ROBERTO GIOVANNINI
Archiviata alla Camera la maximanovra, il governo Monti adesso
vorrebbe avere un po’ di tempo per rifiatare e raccogliere le idee. Di tempo
non ce n’è: è imminente - anche se non porterà sorprese - la discussione del
provvedimento al Senato. E subito dopo ci sarà il lavoro di preparazione del
decreto milleproroghe di fine anno, un appuntamento ormai fisso dei lavori
parlamentari. Secondo certi osservatori, il «milleproroghe» potrebbe essere il
veicolo giusto per nuovi significativi provvedimenti di riforma. Addirittura,
una massiccia dose di liberalizzazioni. Ma come spiegano fonti di governo, in
questo decreto sarà possibile inserire soltanto
modeste correzioni alle misure varate con la maximanovra, aggiustando in
aspetti limitati errori o imprecisioni dell’articolato partorito a
Montecitorio.
C’è un pesantissimo precedente a suggerire al governo di usare prudenza: l’anno scorso Giulio Tremonti farcì il «milleproroghe» di molte misure «non proroga». Il presidente della Repubblica Napolitano non gradì, e manifestò pesanti dubbi sulla costituzionalità. Certo è che alcune, limitate, modifiche ci saranno. Alcune le vogliono i partiti, altre sono in pratiche dovute per sciogliere una serie di incertezze e dubbi interpretativi. Della prima lista fa parte il tentativo del Pd di eliminare la penalizzazione per chi va in pensione prima dei 62 anni. Della seconda, un’ambiguità che riguarda le detrazioni per i figli ai fini del pagamento della nuova Imu sugli immobili.
Per vedere un possibile ritorno di fiamma delle liberalizzazioni e per il varo delle altre grandi riforme annunciate da Monti al momento del suo insediamento (ovvero ammortizzatori sociali e mercato del lavoro) invece bisognerà attendere. Probabilmente, almeno la seconda metà di gennaio. Del resto, lo stesso premier ha affermato che le misure finora varate rappresentano «un inizio di un percorso» che proseguirà «nelle prossime settimane con elementi più meditati ed organici». Ora ci sarà spazio invece per un pacchetto di interventi su opere pubbliche, infrastrutture e sostegno alle imprese su cui sta lavorando il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera.
Un tempo di riflessione, insomma, è necessario. Come spiega il sottosegretario al Tesoro Gianfranco Polillo, «dopo questa prima fase un po’ convulsa adesso bisogna vedere come reagiranno i mercati, e soprattutto il decantamento del quadro internazionale». E poi, perché se finora l’urgenza non ha permesso riflessione e confronto, per riprendere le fila del discorso sulle liberalizzazioni e per avviare la delicatissima partita sulla mercato del lavoro e ammortizzatori sociali sembra farsi strada la volontà di non andarci giù con l’accetta. Ma di cercare piuttosto - almeno nei limiti del possibile - il dialogo per trovare un certo consenso.
Non sarà facile. Anche perché se fuori dal governo c’è chi incita l’Esecutivo ad affondare la spada con coraggio, Monti è consapevole che la strada è assai stretta. E che i provvedimenti vanno presentati in Parlamento con la certezza di non avere brutte sorprese. Per quanto riguarda le liberalizzazioni, nelle stanze di Palazzo Chigi ancora non si è deciso se andare all’assalto all’arma bianca o cercare una collaborazione con le categorie interessate, ad esempio gli ordini. Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro, per adesso le uniche due certezze sono la volontà di aprire un tavolo di confronto con i sindacati, e soprattutto il percorso metodologico. Ovvero, si partirà prima dalla riforma degli ammortizzatori sociali per chi il lavoro lo ha perso, rischia di perderlo o lo perderà. Per arrivare solo successivamente ad affrontare il nodo dei licenziamenti, insomma dell’articolo 18.
O almeno: queste sono le richieste formulate a Monti e al ministro del Welfare Elsa Fornero dal Pd, che altrimenti si troverebbe in serio imbarazzo nel mandar giù un boccone tanto amaro e indigesto. E forse non ce la farebbe proprio a ingoiarlo. Certamente, spiega il deputato del Pd Pier Paolo Baretta, «una riforma della rete di protezione sociale di fatto renderebbe relativamente marginale la questione dell’articolo 18». Per il momento, i sindacati confederali dicono compatti di no, cosa che porterebbe il Pd ad allinearsi.
