venerdì 15 luglio 2011

IL BUONGOVERNO DEI TECNICI

di Bruno Tinti

Governo tecnico. Parole che spaventano. Cosa significano sembra ovvio: governo affidato a persone esperte dei settori che devono gestire. Gente che se ne intende. Trasporti, sanità, giustizia, istruzione, economia possono essere affidati a chi non ne capisce nulla? Chi può desiderare un governo incompetente? Questo non vuol dire che politica coincida con incompetenza. Esistono politici esperti in settori essenziali per il paese: ingegneri, medici, giuristi, economisti. E affidarsi a loro sarebbe la cosa migliore. A patto che... Ecco, qui sta il problema. Far funzionare bene un ministero “tecnico” richiede scelte “tecniche”. I soldi si spendono per fare certe cose e non certe altre; gli appalti si danno a certe imprese e non a certe altre; le persone si assumono se preparate e oneste e non se indicate dal partito; e via così. Solo che il politico, anche il politico “tecnico”, non si regola mai in questo modo. Tra una scelta funzionale all’interesse del paese e un’altra che giova a lui o al suo partito, o anche a un altro partito “amico”, sempre adotta la seconda. Per questo sono esistiti ginecologi Udeur, amministratori di società pubbliche e private nominati ai “tavoli di compensazione” dei partiti, ministeri sdoppiati, appalti affidati a società che ringraziano con alloggi, ristrutturazioni, viaggi, mazzette, tutto naturalmente pagato dai cittadini perché prelevato dal compenso pagato. Per questo sono nate le varie P2, 3, 4 e le altre ancora non scoperte. Insomma il politico, anche se “tecnico”, ha una malattia genetica: il conflitto di interessi. Magari non è vero, qualcuno dirà. Non si può generalizzare. Allora vediamola sotto un altro punto di vista. E parliamo di economia; in fondo tutto si riduce ai soldi: quanti ce n’è, quanti e come se ne possono spendere. Nella situazione in cui ci troviamo le scelte economiche sono micidiali. Mettere in prigione per evasione fiscale una parte non piccola dei cittadini e prendergli forzosamente tutti i soldi che si sono fregati per decenni; ovvero affamare (letteralmente) una larga parte del paese? Infliggere ai cittadini un’imposta patrimoniale; oppure inasprire le imposte sui lavoratori dipendenti (gli unici che le pagano di sicuro)? Tagliare i costi della politica (parlamento, provincie, regioni; bisognerebbe rileggersi – oggi – “La Casta” di Stella e Rizzo); oppure quelli della sanità, dell’istruzione, della ricerca? Adottare le scelte “giuste” garantisce al politico che le propone (e figuriamoci a quello che le adotta) la morte politica. Chi lo voterà ancora? Ne è prova la Finanziaria: servono sacrifici mostruosi. Proprio vero: li facciamo nel 2013 e nel 2014 (quando toccherà a qualcun altro). Tutto questo al “tecnico” non succede. Per Monti, Draghi e gente come loro accollarsi la responsabilità di salvare (nel senso stretto della parola) il paese è un onere, non un benefit. Lo farebbero per amor di patria (sempre letteralmente parlando). E, alla fine se ne tornerebbero alle loro occupazioni; ringraziando Dio che è finita. Questo è il motivo per cui un “governo tecnico” è proprio quello che ci serve. È anche vero che politici “tecnici” e onesti ce ne sono stati; la nostra Costituzione ne è un esempio. Solo che dopo il 1950 le cose sono cambiate; e siamo arrivati a oggi.

Nessun commento: