MATTEO CAVALLITO
Il Tesoro ha collocato senza problemi circa 7,5 miliardi di titoli. Rendimenti mai così alti negli ultimi 15 anni: 7,89% sul triennale, 7,56% sul decennale, 7,28% sul Btp 2020
Salgono i rendimenti, in linea per altro con le indicazioni del mercato secondario, ma aumenta in modo imprevisto la richiesta degli operatori. Il che, di fatto, costituisce la migliore notizia di giornata. Si conclude tutto sommato positivamente l’asta odierna dei Btp italiani, un appuntamento atteso quanto temuto soprattutto alla luce della recente esperienza fallimentare degli ultimi collocamenti di Spagna, Francia e Germania. Nel dettaglio, il Tesoro ha collocato senza problemi circa 7,5 miliardi di titoli così distribuiti: 3,5 miliardi per il Btp triennale con cedola 6%, 2,5 per il decennale e 1,499 per il titolo in scadenza 2020. Volano ai massimi degli ultimi 14-15 anni, ma questo era scontato, i rendimenti complessivi: 7,89% sul triennale (+2,96% rispetto all’asta precedente), 7,56% sul decennale (+1,5% circa), 7,28% sul Btp 2020. Subito dopo l’asta dei titoli di Stato, lo spread Btp/bund sul decennale è calato a 492 punti base dai 510 precedenti. Segno che il mercato secondario, probabilmente, si attendeva un esito peggiore sull’asta.
L’aspetto positivo, come si diceva, è costituito dalla risposta degli acquirenti che, contro molte previsioni, è risultata decisamente buona. “Le richieste sono state abbondantemente superiori alle aspettative – spiega oggi un operatore finanziario – con ben 5,3 miliardi di richiesta sul triennale, 2,3 miliardi sul titolo 2020 e un rapporto domanda offerta sul decennale di 1,3. Se consideriamo l’esito dell’ultima asta tedesca dobbiamo ammettere che i risultati di oggi fanno scalpore. Una settimana fa, obiettivamente, non ci avrebbe scommesso nessuno”. Il riferimento corre inevitabilmente alla “disastrosa” (così la definì il Financial Times Deutschland) asta dei titoli tedeschi di sei giorni fa, che ha lasciato invenduto il 35% dei bund in offerta. Un segnale di come il mercato non fosse più disposto ad accettare titoli così sottovalutati che, a fronte di un’inflazione programmata del 3% in eurozona, offrivano in definitiva un rendimento reale negativo dell’1% annuo.
Non c’è dubbio che il fallimentare collocamento dei titoli tedeschi abbia costituito la notizia più importante dell’ultima settimana. L’ipotesi, in sostanza, è che il concetto di “bene rifugio” che aleggia sui titoli di Berlino non funzioni più. Come a dire che la Germania resta solida ma in futuro, soprattutto se avrà successo il pressing che Italia e Francia stanno esercitando sulla Merkel, il Paese potrebbe essere costretto a farsi carico di costi aggiuntivi (magari inflazionistici) nel salvataggio sull’Europa. Fatto sta che l’appeal dei bund sta diminuendo sulla scia della tensione che condiziona da qualche mese i titoli di Parigi. “In questa ultima settimana – spiega ancora l’operatore – si è sperimentata una certa difficoltà nel trovare compratori d’Oltremanica anche per i titoli europei di rating più elevato”. Le banche e i fondi non speculativi di Gran Bretagna e Usa, insomma, starebbero cambiando le loro strategie.
Quanto all’Italia, si conferma una situazione di luci e ombre. Da un lato permane una certa sfiducia (clamorosa in tal senso la fuga di Nomura, che negli ultimi due mesi ha ridotto da 2,8 miliardi a meno di 500 milioni la sua esposizione sui titoli italiani) e i rendimenti restano elevati. Ma il panico, se non altro, non dovrebbe necessariamente dilagare. “L’impressione – conclude l’operatore – è che il mercato non creda al paragone Italia-Grecia, un po’ per la maggiore solidità del nostro sistema economico, un po’ per la convinzione che Francia e Germania non potrebbero mai lasciar fallire l’Italia, ben sapendo che un simile destino significherebbe la fine del’euro”.
Nell’immediato, comunque, i momenti di calma momentanea si confermano il massimo traguardo raggiungibile. In assenza di una vera svolta sul fronte politico – che implichi una riforma sostanziale del ruolo della Bce e una stretta su governance e conti pubblici – una vera inversione di tendenza è infatti impossibile. Gli attacchi speculativi hanno ancora margine di manovra grazie a un mercato particolarmente liquido in cui il gioco al ribasso sui titoli attraverso le posizioni corte resta praticabile e redditizio. Difficile pensare che gli operatori stranieri – gli investitori americani su tutti, ma presumibilmente anche altri attori (tra cui alcuni fondi sovrani dei Brics, si sospetta da tempo) – scelgano quindi di non approfittarne.
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