Quando si sente parlare di “questione morale” bisognerebbe reagire come Goebbels al sentir nominare la parola “cultura”: metteva mano alla pistola. Intendo con ciò dire che non esiste una “questione morale” nell’Idv di Di Pietro? Intendo dire che non esiste una “questione morale” nella politica italiana? Intendo dire che non esiste una “questione morale” nell’etica pubblica o nella specifica deontologia di chi fa la mia professione, tra un Boffo e un altro, un Fini e un Belpietro, un Putin e un De Benedetti (cfr. lo speciale di ier l’altro allegato a “Repubblica”)?
No, naturalmente, giacché la questione è sotto gli occhi di tutti e solo tonnellate di ipocrisia impediscono di parlarne seriamente. Il punto è che quella che nel 1981, nell’intervista a Scalfari, un uomo e un politico irreprensibile come Enrico Berlinguer, segretario del più importante Partito Comunista dell’ occidente, definiva come “questione morale in politica” abbinata al bisogno di “austerità nei consumi” è oggi diventata tutt’altra cosa. E facciamo torto anche alla memoria di quel Berlinguer mischiando rozzamente e ipocritamente le carte/parole. Non di questione morale (che richiama quindi il suo contrario nell’immoralità violante dei comportamenti, in politica come altrove) si deve parlare, ma di “questione amorale”: l’aggettivo dopo aver cambiato di segno si è autopolverizzato e quell’alfa iniziale ne fa fede in modo apparentemente irreversibile. Perché un conto è richiamare alla moralità considerandola violata, cosa ben diversa è farlo in assenza accettata di moralità, appunto nell’amoralità condivisa.
Riprendiamo da Di Pietro, il sondaggio di Micromega ecc. Di Pietro sarà pure “dialetto e castigo”, parlerà pure un italiano farcito come un panino ripieno di salumi diversi, ma fesso di sicuro non è. Anzi. Ed è ben consapevole del suo ruolo quando per esempio (ieri) rievocava
Il punto è che battersi per la legalità in una politica consegnata all’illegalità e all’amoralità essendo obbligato (o dedito?) a usare gli stessi metodi crea un cortocircuito da paura, che anzi Di Pietro è riuscito a controllare in qualche modo fino ad ora. Ma lui sa benissimo come stanno le cose. Non potrà dirlo apertamente, ma che ci sia una “questione amorale” nel suo partito, in molti uomini del suo partito, nei comportamenti abituali della politica anche del suo partito, lo sa per forza fino al midollo. Ha dovuto servirsene per salire, ora gli stessi meccanismi premono per respingerlo in basso. Quindi niente ipocrisie: non si entra a Palazzo senza pagare certi prezzi. Altrimenti questo Palazzo lo si “assalta” (metafora!!!) dalla Piazza, sperando che il contagio e la commistione amorali accadano il più tardi possibile.
E’ il terreno prepolitico che è franato qui da noi, in tutti i campi, e quindi si arriva alla politica senza aver traversato alcun deserto e senza aver sofferto minimamente la sete. Sono persone vuote, prima che politici amorali, quelli che hanno appunto nebulizzato la morale in nome e per conto della (loro) Politica. Discorso analogo per la stampa, e la sua deriva. Non c’è deontologia senza etica dei doveri, nell’amoralità diffusa che avvolge sempre di più il Paese: il resto è fuffa, fuffa ipocrita al cubo.
Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2010
mercoledì 29 dicembre 2010
Amoralità
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