Per dirla con lo slang giornalistico il governo Monti ha un solo colpo in canna. Vuoi per il peggioramento delle condizioni del contesto internazionale vuoi perché il tempo è una risorsa scarsa, l’esecutivo dei tecnici non può assolutamente sprecare la sua (vera) prima mossa. Deve assolutamente andare a segno. L’operazione non è delle più semplici, perché la politica ha lasciato marcire buona parte delle contraddizioni della società italiana senza avere il coraggio di affrontarle di petto negli anni della crescita. Basta leggere il contenuto delle decine di lettere aperte e di appelli che dalle categorie, e persino da singoli cittadini di buona volontà, sono stati indirizzati in forma pubblica al governo Monti. Da quei documenti viene fuori il ritratto di un Paese che vuole meritocrazia ma attende anche inclusione, che chiede di riprendere velocità ma si aspetta di veder ridotto il peso delle disuguaglianze. Attenzione però a illudersi, sommando tutte le domande di cambiamento si finisce per caricare sul nuovo esecutivo la palingenesi dell’Italia, la rimodulazione degli assetti socio-politici di un Paese che una volta era tra i membri del G7. Monti è un amministratore straordinario, non un taumaturgo.
Nell’ottica dell’unico colpo da sparare è da condividere la scelta del presidente del Consiglio di procedere con la tecnica del «pacchetto di provvedimenti» che dovrà avere al suo interno una stringente logica di ripartizione dei sacrifici tra le diverse platee. Nessuna di esse dovrà avere la sensazione di fungere da capro espiatorio. Un governo tecnico, del resto, ha dalla sua il vantaggio psicologico di non dover proteggere le proprie constituency elettorali e aggredire quelle dello schieramento avverso, non c’è dunque lobby che dovrebbe potersi vantare di avere un governo amico. Monti avrà operato con successo nella misura in cui si rivelerà alleato delle nuove generazioni e non degli industriali, dei banchieri, dei sindacati, dei professionisti, dei commercianti o dei taxisti.
La concertazione rappresenta un pezzo della storia recente d’Italia, in alcune e decisive circostanze (l’ingresso nell’euro, ad esempio) si è rivelata un acceleratore del cambiamento, in molte altre la giustificazione di un veto pregiudiziale. Non ci è dato sapere quanto peseranno le relazioni governo-parti sociali quando saremo usciti da quest’incubo, se e come avremo saputo innovare il modello dei corpi intermedi, in questi giorni però appare sempre più chiaro come la concertazione sia chiamata a fare un passo indietro. Così come ha fatto la politica, anch’essa dovrà operare una temporanea cessione di sovranità. La rappresentanza al tempo del rischio-default è dunque chiamata a una prova di maturità, se in passato la spesa pubblica extra budget è stato sovente il lubrificante della coesione sociale, la maniera più veloce per incassare applausi a destra e a manca, questa strada non è più percorribile. E le parti sociali sono chiamate oggi a elaborare un nuovo tipo di scambio, nel quale il dare è immediato e il ricevere è giocoforza differito nel tempo. La prova è difficile ma esistono gruppi dirigenti in grado di superarla. Dal canto suo il presidente Monti non abbia paura del dissenso e, se riesce, eviti di replicare i riti che hanno portato alla nomina dei sottosegretari.
Dario Di Vico
29 novembre 2011
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