Armando Voza
Vi racconto una storia vera, la storia di una giovane donna dell’Est che un giorno, tanti anni fa, decise di lasciare la sua terra e la famiglia (il padre malato, la madre e la sorella) per trasferirsi in Italia a cercar fortuna.
Irina, questo è il nome di fantasia che daremo alla giovane ventitreenne, nel 1998 giunse in un piccolo paesino del nostro Sud e per sopravvivere decise di lavorare nei campi a raccogliere frutta ed ortaggi. Tra i compagni di lavoro fece presto amicizia con un giovane di un paese diverso dal suo le cui tradizioni e credo religioso era agli antipodi con la sua cultura: eppure l’amore vinse su tutto e fece superare anche queste diversità. Si innamorarono e decisero di andare a vivere insieme.
I primi tempi furono idilliaci: nonostante il peso di un lavoro che poco si addiceva alla sua fragilità di giovane donna, questa fatica veniva placata dalle accortezze che il “suo uomo” le dimostrava. Teneramente, mano nella mano, a passeggio in città lungo viali illuminati da vetrine piene di abbondanza, abbracciati a sognare un futuro migliore.
Da quel grande amore nacque una bambina e dopo circa due anni un bel maschietto: il fatto che lui volesse a tutti i costi dare ai figli un nome tipico del suo paese non piacque a Irina ma per amore superò anche questo piccolo dispiacere.
Si trasferirono ed andarono a vivere in un centro antico di un altro piccolo paese più vicino al posto di lavoro di lui ma pur tentando di affittare un appartamento dignitoso, grande e luminoso per una famiglia che avrebbero voluto numerosa, dovettero accontentarsi, anche per la scarsa disponibilità economica, di un piccolo alloggio umido a livello della strada, con due camere anguste e senza finestre: lì nacquero altri due bambini e la casa divenne subito troppo piccola per sei persone.
Quello che a Irina sembrava essere la sua grande storia d’amore ben presto cominciò ad assumere una dimensione diversa: intanto anche agli altri due bambini l’uomo volle imporre nomi tipici del proprio paese d’origine e questo proprio non andò giù ad Irina che tentò una piccola forma di ribellione ma dovette soccombere sotto i colpi violenti di quelle mani che fino a pochi mesi prima l’avevano accarezzata, dato piacere e stretta a darle sicurezza, così lontana dal calore della sua famiglia.
Non so cosa accadde nella mente di quell’uomo ma un bel giorno Irina scoprì il suo lato oscuro e in quale abisso stava per trascinarla.
La sera tornava da lavoro sempre più tardi e sempre più ubriaco, gli eccessi d’ira erano sempre più frequenti e gli attacchi di violenza, spesso immotivata, sempre più pericolosi. La pazzia di quell’uomo giunse al culmine quando sotto gli occhi terrorizzati dalla prima figlia, le puntò un coltello alla gola minacciandola di morte chissà per quale assurda motivazione.
Quest’uomo, roso dalla gelosia, era arrivato al punto di chiudere a chiave la porta di casa per evitare che nessuno della sua famiglia avesse contatti con l’esterno: potevano uscire solo con lui. Nonostante lei fosse di religione cattolica lui le impose di seguire i dettati della sua religione.
Un giorno Irina decise di contattare un gruppo di persone che aiutavano famiglie bisognose: il denaro di lui non bastava mai e lei, per accudire i quattro figli piccoli e per la gelosia del suo compagno, aveva smesso di lavorare.
Le occorreva l’indispensabile: biscotti, abitini, scarpette, latte e queste persone dal grande cuore si adoperarono per colmare questi bisogni, anche con sacrifici economici personali, sopperendo alla mancanza delle istituzioni che tanto dicono di fare per i più bisognosi.
Quando con gli amici il “suo uomo” beveva (facendo uno strappo ai dettami della sua religione) la mattina non riusciva ad andare a lavoro: questo cominciò a ripetersi con una certa frequenza e gli effetti cominciarono ben presto a farsi sentire.
In quella casa cominciò a mancare tutto, non si riusciva neanche a mettere da parte i soldi per pagare le bollette e l’affitto e cominciarono a nascere altri motivi di tensione in famiglia.
A questa sciagura si aggiunse il fatto che neanche la chiesa poté aiutarli perché residenti in un’altra parrocchia (?) e visto che davanti alla miseria anche negli ambienti religiosi prevale la burocrazia, la giovane disperata dovette rinunciare anche a quest’aiuto.
