Elena Giacomelli
Siamo arrivati a Galway di sera intorno alle otto, ma era ancora chiaro, in agosto da quelle parti non fa buio completo se non intorno alle 11. Abbiamo visto alla nostra sinistra un cartello di legno che diceva B&B “Ocean View” rozzamente scritto a mano, e in quel punto la strada diventare una viottolo che si inerpicava invitante sulla collina splendente di smeraldo anche in quell’ora azzurrina, mentre alla nostra destra si apriva una baia di terra rossiccia e bassi arbusti, e oceano da perdersi.
Avevamo ormai superato la svolta, ci siamo guardati, Fabio ha girato l’auto al primo slargo ed è tornato indietro. Ci siamo arrampicati su per la stradina, che in poche svolte ci ha portato ad un poggio incantato.
La casa era di legno bianco, ampie vetrate, un portico affacciava su un giardino ricolmo di fiori e colori ordinato in aiole di pietre e rocce, un insieme armonioso di apparente casualità. Oltre il giardino, la vista respirava a perdita d’occhio, a confondersi in quella bruma di cielo irlandese lievemente appoggiato sul mare.
Ad aggirarsi tra terra erbosa e fiori, la figura alta e scalza della proprietaria, capelli corti miele e rame, gonnellona ampia color pastello. Ci ha accolto venendoci incontro da un sorriso sincero e luminoso, quasi danzando.
La donna naif.
Dopo i convenevoli ed il rapido accordo sulla camera ed il prezzo, ci ha fatto accomodare su due sedie bianche sotto il portico, servendoci un tè con latte sul tavolino basso di vimini, porcellana a piccoli ghirigori di fiori. Non riuscivo pienamente a comprendere, e non tanto la bellezza di cui potevo bearmi, ché di splendori della natura ne ho gli occhi ricolmi dopo oltre quarant’anni di sguardi, sebbene mai sazi, quanto l’intimità che tutto mi ispirava, un osmotico impregnarsi di quella terra nelle faglie sotterranee del mio sentire, come in pochi altri luoghi mi sia mai accaduto. Forse veramente soltanto in quell’isola incantata.
Abbiamo sorseggiato il tè caldo, respirando gli attimi nel tentativo di prolungarli il più possibile. Erano le 8,30.
La signora naif ci ha accompagnato in casa mostrandoci la nostra stanza. Era la camera che sognavo da ragazzina, ideata come un nido in cui allevare sogni da adolescente. Forse per i fiori che si sparpagliavano fra la carta da parati i copriletto e le tendine, o magari per la moquette carta da zucchero, la cassettiera bianca, la poltroncina rivestita a righine, l’abat-jour a fare una luce pastello.
Una piccola radio diffondeva a basso volume un incongruente “..e lucean le stelle..”.
Abbiamo aperto le valigie e sistemato poche cose. Dai quadrotti delle finestre occhieggiava la baia nella penombra del quasi tramonto, l’aria era fresca. Ma in pochi minuti avevamo già il costume addosso e lo zainetto con due asciugamani in spalla.
Un saluto alla signora naif ed eravamo sulla via per la spiaggia. Ancora qualche minuto di cammino, eravamo lì.
Le 9,25.
L’oceano risaccava quieto all’interno della baia ormai plumbea, ed era l’unico suono, l’aria era fresca, la sabbia già gelida sotto le piante dei piedi. Volevamo saggiare l’acqua dell’oceano, sentirla addosso.
Ci siamo avvicinati al mare, immergendo la punta dei piedi. Ma il freddo ci ha colpiti come uno schiaffo immotivato, e abbiamo battuto in rapida ritirata, trafitti come se realmente lo avessimo ricevuto.
Fabio già sedeva sconfitto sulla sabbia, io sono rimasta sul bagnasciuga a contemplare l’acqua nella penombra che infittiva rapidamente.
Le 9,45.
Una figura silenziosa si è mossa sicura verso l’oceano. Indossava una di quelle cuffie di gomma con fiori o forse stelle marine applicate.
Ci è passata accanto, e voltandosi ci ha salutato cinguettante.
La signora naif con cuffia naif.
