sabato 24 maggio 2008

Compassione per la Franzoni

Maria Luisa Agnesi
Il Corriere della Sera
24 maggio 2008


Non bisogna vergognarsi della pietà. L’appello è comparso sulla prima pagina di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista, che ritrova voce politica dopo lo tsunami elettorale e riparte dal caso Cogne per invocare una Grazia d’ufficio. L’idea di quelli di Liberazione è che sarebbe «bello e saggio » se il ministro della Giustizia avviasse le pratiche per la grazia e che poi il presidente Napolitano la controfirmasse. E avvertono: «Noi non sappiamo se Anna Maria è colpevole o innocente, ma ora dovrebbe prevalere un sentimento di pietà, di solidarietà. Non è un sentimento ignobile, anche se negli ultimi anni, mesi e giorni, tutti stanno cercando di convincerci di questo».
E così adesso, che le porte del carcere si sono chiuse alle spalle di Anna Maria Franzoni, sembra profilarsi dietro di lei un nuovo partito, quello della compassione. Ma cosa ne pensano dell’iniziativa a Rifondazione comunista? «Io credo che la pena non debba mai essere vendetta. E sono quindi d’accordo con l’appello- provocazione del direttore Sansonetti per far marciare la grazia, ovviamente con una valutazione attenta da parte degli organismi giurisdizionali » dice Giovanni Russo Spena, ex capogruppo al Senato del partito. Anche Ritanna Armeni, la brillante conduttrice di Otto e mezzo vicina a Rifondazione, si dichiara d’accordo con l’ipotesi della grazia e sostiene che è più che legittimo avere un colpo d’ala, uno scatto in nome della pietà. «In fin dei conti nel caso Cogne rimane un forte elemento di incertezza, nessuno ha dimostrato la colpevolezza della madre, e nel dubbio pro reo. Il Tribunale ha deciso, è vero, e lo rispetto. Ma io introduco un elemento diverso, invoco una legge superiore, quella della compassione ».
E qui Armeni si riferisce al grande e complesso tema di Antigone, la sventurata figlia di Edipo che si ribella alle leggi dello Stato in nome di una legge superiore a quella degli uomini, quella morale che gli dei ci hanno dato. «E perché allora io dovrei prescindere dal dono della pietà, solo perché faccio parte della sinistra estrema?». Un conflitto che attraversa la storia dell’umanità e che quando raggiunge il diapason può essere risolto, secondo Armeni, solo con la pietas. Ma la soluzione di Armeni e di Liberazione anche se incrocia un sentimento diffuso nel Paese, apre a sua volta nuove divisioni, a sinistra, fra le donne, fra le madri stesse. Lidia Ravera, anche lei esponente di una sinistra non allineata, si rifiuta di saltare un passaggio a suo avviso fondamentale, e sostiene che «la grazia si concede quando il reo è confesso, e la Franzoni non si è pentita, anzi si è sempre dichiarata innocente».
Una situazione molto simile al caso Sofri: «E infatti a Sofri, che ha sempre sostenuto di essere innocente, finora nessuno ha dato la grazia». In più Sofri - ricorda Ravera - ha sempre tenuto un comportamento dignitoso «e non esibitorio come la signora Franzoni, che è andata in tv spesso, spettacolarizzando lei stessa il caso per raccogliere simpatie». Discorso non facile e oggi impopolare, che Ravera comunque sostiene con sofferta lucidità: «Il discorso sulla pietà è troppo importante; bisogna stare attenti a non inquinarlo ». Ravera ricorda di essere una madre e molto amorosa, si rifiuta di iscriversi al partito dell’accanimento, e difatti si indigna per gli insulti che la Franzoni ha patito dalle altre detenute: «Il rispetto prima di tutto. Ma mi sembrerebbe esagerato ora premiare la Franzoni con la grazia: potrebbe quasi essere visto come un privilegio, un riconoscimento a chi comunque ha visibilità, come se fosse una vip. Mentre se fosse una rumena sarebbe subito appesa a testa in giù». Molto perplessa sull’iniziativa di Liberazione anche Giovanna Melandri, ministro alla Comunicazione nel governo ombra: «Mi pare quantomeno prematura».
Vuol dire che forse è strano tentar di far ripartire la sinistra dal caso Cogne? «Dico solo che mi pare impropria. Non possiamo dimenticare che in uno stato di diritto esistono delle leggi alle quali nessuno può sottrarsi» sostiene, archiviando così anche la controversa questione antigonesca sollevata da Armeni. Più vicino semmai l’ex ministro alla Ravera quando mette in guardia dall’applicare due pesi e due misure a seconda della notorietà e del peso delle "vittime": «Non voglio farmi deviare dalla furia mediatica che ha avvolto Cogne, e perciò non dimentico l’atroce condizione di tutte quelle donne che sono lontane dai loro figli, anche piccolissimi, senza che abbiano ricevuto la medesima attenzione ». Per dire che la legge, umana e divina, deve prima di tutto essere uguale per tutti, e per tutte.