Il “suo uomo”, pur disprezzando ogni religione diversa dalla sua, dimenticava tali sentimenti ogni volta che si trovava a fare la fila alla Caritas per ritirare cibo e abiti. Lei viveva come una schiava, oggetto di ogni abuso, ed il “suo uomo” le aveva annullato la volontà.
Lui voleva sposarla ma non per amore: il nuovo status gli avrebbe permesso di mettere in atto il suo piano e cioè portare via i quattro bambini nel suo paese d’origine senza la necessaria autorizzazione della madre (necessaria quando si è conviventi).
Un giorno venne picchiata selvaggiamente solo perché la figlia aveva detto al padre che la mattina era venuta una conoscente della madre, accompagnata da un uomo, per consegnarle del cibo e dei vestiti: lui non gradì e fece arrivare messaggi di minaccia a queste persone.
Vietò i figli di andare all’asilo retto da religiose privando questi piccoli angeli di un seppur breve momento di tranquillità.
Un anno fa Irina chiamò la ragazza che da tempo le dava una mano, ormai divenuta sua amica, per comunicarle che il “suo uomo” era stato investito ed ucciso da un’auto pirata.
Nella sua voce c’era tanta tristezza ma anche la consapevolezza che davanti a lei si stava schiudendo una nuova vita.
Come primo atto di ribellione alle angherie subite fino a quel momento, Irina battezzò i suoi quattro figli, nel disprezzo degli amici del “suo uomo”.
Nel frattempo qualche anima buona le aveva istruito le pratiche di affido presso l’Ufficio Politiche Sociali del Comune dove abitava così che dopo poco cominciò a percepire circa 400 euro mensili per il pagamento delle spese vive (bollette, affitto) ma rimaneva il problema di vestire i figli e mangiare e su questo molta gente di buon cuore si adoperò rendendole meno penosa l’esistenza.
Un giorno alcuni amici del suo compagno portarono Irina da un avvocato, di quelli senza scrupoli - ma lei non lo sapeva - di quelli che ammaestrava i suoi clienti stranieri per organizzare finti incidenti stradali, spolpare le assicurazioni e dividere il bottino. Un giorno, dicevo, Irina si trovò seduta nell’ufficio di quest’avvocato pronto “a mettersi a sua completa disposizione” per fare avere un cospicuo risarcimento danni a lei e ai quattro figli. Occorse quasi un anno perché l’assicurazione le riconoscesse un indennizzo di 115.000 euro e 400.000 euro ai quattro figli, questi ultimi da godersi al raggiungimento del loro 18° anno.
L’avvocato, da par suo, annusò subito il grande affare: addolcì Irina versandole ogni volta 2/300 euro per le piccole necessità (“Quando hai problemi non preoccuparti, non chiedere niente a nessuno, ci sono io che ti aiuto”, che grande cuore) fino ad arrivare ad oltre 10.000 euro di prestito.
Arrivato il giorno fatidico l’avvocato invitò Irina con una certa urgenza ad aprire un conto corrente in una banca lontana dal paese dove abitava, là “dove un amico avrebbe seguito meglio la pratica”.
Il denaro di Irina arrivò dopo poco, vennero segnalate all’assicurazione le coordinate bancarie ove accreditare la somma ma il giorno prima di andarlo a ritirare il suo avvocato (pregustando il boccone succulento che stava per agguantare) la convocò nel suo ufficio per avvertirla di cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo in banca.
Di ritorno da quel colloquio Irina incontrò l’amica la quale, vedendola sconvolta, ne chiese spiegazioni: il giorno dopo lei avrebbe dovuto ritirare 115.000 euro dalla banca e ne avrebbe dovuti consegnare, in contanti, 90.000 all’avvocato più i 10.000 che le aveva prestato. Incredula quest’amica telefonò ad un altro legale di sua conoscenza.
Il nuovo avvocato prese a cuore il problema richiedendo la consegna della documentazione cosa che il primo rifiutò di consegnare pretendendo il suo onorario (25.000 euro per lei, 5.000 per ogni bambini e i 10.000 euro prestati alla sua ex cliente).
La cifra stranamente era scesa e l’accordo si fece ma per la consegna della documentazione originale non se ne fece nulla, problema che impedì il versamento degli onorari richiesti. Per tutta risposta il primo avvocato, vista sfuggirsi l’assaporata polpetta, richiese il pignoramento dei ¾ del risarcimento assicurativo privando la povera ed ormai disperata Irina di una sicura fonte di sostentamento per lei e per i quattro bambini: l’avidità è nemica di ogni sentimento e quel luminare del diritto, contro ogni principio deontologico, con quel gesto buttò fango sull’intera categoria.
