La via per uscire dal baratro nel quale il nostro paese rischia ormai di precipitare è una via stretta, esposta, difficile. Ma è una via obbligata. La diagnosi su quanto è stato annunciato sinora è purtroppo semplice e cruda: troppo poco, troppo tardi. Dopo avere negato per mesi che vi fossero rischi, quando questi si concretati i rimedi proposti sono subito apparsi inadeguati.
La cura deve essere drastica su entrambi i fronti. Pareggio di bilancio entro il 2012, misure efficaci per la crescita. Due obbiettivi da ottenere con strategie congiunte. Taglio della spesa, aumento delle entrate, aumento della produttività, investimenti pubblici. Il tutto – questo è essenziale – con misure strutturali, non con misure una tantum.
NATURALMENTE occorre un ventaglio di interventi che avrebbero dovuto essere predisposti da tempo e che ora bisogna mettere a punto molto in fretta. Ne indichiamo alcuni, che ovviamente dovrebbero essere quantificati, selezionati e calibrati. Blocco delle nuove pensioni di anzianità; aumento celere dell’età pensionabile con l’obbiettivo di raggiungere almeno i 67 anni in tempi ragionevoli; aumento di uno o forse due punti di Iva; reintroduzione dell’Ici sulle prime case; aumento delle aliquote per i redditi elevati, con progressività accentuata, sino a sopra il 50 per cento per i redditi più alti; eliminazione immediata dei bonus per i parlamentari; reintroduzione della tracciabilità capillare dei pagamenti; lotta all’evasione con sanzioni accresciute; norme sulla flessibilità/sicurezza del lavoro in sostegno del precariato; aumento dell’orario di lavoro settimanale, con ritorno alle 40 ore.
Un insieme di misure di questo segno sarebbe in grado di assicurare non solo l’equilibrio dei conti ma anche l’aumento immediato della produttività, mediante un volume di risorse impiegabili da subito per investimenti pubblici ad alto ritorno in termini di crescita e di posti di lavoro. Ovviamente, ciò andrebbe fatto a condizione di stralciare le opere inutili e dannose (tra le quali il Ponte di Messina) concentrando gli interventi sulle infrastrutture per le quali i progetti siano esecutivi entro il 2011. In più, il volume di risorse così rese disponibili consentirebbe immediati interventi di equità – sulle situazioni di povertà vera, sul disagio sociale ormai insostenibile per interi gruppi sociali – senza i quali i sacrifici richiesti sarebbero inaccettabili. È anche chiaro che il ritorno a una condizione di finanza pubblica sana consentirebbe in un futuro non lontano di rivedere alcune delle misure assunte in una fase di necessità.
Scrivere queste cose è molto facile. Ottenerle molto difficile. Ma l’Italia ha mostrato in passato di essere capace di uno sforzo nei momenti eccezionali. E questo momento della nostra storia è eccezionale. È anche una questione di dignità: smettiamola di farci suggerire dagli altri cosa dobbiamo fare. Diciamolo noi e facciamolo, senza lamenti, con decisione, dimostrando che certi pregiudizi su di noi sono dopotutto ingiusti. In pochi anni la crisi e il declino possono essere scongiurati. Se si vuole, se si ha il coraggio necessario.
Sia chiaro che non faremmo tutto questo per adeguarci all’Europa, né tantomeno per calmare i mercati, ma anzitutto per noi stessi. Per tornare a creare una prospettiva per il futuro del paese, per evitare che i nostri figli e nipoti pensino (avrebbero tante giuste ragioni per farlo) che la generazione al potere ha badato al proprio benessere sacrificando loro.
Come arrivarci? Il discredito di questo governo è ormai evidente; e lo è ancor più fuori d’Italia, in Europa e nel mondo, in misura allarmante, senza precedenti dalla fine della seconda guerra. A mio avviso ora dovrebbe essere l’opposizione a muoversi. Subito, da domani. Dovrebbe essere l’opposizione a controproporre un programma di governo immediato, drastico ma efficace, invitando la maggioranza ad adeguarsi . Dovrebbe, l’opposizione, giocare di anticipo, con coraggio. Questo e non altro vuol dire candidarsi davvero alla guida del paese.
Occorrerebbe per un breve periodo un governo di unità nazionale, che assuma collegialmente la responsabilità di misure ovviamente impopolari, che scontenti un po’ tutti, che approvi una nuova legge elettorale, che risani un sistema dell’informazione ormai pericoloso per la democrazia, che parli ai cittadini e non agli elettori del giorno dopo. Occorre che il malcontento (ma anche il consenso, che sono convinto non mancherebbe) si distribuisca equamente in entrambi gli schieramenti.
STA L’EUROPA facendo quanto dovrebbe per evitare una crisi, quella italiana, che affosserebbe l’euro e con esso probabilmente la stessa Unione europea? No, non lo sta facendo. Ma noi non possiamo dirlo – e tantomeno possiamo operare per far prevalere i rimedi corretti per il futuro dell’Unione europea, che sono semplici ed evidenti a chiunque voglia vedere la realtà, accantonando le strategie intergovernative costose e inefficaci dei governi di Germania e Francia – sino a quando non ci saremo messi da soli, nel rispetto dell’equità, sulla via giusta del risanamento e della crescita.
4 commenti:
Un discorso chiaro,essenziale,senza fronzoli e forsature.Ma un discorso fatto comunque dall'esterno:lo si potrebbe anche prendere in considerazione ma chi ci sta (s)governando ha la sindrome del primo della classe e dell'autosufficienza.
E domani leggeremo con più attenzione le decisioni appena prese.Vanno tutte in altra disrezione.
ANCH'IO SONO MOLTO DUBBIOSO
Ancora a nessuno è venuta l'idea della retribuzione pensionistica a due anni dopo la morte? Giusto per assicurarsi che il beneficiario sia proprio... andato, in tutti i sensi!
Sentissi uno di questi strateghi parlare di ASSUNZIONI di giovani, che rendono molto di più di un lavoratore che ha superato i 60-anni di ettà, sia a livello quantitativo che qualificativo.
Secondo me stanno tirando troppo la corda, che è già molto logora.
Non sarebbe una cattiva idea! ;-)
Posta un commento