di Marco Onado
L’intervento della Bce di ieri non va salutato come gli
“arrivano i nostri” dei western classici, ma poco ci manca: 500 miliardi di
liquidità immessi nel sistema rappresentano molto più di una boccata d’ossigeno
per un sistema bancario europeo che ha un disperato bisogno di fondi (l’anno
prossimo scadono oltre 700 miliardi di obbligazioni bancarie). I problemi a
breve delle banche sono così superati ed è tutto sommato secondario chiedersi
quanta parte di questa liquidità andrà ai titoli di Stato: l’importante è
riavviare il meccanismo del credito nel suo complesso. Una forte domanda di
titoli di Stato che fa cadere finalmente gli spread come è successo martedì in
Spagna è una buona notizia per tutti e giova anche al credito alle imprese
perché fa diminuire parallelamente i tassi dei prestiti.
NON BISOGNA però dimenticare che si tratta di una terapia
di emergenza e che per attuarla Mario
Draghi ha spostato di molto il confine dell’ortodossia degli interventi
delle Banche centrali. Rimangono sul tappeto tutti i nodi della crescita
europea e italiana, cioè la necessità di attivare le politiche economiche
necessarie per evitare che il rigore fiscale si traduca in un’enorme spinta
depressiva. E rimangono sul tappeto i problemi delle banche, della loro
robustezza patrimoniale e delle regole necessarie per evitare che in futuro
esse si trasformino in generatori e propagatori di crisi finanziarie come è
avvenuto.
E su questo fronte finora non ci sono segnali positivi.
L’unico punto su cui i paesi europei sembrano d’accordo è quello di sabotare il
livello comunitario di regolamentazione finanziaria. Al vertice di Bruxelles David Cameron ha posto un autentico
ricatto perché ha detto chiaro e tondo: approvo il patto di rigore fiscale se l’Europa la smette di
pensare a una regolazione più severa dei servizi finanziari. Come
direbbe un famoso slogan: toccatemi tutto, ma non la City. L’ironia vuole che
nello stesso momento a Londra venisse pubblicato un ponderoso rapporto che
dimostra come il dissesto bancario più grave della storia inglese, quello di
Royal Bank of Scotland, sia dovuto non solo a errori manageriali clamorosi, ma
anche a una vigilanza all’acqua di rose, la cui preoccupazione principale era
quella di turbare il meno possibile le scelte dei soggetti controllati.
CON LA FACCIA di marmo che solo i politici consumati sanno
esibire, Cameron ha usato la stessa argomentazione, per di più per l’atto di
rottura più grave compiuto da un governo di Sua Maestà negli ultimi anni,
scagliando così un autentico siluro contro le speranze di una risposta europea
adeguata alla gravità dei fattori che hanno creato la crisi. Sia le ipotesi che
stavano faticosamente prendendo corpo a Bruxelles (fra cui quella di una
tassazione delle attività finanziarie, che era stata caldeggiata dal Fondo
monetario) sia le nuove autorità di regolamentazione si trovano oggi fatalmente
in difficoltà.
Purtroppo
non è solo un problema dei soliti inglesi. Al tiro al bersaglio contro
il livello europeo di regolamentazione si stanno esercitando in molti. Italia, Spagna e Germania fanno
oggi a gara nel criticare l’autorità
europea in campo bancario (Eba) che ha dato trasparenza e rigore agli
esercizi di stress test, ma ha avuto il torto di chiedere alle banche europee
una ricapitalizzazione di 115 miliardi (di cui 15 per le banche italiane, ma
quasi la stessa cifra per quelle tedesche e il doppio per quelle spagnole). La
reazione è stata furibonda: l’autorità, che pure ha agito su impulso del
Consiglio europeo, cioè dei capi di governo, è accusata di mettere in
ginocchio banche altrimenti solide e di strozzare l’offerta di credito al
settore produttivo.
La colpa
maggiore di cui si è macchiata l’Eba è quella di aver proclamato che il re è
nudo. Di aver detto, ad esempio, che Commerzbank è priva di capitale e dovrà essere
nazionalizzata. Cioè quello che tutti (tranne i tedeschi si capisce) hanno
sussurrato a mezza voce per anni. Oppure di aver riconosciuto che da qualche
mese i mercati penalizzano azioni e obbligazioni delle banche perché
considerano i titoli pubblici nei loro portafogli come un fattore di rischio e
di aver dedotto che la ricapitalizzazione delle banche è condizione necessaria
(ancorché non sufficiente) per ripristinare la fiducia. Una realtà dolorosa, ma
da tempo affermata da operatori e studiosi di ogni parte: una recente
ricerca citata da Financial Times
afferma che occorre immettere “tonnellate di soldi” nelle banche. Anche loro
talebani?
DELEGITTIMARE L’EBA è fin troppo facile: in Italia ad
esempio si è saldato il fronte fra il management delle banche, che certo non
sprizza di gioia all’idea di aver un maggior volume di capitale da remunerare
in futuro, e le fondazioni azioniste dei principali istituti, che hanno risorse
ormai ridotte al lumicino. Ma così facendo si ripropone la stessa logica che ha
mosso Cameron: gli interessi dell’industria nazionale avanti a tutto. Con il
risultato di indebolire il livello di vigilanza europea, che era una delle
poche risposte efficaci alla crisi e che diventa essenziale nel momento in cui
le debolezze stanno esplodendo e dunque un livello internazionale di
supervisione è essenziale. O si crede davvero che la vigilanza tedesca da sola
avrebbe riconosciuto la fragilità di Commerzbank?
Il guaio è che, nonostante rapporti
ponderosi (e tardivi) come quello su Rbs dimostrino al di là di ogni
ragionevole dubbio i disastri che possono essere causati da una vigilanza
troppo benevola, al momento della verità le banche osannano le Banche centrali
che dispensano liquidità a basso costo a piene mani, ma vogliono autorità di
vigilanza come la Fsa di allora: un cane da guardia che si muoveva leggero come
un passerotto in un’aiuola di petunie.
2 commenti:
Luigi carissimo, ti lascio in questa pagina gli auguri di buone feste piene di serenità e salute.
Auguri anche al resto della tua stupenda famiglia.
Grazie Anna, anche a te e alla tua famiglia.
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