Nel frattempo il Comune, venuto a sapere dei 115.000 euro, sospese il contributo mensile e a nulla valsero i tentativi di chiarimenti circa l’indisponibilità di tale denaro (quando si dice l’inflessibilità del pubblico funzionario).
Lei avrebbe potuto lavorare ma dove e come farlo con quattro bambini piccoli? L’asilo nido comunale per i due più piccoli anche se il reddito di lei è pari a zero le chiese il pagamento di 80 euro mensili. Nello spirito di accoglienza che ci contraddistingue la prima bambina, a scuola, non comprendendo alcune parole in italiano (la madre lo parla stentatamente) si sentì dire dalla sua maestra, davanti all’intera classe “Allora perché non dici a mamma di ritornarsene al suo paese?” sgretolando in un solo istante lo spirito di solidarietà che la scuola dovrebbe infondere ai suoi alunni.
Nel frattempo ogni tentativo di ricomposizione tra i legali sembrò andare a vuoto, né valsero i tentativi di ricondurre la controversia ad una più mite soluzione per il tramite di altri legali.
Oggi la situazione sembra si sia sbloccata: lei per vivere potrà impiegare la sua quota (circa 80 mila euro) e potrà, in parti uguali, ritirare la somma necessaria per l’acquisto di un appartamento dignitoso (la restante parte andrà in titoli di Stato da godersi al compimento del 18° compleanno).
A questo luminare del diritto auguriamo una vita lunga ma piena di rimorsi perché alla propria dignità di uomo ha preferito anteporre il vile denaro.
Se il nuovo pacchetto giustizia ridurrà, e di molto, la presenza di questi poveri cristi sul nostro territorio, come potranno mantenere i loro SUV e le loro ville, le loro serate nei locali notturni e nei ristoranti, le loro dosi di cocaina e le loro amichette di una notte?
Questi squali hanno bisogno del denaro di questi derelitti che, incrociati per strada, forse neanche guarderebbero ma che nei loro lussuosi studi ospiterebbero ben volentieri.
Irina, questo è il nome di fantasia che daremo alla giovane ventitreenne, nel 1998 giunse in un piccolo paesino del nostro Sud e per sopravvivere decise di lavorare nei campi a raccogliere frutta ed ortaggi. Tra i compagni di lavoro fece presto amicizia con un giovane di un paese diverso dal suo le cui tradizioni e credo religioso era agli antipodi con la sua cultura: eppure l’amore vinse su tutto e fece superare anche queste diversità. Si innamorarono e decisero di andare a vivere insieme.
I primi tempi furono idilliaci: nonostante il peso di un lavoro che poco si addiceva alla sua fragilità di giovane donna, questa fatica veniva placata dalle accortezze che il “suo uomo” le dimostrava. Teneramente, mano nella mano, a passeggio in città lungo viali illuminati da vetrine piene di abbondanza, abbracciati a sognare un futuro migliore.
Da quel grande amore nacque una bambina e dopo circa due anni un bel maschietto: il fatto che lui volesse a tutti i costi dare ai figli un nome tipico del suo paese non piacque a Irina ma per amore superò anche questo piccolo dispiacere.
Si trasferirono ed andarono a vivere in un centro antico di un altro piccolo paese più vicino al posto di lavoro di lui ma pur tentando di affittare un appartamento dignitoso, grande e luminoso per una famiglia che avrebbero voluto numerosa, dovettero accontentarsi, anche per la scarsa disponibilità economica, di un piccolo alloggio umido a livello della strada, con due camere anguste e senza finestre: lì nacquero altri due bambini e la casa divenne subito troppo piccola per sei persone.
Quello che a Irina sembrava essere la sua grande storia d’amore ben presto cominciò ad assumere una dimensione diversa: intanto anche agli altri due bambini l’uomo volle imporre nomi tipici del proprio paese d’origine e questo proprio non andò giù ad Irina che tentò una piccola forma di ribellione ma dovette soccombere sotto i colpi violenti di quelle mani che fino a pochi mesi prima l’avevano accarezzata, dato piacere e stretta a darle sicurezza, così lontana dal calore della sua famiglia.
Non so cosa accadde nella mente di quell’uomo ma un bel giorno Irina scoprì il suo lato oscuro e in quale abisso stava per trascinarla.
La sera tornava da lavoro sempre più tardi e sempre più ubriaco, gli eccessi d’ira erano sempre più frequenti e gli attacchi di violenza, spesso immotivata, sempre più pericolosi. La pazzia di quell’uomo giunse al culmine quando sotto gli occhi terrorizzati dalla prima figlia, le puntò un coltello alla gola minacciandola di morte chissà per quale assurda motivazione.