COMMENTO


È davvero incredibile: le porte del carcere bolognese La Dozza si sono appena chiuse alle spalle della condannata e già c’è che invoca la grazia presidenziale, per giunta concessa d’ufficio, usando argomentazioni pretestuose o decisamente metagiuridiche.
Vero è che il difensore avv. Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale all’università di Torino, avrebbe dichiarato che la condanna non consegue ad un quadro probatorio significativo, anzi addirittura inesistente, ma la sentenza di condanna è ormai irrevocabile, la verità processuale è che Anna Maria Franzoni è responsabile della uccisione di suo figlio Samuele.
Il principio ‘in dubio pro reo’ invocato da Ritanna Armeni, mutuato dal diritto romano, è codificato nell’art 530, comma 2, del codice di procedura penale che recita: ”Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.”.
È quella che nel precedente codice di rito veniva definita “insufficienza di prove”, locuzione poi scomparsa nel codice di rito del 1988.
È evidente che la Armeni attribuisce alla sua frase una valenza di linguaggio corrente, non giuridico, ma è ugualmente pericoloso indulgere in queste affermazioni pasticciate, in quanto già il senso dello Stato, dell’appartenenza ad un consorzio civile che è il paese Italia, è terribilmente se non tragicamente affievolito e compromesso.
Già la legalità è divenuta un parola vuota, privo di significato, da relegare fra i relitti del passato; già il rispetto della legge in generale e di quella penale in particolare è una chimera, una illusione per pochi nostalgici (di che cosa, poi?), chimera che fra l’altro è una diretta conseguenza della compressione della magistratura, soprattutto quella penale ma non solo, seppellita sotto un montagna di oltre 200.000 leggi vigenti, privata dei mezzi di sopravvivenza, cioè delle risorse necessarie a funzionare se non, forse, proprio a sopravvivere (appena lo 0,5 % del PIL in un paese afflitto dalle mafie !); se poi passa come universale il messaggio che “la pena non è certa”, allora i fenomeni delinquenziali diventano davvero imponenti e ingovernabili.
Per chi volesse documentarsi sullo stato della giustizia penale in Italia, consiglio di leggere un volumetto di non notevoli dimensioni, intitolato “TOGHE ROTTE”, che raccoglie i racconti delle esperienze sue e di altri colleghi, che hanno preferito restare anonimi (pensate un po’ !), curato da Bruno Tinti, procuratore aggiunto della Repubblica a Torino, un magistrato della Pubblica Accusa, vi si troveranno descrizioni di vera miseria della giustizia esdercitata in odo umiliante, paradossi giuridici che nelle mani di valenti penalisti consentono, per esempio, di uccidere la propria moglie scontando in tutto 5 anni effettivi di carcere, oppure di rubare miliardi con la prescrizione del reato assicurata.
Dunque, lasciamo la Franzoni a scontare la sua pena detentiva, nel rispetto delle leggi vigenti, che intanto già le assicurano una abbreviazione di pena di tre anni per via dell’indulto. Poi vi saranno le misure alternative alla detenzione: liberazione anticipata (riduzione di pena di per buona condotta di 90 giorni per ogni anno), semilibertà, affidamento in prova, ecc.).
In chiusura desidero esprimere una mia opinione, di chi però non ha seguito appassionatamente le miriadi di trasmissioni televisive sul delitto di Cogne, con una esposizione mediatica senza precedenti.
Anna Maria Franzoni è colpevole del delitto, ma non sa di essere colpevole, anzi è certissima di essere innocente. Potrebbe trattarsi di una rimozione immediata e totale dell’accadimento, del quale non v’è traccia nella sua memoria. Nel contempo però lei temeva di essere riportata a ricordare, temeva la perizia psichiatrica, che avrebbe potuto rimuovere il blocco psichico, accertare una seminfermità di mente temporanea (processualmente molto opportuna), ma renderla consapevole, riportandola alla coscienza di quanto aveva fatto.
Quindi, si è ostinata a dichiararsi innocente ed a sottrarsi agli accertamenti di un collegio di psichiatri, danneggiandosi moltissimo, soprattutto in grado d’appello, ma conservando la certezza di essere innocente.
Luigi Morsello

