giovedì 18 novembre 2010

Marchionne: la crisi o c'è o non c'è


TEODORO CHIARELLI

Stabilità e chiarezza. E' quello che manca alla politica italiana, ed è quello che torna a chiedere a gran voce il numero uno del più importante gruppo industriale del Paese. Sergio Marchionne, a Los Angeles per partecipare al lancio della 500 negli Stati Uniti, non usa giri di parole, come già aveva fatto il 2 ottobre scorso a Firenze, al convegno dei Cavalieri del lavoro: «Serve stabilità e chiarezza a livello politico per fare le cose, perché la situazione attuale non aiuta la gestione industriale del Paese, impatta sull'atteggiamento dei consumatori e dei clienti. Abbiamo bisogno di certezze».

Ma l'amministratore delegato della Fiat (e di Chrysler) fa di più, punta il dito contro la mancanza di serietà che si avverte in politica. Gli chiedono di pronunciarsi su una possibile crisi di governo. «Una possibile crisi di governo? - sbotta - O ce l'abbiamo o non ce l'abbiamo. E' questo il problema: la mancanza di chiarezza è quello che innervosisce il mondo intero. Non è un bel modo di gestire il Paese. Le persone serie queste cose non le fanno».

E comunque, sostiene Marchionne, l'instabilità politica è un problema europeo, non solo italiano, e non aiuta il mercato dell'auto, drogato per due anni con gli incentivi. «Ora la cuccagna è finita - spiega -. È stata staccata la spina e adesso ci sono dodici mesi d'inferno, gli ultimi nove del 2010 e i primi tre del 2011. Nessun costruttore europeo guadagna soldi. Si è visto benissimo l'impatto a livello occupazionale in Italia. A Mirafiori e negli altri impianti ho sempre detto che avremmo adeguato la produzione alla domanda. C'è un problema di sovracapacità produttiva a livello europeo». In un report gli analisti finanziari di Morgan Stanley avevano affermato che da un incontro con l'Ad del Lingotto era emersa con chiarezza l'intenzione di Fiat di fondersi con Chrysler e di vendere quote di Ferrari e Magneti Marelli e l'intenzione di cedere Alfa Romeo.

Marchionne puntualizza. «Non ho mai detto che avremmo fuso Fiat e Chrysler: è una delle possibilità, così come è una delle possibilità quella di monetizzare una parte della Ferrari, ma anche una parte della Magneti Marelli. Sono tutte cose tecnicamente possibili e strategicamente ottenibili dalla Fiat, ma non abbiamo deciso nulla». Poi spazza via anche le indiscrezioni su Alfa Romeo: «Non è in vendita. Ma, certo, se mi offrissero un assegno da 20 miliardi mi siederei al tavolo, ci penserei». L'Ad torna quindi su Mirafiori. «L'obiettivo è quello di fare una proposta che spero si concluderà prima di Natale, perché ovviamente non possiamo più aspettare. Siamo arrivati agli sgoccioli: continuo a dire a tutti quanti che il tempo corre e che noi dobbiamo investire per andare avanti. Se riusciamo a trovare le condizioni per farlo e garantirci la governabilità degli stabilimenti in Italia, lo facciamo. Se non ci vogliono ce lo dicano: non è una minaccia, ma sfortunatamente dobbiamo produrre. La 500 qui non ha avuto un minimo di intoppo a livello sindacale: è stata lanciata nei tempi previsti e con gli stessi costi. Questo tipo di affidabilità deve iniziare a scaturire anche in Italia» Alla fine Marchionne si sfoga. «Sono uno dalla pelle tosta, che pensa che urlando non si risolve nulla - dice - Sono un italiano, sì, ma fesso no». Insiste che «Fiat non ha un problema italiano». E aggiunge che non riconosce «la Fiat che sto gestendo nelle descrizioni nè dei giornali, nè dell'opinione pubblica e nemmeno di alcune posizioni politiche: siamo molto più semplici e industriali di quanto pensano gli altri».

L'ultima stoccata è rivolta alla Lega per le accuse dei giorni scorsi alla scuderia del Cavallino. «In nessuna altro Paese sarebbe mai successo: se c'è un valore indiscusso nel mondo è la Ferrari e noi andiamo a menarcela. I valori italiani si difendono sul prodotto e non parlando».

Nessun commento: