di
Marco Damilano
«La situazione è più grave di come
sembra. La depressione economica ricorda quella che negli anni '30 portò al
nazismo e poi alla guerra. La democrazia rischia di essere sostituita dal
populismo e dalla tecnocrazia. Noi politici dobbiamo capirlo. E proporre subito
un nuovo grande patto sociale». Parla l'ex leader del Pd
(28 dicembre 2011)
Il 2011 è stato un anno pericoloso. Una grande cupezza, un
pessimismo opprimente. Con due eventi positivi: l'uscita di scena di Silvio Berlusconi come
premier, che non significa solo la fine di un governo ma la chiusura di un
lungo tempo politico e culturale. E il risveglio della società civile, dal
movimento delle donne in poi, un'opinione pubblica che vuole partecipare e
contare". La politica ai tempi della recessione: Walter Veltroni ragiona
sull'anno che verrà e non nasconde l'inquietudine: "Questo tempo non è una
parentesi". E non lo sarà il governo dei tecnici: "Basta con le
riserve. Il Pd deve appoggiare Mario Monti con autonomia, ma con
convinzione".
Si annuncia una recessione più pesante del previsto. La politica è pronta ad affrontarla?
"Ho l'impressione che la politica non sia consapevole di quanto sta accadendo. Si parla di recessione, ma la direttrice del Fmi Christine Lagarde ha usato un termine più duro: depressione. E ha citato gli anni Trenta del Novecento. E' un precedente terribile: in quel decennio la depressione portò in Germania al nazismo e poi all'inizio del conflitto mondiale. Oggi sta venendo meno l'Europa che è stata il senso della seconda parte del Novecento. Sta crollando la fiducia che il sistema funzioni. Stiamo vivendo una fase storica in cui si è spezzata l'ininterrotta crescita economica e sociale dal dopoguerra a oggi, un terremoto che cambia la percezione del mondo. Non si uscirà da questo tempo come una parentesi. Vorrei utilizzare un'espressione antica: dobbiamo pensare a un nuovo modello di sviluppo. Non si evita il pericolo degli anni Trenta con una manovra economica, serve un New Deal. O la politica riesce a dare qualche risposta oppure ci penseranno la tecnocrazia o il populismo. Tanto più che la recessione accelererà la pulsione già presente nella società a ridurre la complessità. E se non recupera agli occhi dei cittadini legittimità e capacità di decisione, la politica e, questo è il rischio, persino la democrazia sembreranno un peso e non una opportunità".
Si annuncia una recessione più pesante del previsto. La politica è pronta ad affrontarla?
"Ho l'impressione che la politica non sia consapevole di quanto sta accadendo. Si parla di recessione, ma la direttrice del Fmi Christine Lagarde ha usato un termine più duro: depressione. E ha citato gli anni Trenta del Novecento. E' un precedente terribile: in quel decennio la depressione portò in Germania al nazismo e poi all'inizio del conflitto mondiale. Oggi sta venendo meno l'Europa che è stata il senso della seconda parte del Novecento. Sta crollando la fiducia che il sistema funzioni. Stiamo vivendo una fase storica in cui si è spezzata l'ininterrotta crescita economica e sociale dal dopoguerra a oggi, un terremoto che cambia la percezione del mondo. Non si uscirà da questo tempo come una parentesi. Vorrei utilizzare un'espressione antica: dobbiamo pensare a un nuovo modello di sviluppo. Non si evita il pericolo degli anni Trenta con una manovra economica, serve un New Deal. O la politica riesce a dare qualche risposta oppure ci penseranno la tecnocrazia o il populismo. Tanto più che la recessione accelererà la pulsione già presente nella società a ridurre la complessità. E se non recupera agli occhi dei cittadini legittimità e capacità di decisione, la politica e, questo è il rischio, persino la democrazia sembreranno un peso e non una opportunità".
Lei parla di un cambio di mentalità, ma all'Italia sono richieste
scelte dolorose e immediate, dopo le pensioni il mercato del lavoro. Fino a che
punto siete disposti a sostenerle?
"Il nuovo modello di cui parlo richiede che si riveda la scala delle priorità: ci sono bisogni primari collettivi che vanno soddisfatti e bisogni secondari cui bisognerà rinunciare o che andranno rivisti, per estendere l'accesso ai primi in modo universale. E' una rivoluzione necessaria: fine di egoismo e individualismo esasperati e scoperta di un nuovo senso di comunità, di relazioni sociali e umane solidali. In Italia per decenni ci siamo retti su un patto che comprendeva le baby pensioni, una certa tolleranza per l'evasione fiscale, perfino la convivenza con la criminalità mafiosa, teorizzata anche da uomini di governo. Quel patto era per l'immobilismo, si è scaricato sul debito pubblico ed è diventato intollerabile. Ora serve un nuovo patto per il dinamismo. Un patto per le riforme, per la modernizzazione giusta del Paese".