Quest’uomo, roso dalla gelosia, era arrivato al punto di chiudere a chiave la porta di casa per evitare che nessuno della sua famiglia avesse contatti con l’esterno: potevano uscire solo con lui. Nonostante lei fosse di religione cattolica lui le impose di seguire i dettati della sua religione.
Un giorno Irina decise di contattare un gruppo di persone che aiutavano famiglie bisognose: il denaro di lui non bastava mai e lei, per accudire i quattro figli piccoli e per la gelosia del suo compagno, aveva smesso di lavorare.
Le occorreva l’indispensabile: biscotti, abitini, scarpette, latte e queste persone dal grande cuore si adoperarono per colmare questi bisogni, anche con sacrifici economici personali, sopperendo alla mancanza delle istituzioni che tanto dicono di fare per i più bisognosi.
Quando con gli amici il “suo uomo” beveva (facendo uno strappo ai dettami della sua religione) la mattina non riusciva ad andare a lavoro: questo cominciò a ripetersi con una certa frequenza e gli effetti cominciarono ben presto a farsi sentire.
In quella casa cominciò a mancare tutto, non si riusciva neanche a mettere da parte i soldi per pagare le bollette e l’affitto e cominciarono a nascere altri motivi di tensione in famiglia.
A questa sciagura si aggiunse il fatto che neanche la chiesa poté aiutarli perché residenti in un’altra parrocchia (?) e visto che davanti alla miseria anche negli ambienti religiosi prevale la burocrazia, la giovane disperata dovette rinunciare anche a quest’aiuto.
Il “suo uomo”, pur disprezzando ogni religione diversa dalla sua, dimenticava tali sentimenti ogni volta che si trovava a fare la fila alla Caritas per ritirare cibo e abiti. Lei viveva come una schiava, oggetto di ogni abuso, ed il “suo uomo” le aveva annullato la volontà.
Lui voleva sposarla ma non per amore: il nuovo status gli avrebbe permesso di mettere in atto il suo piano e cioè portare via i quattro bambini nel suo paese d’origine senza la necessaria autorizzazione della madre (necessaria quando si è conviventi).
Un giorno venne picchiata selvaggiamente solo perché la figlia aveva detto al padre che la mattina era venuta una conoscente della madre, accompagnata da un uomo, per consegnarle del cibo e dei vestiti: lui non gradì e fece arrivare messaggi di minaccia a queste persone.
Vietò i figli di andare all’asilo retto da religiose privando questi piccoli angeli di un seppur breve momento di tranquillità.
Un anno fa Irina chiamò la ragazza che da tempo le dava una mano, ormai divenuta sua amica, per comunicarle che il “suo uomo” era stato investito ed ucciso da un’auto pirata.
Nella sua voce c’era tanta tristezza ma anche la consapevolezza che davanti a lei si stava schiudendo una nuova vita.
Come primo atto di ribellione alle angherie subite fino a quel momento, Irina battezzò i suoi quattro figli, nel disprezzo degli amici del “suo uomo”.
Nel frattempo qualche anima buona le aveva istruito le pratiche di affido presso l’Ufficio Politiche Sociali del Comune dove abitava così che dopo poco cominciò a percepire circa 400 euro mensili per il pagamento delle spese vive (bollette, affitto) ma rimaneva il problema di vestire i figli e mangiare e su questo molta gente di buon cuore si adoperò rendendole meno penosa l’esistenza.
Un giorno alcuni amici del suo compagno portarono Irina da un avvocato, di quelli senza scrupoli - ma lei non lo sapeva - di quelli che ammaestrava i suoi clienti stranieri per organizzare finti incidenti stradali, spolpare le assicurazioni e dividere il bottino. Un giorno, dicevo, Irina si trovò seduta nell’ufficio di quest’avvocato pronto “a mettersi a sua completa disposizione” per fare avere un cospicuo risarcimento danni a lei e ai quattro figli. Occorse quasi un anno perché l’assicurazione le riconoscesse un indennizzo di 115.000 euro e 400.000 euro ai quattro figli, questi ultimi da godersi al raggiungimento del loro 18° anno.
L’avvocato, da par suo, annusò subito il grande affare: addolcì Irina versandole ogni volta 2/300 euro per le piccole necessità (“Quando hai problemi non preoccuparti, non chiedere niente a nessuno, ci sono io che ti aiuto”, che grande cuore) fino ad arrivare ad oltre 10.000 euro di prestito.
