L a novità che il vertice di Bruxelles propone ai mercati è che ora, per la prima volta da quando è cominciata la bufera, l'eurozona ha un piano. Non un piano a ventisette, perché la Gran Bretagna mai avrebbe potuto accettare che nuove regole e nuove sanzioni - per di più ispirate dalla Germania - condizionassero la City di Londra. Non un piano per la modifica dei trattati esistenti, perché senza gli inglesi si dovrà elaborare un trattato intergovernativo tra chi ci sta. Ma pur sempre un piano che segna una svolta rilevante. Troppo a lungo, mentre la crisi si aggravava a beneficio di speculazioni palesi e occulte, finanziarie e politiche, i dirigenti di Eurolandia avevano seminato confusioni di intenti e velleitarismi tecnici. Adesso invece, con Angela Merkel nei panni del direttore d'orchestra, la sponda da raggiungere entro la fine di marzo è stata definita: maggiore integrazione in una Unione fiscale e dunque nuove cessioni di sovranità, sanzioni automatiche per i trasgressori delle regole di bilancio (il rientro dal debito resta cosa separata), controlli preventivi e vincolanti delle contabilità nazionali, adeguamento delle Costituzioni. L'Europa a due velocità made in Germany, insomma, nasce con il dito sul grilletto finanziario per impedire che quanto sta accadendo oggi possa ripetersi in futuro.
Ma se Sarkozy parla già di momento storico, e se è giusto rallegrarsi della promessa di far nascere quella Unione fiscale, cioè di bilancio, che ormai tutti consideravano indispensabile per tenere in vita la moneta unica e correggere le manchevolezze di Maastricht, sarebbe imprudente dimenticare che soltanto di una promessa si tratta. E che per arrivare entro marzo sulla sponda di tutte le virtù gli architetti dell'eurozona avranno bisogno di un ponte: quel ponte che oggi si fatica a scorgere perché il tanto auspicato «grande scambio» tra rigore futuro e flessibilità immediata nel sostegno dell'euro a Bruxelles non si è verificato o è stato tenuto segreto.
Le difficoltà che attraversiamo sono destinate a durare. Gli italiani passeranno le feste all'ombra di una manovra necessaria ma non per questo meno carica di sacrifici, e situazioni analoghe esistono in altri Stati dell'eurozona. Il 2012 si annuncia come un anno di sostanziale recessione. I trasferimenti di sovranità uniti ai disagi sociali incoraggiano quasi sempre forme di populismo, e il populismo di questi tempi è anti-europeista. Quel che più conta, nei primi mesi del
Ebbene, in questa direzione il vertice di Bruxelles ha fatto troppo poco. Positiva è la decisione di trasferire risorse al Fondo monetario che potrà così più agevolmente aiutare Stati dell'Eurozona che ne facessero richiesta. Bene per l'anticipo a luglio del Fondo permanente e per la gestione tecnica del Fondo salva Stati affidata alla Bce. Ma l'ammontare delle risorse complessive utilizzabili subito resta da verificare, al pari di alcuni meccanismi non proprio secondari. Gli eurobond non sono stati nemmeno citati, anche se Mario Monti ha assicurato che a questa ipotesi si continua a lavorare. E soprattutto nulla è stato detto di misure per la crescita, e nulla è stato detto di un più marcato interventismo della Bce per tenere a bada l'eccessivo aumento degli spread e le loro conseguenze.
Il tallone d'Achille dell'Europa che esce da Bruxelles è ancora tutto qui. La Bce ha ragione a fare il suo mestiere e ad affermare la sua indipendenza. In aggiunta la cancelliera Merkel ha bisogno per il suo fronte interno che della Bce non si parli. Ma per i mercati una credibile polizza di assicurazione contro gli intralci che sul cammino del nuovo trattato sorgeranno (referendum in Irlanda?) può venire soltanto da Francoforte. La speranza è che ciò che non è stato detto a Bruxelles avvenga ugualmente, con discrezione, sulla scia di quanto già accade e tanto ha aiutato l'Italia. Vada per il ponte non dichiarato, purché ci sia.
Franco Venturini
10 dicembre 2011
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