al centro il capo, un vecchio con occhi fissi in un al di là mafioso, pallido, gracile, ma circondato da picciotti pronti a morire per lui. A un suo cenno i camerieri rinnovano le gioie della cornucopia, portano pesci preziosi, verdure raffinate. Noi stiamo a tavoli trascurati dai camerieri, tutti attenti a servire i mafiosi, arrivati in questa terra di marcite e di risaie dalle montagne calabresi o siciliane per rinviare, forse di secoli, la mitica unità d'Italia, per riaffermare la sua disunità reale.
È curioso come nell'era del mercato globale, senza confini, delle industrie senza patria, delle nazioni senza eserciti siano la mafia e la malavita a ricreare dei corpi sociali distinti, delle discipline e delle regole.
A Milano, città del capitalismo cosmopolita, dove una banca può comprare o vendere beni in ogni parte del mondo, dove i grandi ricchi sono al di sopra delle leggi, paradossalmente le mafie rappresentano ancora la diversità, la differenza fra il legale e l'illegale. Quella sera al ristorante di pesce vicino a Città Studi di Milano io e la mia famiglia di borghesi, cresciuti al suono degli inni nazionali, abbiamo potuto guardare i nuovi concittadini, se non i nuovi padroni: i mafiosi della 'ndrangheta o della mafia saliti al Nord e diventati in pochi anni non solo i padroni del denaro e dell'abbondanza, ma della tavola d'onore. Al loro servizio i camerieri zelanti, noi nei tavoli periferici, in attesa di essere serviti. Cose che accadono al centro di Milano, cose più che normali nelle periferie. Ci sono alberghi e ristoranti sulle strade per Lodi o per Vigevano dove alle due di notte, in notti di piogge e di neve, trovi tavoli imbanditi per i mafiosi, che discutono sui loro affari. A Corsico, a Mortara, a Mede, nei ristoranti trovi, se ti va bene, un tavolo d'angolo, lontano da quelli degli uomini d'onore.
E i giornali della borghesia, diventata socia d'affari della mafia, si lamentano e accusano Saviano di essere un comunista che offende l'onore del Nord operoso. A Milano i giovani continuano a fare la movida notturna, a girare per la città come in casa loro. Noi anziani ci muoviamo con cautela, in terra che ci sembra nemica. Forse abbiamo ragione entrambi. La vita continua.
(20 novembre 2010)
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