Arrivato il giorno fatidico l’avvocato invitò Irina con una certa urgenza ad aprire un conto corrente in una banca lontana dal paese dove abitava, là “dove un amico avrebbe seguito meglio la pratica”.
Il denaro di Irina arrivò dopo poco, vennero segnalate all’assicurazione le coordinate bancarie ove accreditare la somma ma il giorno prima di andarlo a ritirare il suo avvocato (pregustando il boccone succulento che stava per agguantare) la convocò nel suo ufficio per avvertirla di cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo in banca.
Di ritorno da quel colloquio Irina incontrò l’amica la quale, vedendola sconvolta, ne chiese spiegazioni: il giorno dopo lei avrebbe dovuto ritirare 115.000 euro dalla banca e ne avrebbe dovuti consegnare, in contanti, 90.000 all’avvocato più i 10.000 che le aveva prestato. Incredula quest’amica telefonò ad un altro legale di sua conoscenza.
Il nuovo avvocato prese a cuore il problema richiedendo la consegna della documentazione cosa che il primo rifiutò di consegnare pretendendo il suo onorario (25.000 euro per lei, 5.000 per ogni bambini e i 10.000 euro prestati alla sua ex cliente).
La cifra stranamente era scesa e l’accordo si fece ma per la consegna della documentazione originale non se ne fece nulla, problema che impedì il versamento degli onorari richiesti. Per tutta risposta il primo avvocato, vista sfuggirsi l’assaporata polpetta, richiese il pignoramento dei ¾ del risarcimento assicurativo privando la povera ed ormai disperata Irina di una sicura fonte di sostentamento per lei e per i quattro bambini: l’avidità è nemica di ogni sentimento e quel luminare del diritto, contro ogni principio deontologico, con quel gesto buttò fango sull’intera categoria.
Nel frattempo il Comune, venuto a sapere dei 115.000 euro, sospese il contributo mensile e a nulla valsero i tentativi di chiarimenti circa l’indisponibilità di tale denaro (quando si dice l’inflessibilità del pubblico funzionario).
Lei avrebbe potuto lavorare ma dove e come farlo con quattro bambini piccoli? L’asilo nido comunale per i due più piccoli anche se il reddito di lei è pari a zero le chiese il pagamento di 80 euro mensili. Nello spirito di accoglienza che ci contraddistingue la prima bambina, a scuola, non comprendendo alcune parole in italiano (la madre lo parla stentatamente) si sentì dire dalla sua maestra, davanti all’intera classe “Allora perché non dici a mamma di ritornarsene al suo paese?” sgretolando in un solo istante lo spirito di solidarietà che la scuola dovrebbe infondere ai suoi alunni.
Nel frattempo ogni tentativo di ricomposizione tra i legali sembrò andare a vuoto, né valsero i tentativi di ricondurre la controversia ad una più mite soluzione per il tramite di altri legali.
Oggi la situazione sembra si sia sbloccata: lei per vivere potrà impiegare la sua quota (circa 80 mila euro) e potrà, in parti uguali, ritirare la somma necessaria per l’acquisto di un appartamento dignitoso (la restante parte andrà in titoli di Stato da godersi al compimento del 18° compleanno).
A questo luminare del diritto auguriamo una vita lunga ma piena di rimorsi perché alla propria dignità di uomo ha preferito anteporre il vile denaro.
Se il nuovo pacchetto giustizia ridurrà, e di molto, la presenza di questi poveri cristi sul nostro territorio, come potranno mantenere i loro SUV e le loro ville, le loro serate nei locali notturni e nei ristoranti, le loro dosi di cocaina e le loro amichette di una notte?
Questi squali hanno bisogno del denaro di questi derelitti che, incrociati per strada, forse neanche guarderebbero ma che nei loro lussuosi studi ospiterebbero ben volentieri.
Spero che la coscienza di quest’individuo lo tormenti per il resto della vita.
Armando Voza
COMMENTO
Si tratta di una storia vera, che vorrei segnalare alla Lega Nord, a Bobo Maroni e a Silvio Berlusconi, se soltanto vi fosse un barlume di speranza di riuscire a toccare quella minuscola particula di umanità che dovrebbe albergare anche nei loro cuori inariditi.
Ma temo, anzi sono certo che sarebbe fatica sprecata.
Luigi Morsello
1 commento:
Questa storia mi ha lasciato senza parole!
Certe volte c'è da vergognarsi di appartenere alla razza umana.
Valori come l'onestà, la lealtà o la coerenza sembrano chimere.
Di rispetto per gli altri, poi, neanche a parlarne!
Chissà perchè sono state inventate queste parole...
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