4 commenti:

Anonimo ha detto...

...fin dalle prime apparizioni televisive la Franzoni voleva dimostrare una sicurezza di sè e della sua intelligenza in netto contrasto con la drammaticità del caso, facendo anche odiosi ammiccamenti ai fotografi (invero assillanti) che ai più, me compreso, non è piaciuto, diventando subito poco simpatica.
Secondo me non si è voluta sottoporre all'esame psichiatrico anche per non perdere, eventualmente riconosciuta, questa immagine di furba sicurezza.

Anonimo ha detto...

Sei più buono di me. Devo dirti che quando ho letto l'oggetto della presente mi sono detta"Ma G*****to non può essere della schiera dei buonisti fessi che ripetono concetti suggeriti chissà da chi per "aiutare" la franzoni." Poi ho letto il tuo commento e mi sono ricreduta. Ma tu le attribuisci l'attenuante della rimozione. Io non credo neanche a quella. Sono persuasa che il gesto sia stato meditato da tempo e che in tutta la faccenda ci sia una responsabilità del marito, che però è stato tanto bravo da non farsi cogliere in fallo.
Non capisco poi perché queste persone pro-Franzoni non si preoccupino di correre in soccorso delle altre madri assassine dei propri figli-e ce ne sono- che giustamente scontano le loro colpe. Più passa il tempo, G**
***to, più mi convinco che il livello culturale, morale e di raziocinio dei nostri connazionali sia assai basso.
r.

madda ha detto...

Condivido l'opinione che il proprietario del blog ha espresso nel suo commento.
Questa ha ucciso un figlio, dice la sentenza.
Ergo, è una donna che, a dispetto di tutta la sicurezza che ha sempre ostentato (sia pure spesso condita con lacrime e vocina infantile)ha bisogno di aiuto.
Prima o poi dovrà fare seriamente i conti con la 'scoperta' di ciò che ha fatto.
Le sue certezze crolleranno d'un colpo e si aprirà un baratro davanti a lei.
In questo senso dico che ha bisogno di aiuto.
E' una donna strana. Ha comportamenti inusuali anche se per assurdo non fosse colpevole.
Il marito e la famiglia non l'hanno aiutata di certo, tessendo attorno a lei un bozzolo di 'normalita'.
Questo ne penso io.
Ma potrei sbagliarmi.
La verità è sepolta nel fondo dell'anima di questa madre comunque sfortunata, come il suo bambino che non c'è più.

madda ha detto...

Aggiungo:
la sua pena deve comunque scontarla.