Qualcuno già prevede che di mercato del lavoro se ne parlerà solo in primavera. Sempre a primavera, poi, si aprirà un altro nodo complicato: la trattativa sulla delega fiscale-previdenziale-assistenziale. Bisogna trovare risparmi per 4 miliardi; altrimenti scatterà l’aumento dell’Iva, che Palazzo Chigi vorrebbe evitare.
C’è un pesantissimo precedente a suggerire al governo di usare prudenza: l’anno scorso Giulio Tremonti farcì il «milleproroghe» di molte misure «non proroga». Il presidente della Repubblica Napolitano non gradì, e manifestò pesanti dubbi sulla costituzionalità. Certo è che alcune, limitate, modifiche ci saranno. Alcune le vogliono i partiti, altre sono in pratiche dovute per sciogliere una serie di incertezze e dubbi interpretativi. Della prima lista fa parte il tentativo del Pd di eliminare la penalizzazione per chi va in pensione prima dei 62 anni. Della seconda, un’ambiguità che riguarda le detrazioni per i figli ai fini del pagamento della nuova Imu sugli immobili.
Per vedere un possibile ritorno di fiamma delle liberalizzazioni e per il varo delle altre grandi riforme annunciate da Monti al momento del suo insediamento (ovvero ammortizzatori sociali e mercato del lavoro) invece bisognerà attendere. Probabilmente, almeno la seconda metà di gennaio. Del resto, lo stesso premier ha affermato che le misure finora varate rappresentano «un inizio di un percorso» che proseguirà «nelle prossime settimane con elementi più meditati ed organici». Ora ci sarà spazio invece per un pacchetto di interventi su opere pubbliche, infrastrutture e sostegno alle imprese su cui sta lavorando il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera.
Un tempo di riflessione, insomma, è necessario. Come spiega il sottosegretario al Tesoro Gianfranco Polillo, «dopo questa prima fase un po’ convulsa adesso bisogna vedere come reagiranno i mercati, e soprattutto il decantamento del quadro internazionale». E poi, perché se finora l’urgenza non ha permesso riflessione e confronto, per riprendere le fila del discorso sulle liberalizzazioni e per avviare la delicatissima partita sulla mercato del lavoro e ammortizzatori sociali sembra farsi strada la volontà di non andarci giù con l’accetta. Ma di cercare piuttosto - almeno nei limiti del possibile - il dialogo per trovare un certo consenso.
Non sarà facile. Anche perché se fuori dal governo c’è chi incita l’Esecutivo ad affondare la spada con coraggio, Monti è consapevole che la strada è assai stretta. E che i provvedimenti vanno presentati in Parlamento con la certezza di non avere brutte sorprese. Per quanto riguarda le liberalizzazioni, nelle stanze di Palazzo Chigi ancora non si è deciso se andare all’assalto all’arma bianca o cercare una collaborazione con le categorie interessate, ad esempio gli ordini. Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro, per adesso le uniche due certezze sono la volontà di aprire un tavolo di confronto con i sindacati, e soprattutto il percorso metodologico. Ovvero, si partirà prima dalla riforma degli ammortizzatori sociali per chi il lavoro lo ha perso, rischia di perderlo o lo perderà. Per arrivare solo successivamente ad affrontare il nodo dei licenziamenti, insomma dell’articolo 18.
O almeno: queste sono le richieste formulate a Monti e al ministro del Welfare Elsa Fornero dal Pd, che altrimenti si troverebbe in serio imbarazzo nel mandar giù un boccone tanto amaro e indigesto. E forse non ce la farebbe proprio a ingoiarlo. Certamente, spiega il deputato del Pd Pier Paolo Baretta, «una riforma della rete di protezione sociale di fatto renderebbe relativamente marginale la questione dell’articolo 18». Per il momento, i sindacati confederali dicono compatti di no, cosa che porterebbe il Pd ad allinearsi.
Qualcuno già prevede che di mercato del lavoro se ne parlerà solo in primavera. Sempre a primavera, poi, si aprirà un altro nodo complicato: la trattativa sulla delega fiscale-previdenziale-assistenziale. Bisogna trovare risparmi per 4 miliardi; altrimenti scatterà l’aumento dell’Iva, che Palazzo Chigi vorrebbe evitare.
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