Il governo tecnico serve a scrivere il nuovo patto?
"Vedo che c'è un eccesso di domanda nei confronti di Monti. Al premier viene chiesto di fare tutto: salvare l'Italia, evitare il tracollo, scrivere in pochi mesi riforme che attendono da decenni. La politica è molto esigente con Monti dopo essere stata pochissimo esigente con se stessa. Ma il compito di questo governo non è fare un Paese nuovo. Questo spetta ai partiti, ai sindacati, alle forze sociali. Se non si farà questo, non si staccherà la spina a Monti, si staccherà la spina al Paese".
Per Gustavo Zagrebelsky "i partiti, di fronte all'emergenza, hanno alzato bandiera bianca". Il governo Monti è una resa della politica?
"Aprendo la strada a Monti, in realtà, la politica si è portata all'altezza della situazione, come aveva chiesto il presidente Napolitano. E' stato un atto di responsabilità, di generosità e di intelligenza, tre virtù necessarie e non molto praticate. Chi ha compiuto questa scelta ha il diritto e anche il dovere di rivendicarla con orgoglio, non deve vergognarsi di averla fatta. L'anomalia non è Monti, sono stati i 17 anni in cui abbiamo avuto da una parte Berlusconi e sul fronte opposto gli anti-Berlusconi, cioè coalizioni costruite per mettere insieme tutti quelli che erano contro. Con un'eccezione: il governo Prodi del 1996-98. Considero quel governo di cui facevo parte il migliore della Repubblica. L'estremismo e poi il maldipancia dei partiti che il giorno dopo l'euro chiesero la fase due hanno provocato la sua caduta. E' stato come spalancare l'autostrada al ritorno di Berlusconi, il punto di svolta. E' in quel momento che tutto si è avvitato. Se fosse nato all'epoca il partito dell'Ulivo, il Partito democratico, la storia sarebbe cambiata...".
"Il nuovo modello di cui parlo richiede che si riveda la scala delle priorità: ci sono bisogni primari collettivi che vanno soddisfatti e bisogni secondari cui bisognerà rinunciare o che andranno rivisti, per estendere l'accesso ai primi in modo universale. E' una rivoluzione necessaria: fine di egoismo e individualismo esasperati e scoperta di un nuovo senso di comunità, di relazioni sociali e umane solidali. In Italia per decenni ci siamo retti su un patto che comprendeva le baby pensioni, una certa tolleranza per l'evasione fiscale, perfino la convivenza con la criminalità mafiosa, teorizzata anche da uomini di governo. Quel patto era per l'immobilismo, si è scaricato sul debito pubblico ed è diventato intollerabile. Ora serve un nuovo patto per il dinamismo. Un patto per le riforme, per la modernizzazione giusta del Paese".
Il governo tecnico serve a scrivere il nuovo patto?
"Vedo che c'è un eccesso di domanda nei confronti di Monti. Al premier viene chiesto di fare tutto: salvare l'Italia, evitare il tracollo, scrivere in pochi mesi riforme che attendono da decenni. La politica è molto esigente con Monti dopo essere stata pochissimo esigente con se stessa. Ma il compito di questo governo non è fare un Paese nuovo. Questo spetta ai partiti, ai sindacati, alle forze sociali. Se non si farà questo, non si staccherà la spina a Monti, si staccherà la spina al Paese".
Per Gustavo Zagrebelsky "i partiti, di fronte all'emergenza, hanno alzato bandiera bianca". Il governo Monti è una resa della politica?
"Aprendo la strada a Monti, in realtà, la politica si è portata all'altezza della situazione, come aveva chiesto il presidente Napolitano. E' stato un atto di responsabilità, di generosità e di intelligenza, tre virtù necessarie e non molto praticate. Chi ha compiuto questa scelta ha il diritto e anche il dovere di rivendicarla con orgoglio, non deve vergognarsi di averla fatta. L'anomalia non è Monti, sono stati i 17 anni in cui abbiamo avuto da una parte Berlusconi e sul fronte opposto gli anti-Berlusconi, cioè coalizioni costruite per mettere insieme tutti quelli che erano contro. Con un'eccezione: il governo Prodi del 1996-98. Considero quel governo di cui facevo parte il migliore della Repubblica. L'estremismo e poi il maldipancia dei partiti che il giorno dopo l'euro chiesero la fase due hanno provocato la sua caduta. E' stato come spalancare l'autostrada al ritorno di Berlusconi, il punto di svolta. E' in quel momento che tutto si è avvitato. Se fosse nato all'epoca il partito dell'Ulivo, il Partito democratico, la storia sarebbe cambiata...".
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