di Luca Telese
In fondo è semplice, Fabio Volo ha un difetto
imperdonabile: è un piccolo genio. Un genio minimale, certo, popolare: ma
sempre genio. Basterebbe questo riassunto: mentre la critica storce il naso,
Volo è protagonista di un film che veleggia verso i 4 milioni di euro di
incasso e che – manco a dirlo – è tratto da un suo romanzo: una commedia
brillante, commovente, piena di trovate, girata come un congegno perfetto di
battute ed emozioni. Senza volgarità, senza faccioni da botteghino, senza
effetti speciali. E poi ha scritto un altro libro – Le prime luci del mattino –
che negli stessi giorni sta sbancando la top ten della narrativa italiana
arrampicandosi sopra la vetta inumana del milione di copie. Ha massacrato il
libretto natalizio ruffiano di Bruno Vespa, il monumento letterario funebre a
Steve Jobs, ha dato punti a quello schiacciasassi che è Giorgio Faletti,
superato un mostro sacro come Isabel Allende. Ma in un paese nonnista come
il nostro Volo ha due difetti che per la critica puzza-sotto-il-naso sono
imperdonabili: ha un pubblico popolare, piace alle donne, scrive commedie e
romanzi sentimentali, non si occupa della fame nel mondo. E poi riempie le
sale. E – soprattutto – è un giovane. Il che è a dir poco un crimine. Prendete
Il giorno in più. È l’Harry ti presento Sally (italiano) del Terzo
millennio. Ovvero un film che con il pretesto della commedia, viviseziona
perfettamente i difetti fatali dei trenta-quarantenni italiani. Splendidamente
immaturi, furbi e romanticamente egoisti. Il protagonista della storia è (come
sempre) una sorta di alter ego di Fabio: grande successo nel lavoro, splendido
sentimentalismo amorale, incapacità di trovare una relazione stabile. Isabella
Ragonese, invece, è il suo esatto contrario, una perfetta Mag Ryan palermitana:
trentenne solida, corazzata, stanca delle storielle, pronta a traversare il
mondo per trovare la sua strada. Prendi questi due personaggi è dentro c’è
tutta l’alchimia di una generazione. Ma siccome Fabio non cerca la morale, i
grandi critici sono freddini. E poi dicono che Volo “è furbo” (gli altri invece
sono tutti interessati all’arte?) che mette in scena se stesso, che riempie i
suoi libri di citazioni da cioccolatini Perugina, che “fa parabiografia” ,
che forse ha un ghost writer.
IL CHE ovviamente è vero. Ma se ha un ghost
writer vorrebbero scritturarlo tutti (li aveva anche Simenon, ma nessuno lo
sminuisce per questo, anche sceglierseli è un talento). Se cerchi su Google le
voci sugli aforismi sono le prime tre (di tre milioni!), e sui Baci Perugina ci
vanno Herman Hesse e Simone de Beauvoir. Quanto alla parabiografia,
bisognerebbe decapitare metà della narrativa mondiale, e metà di quella
italiana, a partire da Pavese e Pratolini. In realtà il fenomeno sconvolgente
della narrativa di Fabio Volo è che chiunque lo conosca sa che solo lui
potrebbe scrivere quei libri, e che la sua bibliografia è un meraviglioso caso
di evoluzione in corsa: Esco a fare due passi era una sorta di zibaldone
compilato in corsa da un disc jockey di successo, Il tempo che vorrei è un
bellissimo e denso romanzone di formazione sulla gavetta di un giovane di
provincia. Memorabile la scena in cui lui porta nella casetta dei genitori un vino
costosissimo. “Vi piace?”. E loro: “Buono. Anche il Tavernello, però”. Il
giorno in più è una miniera di trovate e caratteri: una grandissima Luciana
Littizzetto nel cameo della collega scavalcata, Lino Toffolo commovente
marito della moglie, Stefania Sandrelli, ancora una volta, mamma delle mamme
italiane. Fabio Volo ha costruito una commedia sentimentale perfetta che fa
impallidire quelle con Hugh Grant e, se volete, è un Cary Grant postmoderno
Nessun commento:
Posta un commento