PAOLO COLONNELLO
«Si deve sapere che io non ho mai dato alcuna autorizzazione di affido della minorenne». Rischia di essere il classico granello di sabbia in un ingranaggio giudiziario delicato: quello dell’inchiesta sulla prostituzione nelle ville del Premier. Ma ieri il pm dei minori Anna Maria Fiorillo, ovvero il magistrato cui si rivolse
Una «tutela» che non si capisce bene come potrebbe essere esercitata visto che si sta parlando di un’indagine ancora aperta e nella quale il Consiglio Superiore della Magistratura, che oggi stesso convocherà sul caso il comitato di presidenza, dovrà valutare attentamente come intervenire.
Anche perché, se il pm Fiorillo si presentasse come "parte lesa", potrebbe esserci il rischio in futuro di un trasferimento dell’inchiesta a Brescia, che diverrebbe competente per territorio. Sembra di capire insomma che il magistrato non voglia rimanere con il cerino in mano perché, sostiene, la sera tra il 27 e il 28 maggio, quando dalla Questura le telefonarono sul cellulare di servizio per chiederle se l’allora minorenne Ruby-Karima poteva essere affidata all’igienista dentale del premier e indicata quella notte dal Cavaliere come «l’incaricata della Presidenza del Consiglio» per occuparsi della giovane escort, lei come pm di turno non diede alcuna autorizzazione.
Ma anzi, avrebbe detto che andava affidata a una comunità. E fa niente se i primi risultati dell’inchiesta, i cui approfondimenti sono stati condotti dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini in persona basandosi anche su una relazione inviata dal capo della Procura dei Minori, hanno concluso che la procedura identificativa di Ruby e il suo affidamento, almeno a livello di agenti e funzionari di turno, venne seguita correttamente, compreso il piano dei rapporti con il magistrato. Il pm Fiorillo si ostina a sostenere che le cose non andarono così anche se quella sera, a dirla tutta, i contatti tra Questura e pm avvennero solo telefonicamente e lo stesso magistrato ha dichiarato di non ricordarsi esattamente il contenuto di quelle telefonate.
Evidentemente però ne ha ben presente il senso se ieri si è presentata davanti alle telecamere, che si trovavano al tribunale dei minori per altri motivi, e ha annunciato, che si sarebbe rivolta al Csm: «In quanto le parole del ministro Maroni, che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati, non corrispondo a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso». E poi, ancora più dura: «Non dico più niente, parlerò eventualmente quando il Csm sarà intervenuto. Ma penso sia importante il rispetto delle istituzioni e della legalità, cose a cui ho dedicato la mia vita e credo profondamente. Proprio per questo rispetto, quando le vedo calpestate parlo, perché altrimenti non potrei più guardarmi allo specchio». A irritare il pm sono state in particolare le parole del ministro Maroni alla Camera e al Senato nella sua relazione sui fatti alla Questura di Milano il 27 e il 28 maggio.
Anche se poi nella lettera inviata al Csm ieri parla di semplici «discrepanze» da chiarire. Intanto le indagini sul giro di prostituzione che ha portato sul registro degli indagati l’impresario Lele Mora e il direttore del Tg4 Emilio Fede, nonché la consigliera regionale Minetti, proseguono nel massimo riserbo. All’esame dei pm, in un fascicolo al momento ancora separato, le carte spedite da Palermo con i verbali di Perla Genovesi, ex assistente di un senatore Pdl e trafficante di droga. Nei tabulati e nelle intercettazioni raccolte dalla procura di Palermo, risultano ben 48 telefonate della donna ad Arcore, alcune delle quali dirette a cercare il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi.
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