giovedì 18 novembre 2010

LA MIA VITA DENTRO VA A SCUOLA



Ieri, dalle ore 10 a fine manifestazione, sono stato ospite del Liceo Scientifico Benini, su invito del prof. Domenico Rischitelli, che il 14 ottobre era fra i quattro gatti che vennero alla presentazione del mio libro “La Mia Vita Dentro. Memorie di un direttore di carceri”, reperibile presso la libreria Sommaruga di Lodi.

Quella sera Rischitelli mi invitò a venire a parlare del libro presso la sua scuola, invito che ho fatto fatica ad accogliere, sia perché i miei ricordi scolastici non sono dei migliori sia perché non poco deluso dall’indifferenza dei lodigiani. Giusto per farvi capire, il 3 novembre, stimolato indirettamente da un conoscente cui il libro, che io gli avevo regalato, era piaciuto, ho segnalato al Rotary Club lodigiano, messaggio letto il 5 successivo, l’opportunità di presentare il libro ai soci, e il 16 successivo la presentazione a Padova per il 30 novembre ore 17.30 (messaggio che ho inviato anche a lei).

Io non sono socio del Rotary né mai lo sarò, ma non per questo io sono giudicato immeritevole di una risposta, anche se sicuramente negativa.

Invece, il silenzio!

Torniamo al Liceo Scientifico di Melegnano. Presente alla manifestazione è stato anche il dr. Luigi Pagano - Provveditore Regionale delle carceri lombarde – la preside prof.ssa Adriana Abriani e due quinte classi dell’istituto.

Devo dire che il prof. Rizzitelli aveva organizzato per bene la ‘conferenza’ (tale è divenuta oltre le intenzioni). Una studentessa aveva fatto una ricerca sintetica ma esaustiva i cui numeri denunciano il disastro delle carceri italiane, a iniziare dal sovraffollamento. Quindi il Rischitelli mi chiedeva del ritratto da me fatto a una persona detenuta nel carcere di San Gimignano, inserito nel libro, persona scarcerata per concessione della liberazione condizionale, da me proposta come premio, e venuta a mancare nel 1995.

Aveva attratto il gentile professore un principio da me enunciato a pag. 59 della prima edizione, laddove io scrivo che il detenuto per quanto responsabile di reati efferati e che possono tendenzialmente farlo assomigliare a una belva, era e rimaneva in definitiva una persona, come tale da considerare e trattare sempre.

Mancando il possesso di questo sentimento ogni direttore di carcere dovrebbe cambiare mestiere, ma non lo fa.

Esaurito l’argomento libro è iniziata la serie di domande, poste da cinque o sei studenti, mentre tutti altri non facevano mancare il proprio interesse. Qui è stato i turno del dr. Pagano, il quale, essendosi laureato in giurisprudenza con una tesi in criminologia della scuola del prof. Alfredo Paolella, ucciso dalle BR nel 1978, ha utilizzato e sta utilizzando il proprio sapere per migliorare la condizione umana ed esistenziale nelle carceri lombarde, laddove possibile, riferendosi esplicitamente alla nuova casa circondariale di Bollate (la struttura penitenziaria più grande della UE) ed enunciando, in controtendenza a quanto si pensa oggi, un assunto (al quale già fece riferimento il direttore generale Niccolò Amato) che la sicurezza non deve essere una ossessione a cui sacrificare ogni iniziativa lavorativa interna al carcere, riferendosi a mo’ di esempio al carcere di Bollate, che ha 900 posti di capienza, non è sovraffollato e ammette al lavoro (interno ed esterno) circa la metà delle presenze: un risultato non da poco che compensa qualche, per fortuna lieve, incidente di percorso.

Un professore, del quale non ho rilevato il nome, anzi era il genitore di uno studente, ha chiesto se la presenza nel carcere di Opera di oltre 100 detenuti a regime di sorveglianza speciale (il 41 bis) fosse da mettere in relazione con la supposta presenza in Lombardia di organizzazioni mafiose, forse stimolato dalla recente polemica fra Roberto Saviano e Roberto Maroni. La mia risposta è stata negativa, si utilizzano strutture penitenziarie sicure per organizzazione (personale di polizia penitenziaria, direttore e provveditore all’altezza del compito). Quindi ha chiesto se il confino di polizia, un retaggio del fascismo, utilizzato anche dopo la caduta della dittatura mussoliniana, per il quale un mafioso lo si allontanava dal suo territorio nell’illusione che ciò lo neutralizzasse. Illusione che è stata percepita troppo tardi, quando ormai la cellula infetta aveva infettato anche l’organismo sano in cui era stata trapianta.

Per concludere, i giovani e le ragazze hanno rinunciato anche alla pausa rituale a fine dell’ora di lezione.

Luigi Morsello – già direttore delle carceri di Lodi –IdV Lodi

2 commenti:

Anonimo ha detto...


E' stata dunque per te una piacevole e imprevista esperienza.

Come ti sembrano i giovani studenti liceali di oggi, rapportati a quando lo eri tu al Liceo Classico di Eboli?

Capisco che il tuo è stato un contatto occasionale, ma sono curiosa di conoscere più in dettaglio l'impressione che ne hai ricevuto.
A presto
Madda

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

PIU' DISINVOLTI! MENO RIMPICOGLIONI DI NOI