di Marco Travaglio
L’altra sera mi viene incontro una signora e mi dice: “Mi capita di pensare sempre più spesso a Indro Montanelli. A lei no?”. Anche a me, cara signora. Penso a lui ogni volta che apro il Pompiere della Sera e al posto dei suoi editoriali trovo quelli di Panebianco, Ostellino, Galli della Loggia, Battista e, al posto della sua “Stanza”, trovo la rubrichina paracula di Sergio Romano (ieri questo ambasciatore da Ferrero Rocher assolveva Craxi e Andreotti dalle loro responsabilità sul debito pubblico, attribuendolo al destino cinico e baro).
Penso a lui quando sento i campioni della “nuova destra” finiana scoprire con modico ritardo chi è l’uomo, anzi l’ometto che hanno servilmente servito per quasi vent’anni.
Penso a lui quando leggo il Giornale da lui fondato e faccio il confronto con quel che è diventato (da ieri Feltri raccoglie firme non contro i camorristi, ma contro Saviano).
Penso a lui quando vedo il Tg1 e sento dire che Minzolini è un giornalista.
Penso a lui, soprattutto, quando vedo all’opera questo centrosinistra che il grande Indro fu costretto a votare e sostenere, causa B., negli ultimi 7 anni della sua vita. Non mi riferisco agli elettori, che anche ai tempi del Montanelli anticomunista lo leggevano, magari di nascosto, apprezzando e invidiando la sua libertà totale e la sua scrittura meravigliosa. Mi riferisco ai partitocrati, intellettuali e artisti “organici” al seguito, i polli di batteria che han sempre cantato nel coro, i giullari di corte che negli anni ‘70 bazzicavano le Botteghe Oscure perché l’aria tirava da quella parte, poi quando il vento cambiò diventarono craxiani e poi berlusconiani o dalemiani (fa lo stesso, basta conservare i lauti contratti con Mediaset, Mondadori, Einaudi, Medusa, Endemol), e ora tifano per il governo tecnico di unità nazionale per uscire dal berlusconismo senza vincitori né vinti, magari regalando un bel salvacondotto a B., ma sì, chissenefrega se corrompeva giudici o prendeva i soldi dalla mafia, pari e patta e un bacio sopra.
Questi signorini col culetto sempre al caldo non hanno mai capito chi fosse Montanelli.
Abituati a voltar gabbana un giorno sì e l’altro pure, pensarono che l’avesse voltata anche lui nel ‘94, quando ruppe con B. per una questione di principio (il conflitto d’interessi): infatti gli diedero subito il benvenuto nel club, accreditando la leggenda della sua conversione alla sinistra in articulo mortis.
Non li sfiorava neppure l’idea che fosse rimasto l’anarchico conservatore individualista di sempre, refrattario a ogni conformismo, corte e coro.
Lo stesso che, fascista, lasciò il fascismo nel 1937, all’apogeo del regime, mentre tutti correvano a mettersi a vento, e pagò la rottura con due anni di galera e una condanna a morte per mano nazifascista.
Lo stesso che nel dopoguerra denunciò il conformismo dell’antifascismo, quello che fece dire a Flaiano: “In Italia esistono due fascismi: quello propriamente detto e l’antifascismo”.
Lo stesso che, prima firma del Corriere, abbandonò il suo giornale che virava a sinistra per fondare un Giornale controcorrente.
Lo stesso che, quando B. divenne suo editore e si legò a Craxi, prese a bombardare Craxi.
Lo stesso che, quando il suo editore entrò in politica, rifiutò di trasformare il Giornale in quel che poi è diventato e, a 85 anni, fondò
Lo stesso che riconobbe sempre “un solo padrone: il lettore”.
L’altra sera gli autori di Vieni via con me han fatto leggere al povero Silvio Orlando una listarella di cose incredibili fra cui questa: “Che quelli di sinistra fossero entusiasti prima di Montanelli e poi di Fini”. In realtà non c’è nulla di incredibile. Se a sinistra molti simpatizzano per Fini è perché Fini (come prima Bossi) sta buttando giù B., mentre la sinistra l’ha sempre tenuto su. E se a sinistra molti simpatizzarono per Montanelli è perché ha detto, su B., cose che nessuno a sinistra ha mai osato dire. Non perché fosse diventato di sinistra. Ma perché era rimasto un uomo libero. Una cosa che questa sinistra non riesce neppure a immaginare.
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