Ridendo ha preso a sbracciarsi, “Come on, come on! It’s wonderful!!”. Continuava ad avanzare e mentre ci chiamava era già completamente immersa e sguazzava dolcemente neanche stesse facendo i bagni di acque termali anziché tentare di nuotare in una granita. ”You don’t think, just move move move, you can! Come on!..” gridava, più o meno così.
Sarà stato il vedere lei nuotare serafica in quelle acque malgrado tutto così invitanti o la sua ipnotica insistenza, il tramonto dai colori mescolati lì per lì, non so bene come, ma è andata proprio così.
Fabio si è alzato dal suo asciugamano, e ci siamo immersi, avanzando lentamente ma senza mai fermarci, come un fantasma attraversa un muro, e abbiamo preso a nuotare imitandola.
E la signora naif rideva, dicendo: “Oh! Yes! Wonderful! Wonderful!”, e non ricordo un momento più assurdo e più gratificante, quasi avessimo vinto una sfida con l’impossibile.
Nuotare nel gelido Oceano Atlantico alle dieci di una sera d’agosto, sotto un cielo dipinto d’Irlanda.
Avevamo ormai superato la svolta, ci siamo guardati, Fabio ha girato l’auto al primo slargo ed è tornato indietro. Ci siamo arrampicati su per la stradina, che in poche svolte ci ha portato ad un poggio incantato.
La casa era di legno bianco, ampie vetrate, un portico affacciava su un giardino ricolmo di fiori e colori ordinato in aiole di pietre e rocce, un insieme armonioso di apparente casualità. Oltre il giardino, la vista respirava a perdita d’occhio, a confondersi in quella bruma di cielo irlandese lievemente appoggiato sul mare.
Ad aggirarsi tra terra erbosa e fiori, la figura alta e scalza della proprietaria, capelli corti miele e rame, gonnellona ampia color pastello. Ci ha accolto venendoci incontro da un sorriso sincero e luminoso, quasi danzando.
La donna naif.
Dopo i convenevoli ed il rapido accordo sulla camera ed il prezzo, ci ha fatto accomodare su due sedie bianche sotto il portico, servendoci un tè con latte sul tavolino basso di vimini, porcellana a piccoli ghirigori di fiori. Non riuscivo pienamente a comprendere, e non tanto la bellezza di cui potevo bearmi, ché di splendori della natura ne ho gli occhi ricolmi dopo oltre quarant’anni di sguardi, sebbene mai sazi, quanto l’intimità che tutto mi ispirava, un osmotico impregnarsi di quella terra nelle faglie sotterranee del mio sentire, come in pochi altri luoghi mi sia mai accaduto. Forse veramente soltanto in quell’isola incantata.
Abbiamo sorseggiato il tè caldo, respirando gli attimi nel tentativo di prolungarli il più possibile. Erano le 8,30.
La signora naif ci ha accompagnato in casa mostrandoci la nostra stanza. Era la camera che sognavo da ragazzina, ideata come un nido in cui allevare sogni da adolescente. Forse per i fiori che si sparpagliavano fra la carta da parati i copriletto e le tendine, o magari per la moquette carta da zucchero, la cassettiera bianca, la poltroncina rivestita a righine, l’abat-jour a fare una luce pastello.
Una piccola radio diffondeva a basso volume un incongruente “..e lucean le stelle..”.
Abbiamo aperto le valigie e sistemato poche cose. Dai quadrotti delle finestre occhieggiava la baia nella penombra del quasi tramonto, l’aria era fresca. Ma in pochi minuti avevamo già il costume addosso e lo zainetto con due asciugamani in spalla.
Un saluto alla signora naif ed eravamo sulla via per la spiaggia. Ancora qualche minuto di cammino, eravamo lì.
Le 9,25.
L’oceano risaccava quieto all’interno della baia ormai plumbea, ed era l’unico suono, l’aria era fresca, la sabbia già gelida sotto le piante dei piedi. Volevamo saggiare l’acqua dell’oceano, sentirla addosso.
Ci siamo avvicinati al mare, immergendo la punta dei piedi. Ma il freddo ci ha colpiti come uno schiaffo immotivato, e abbiamo battuto in rapida ritirata, trafitti come se realmente lo avessimo ricevuto.
Fabio già sedeva sconfitto sulla sabbia, io sono rimasta sul bagnasciuga a contemplare l’acqua nella penombra che infittiva rapidamente.
Le 9,45.
Una figura silenziosa si è mossa sicura verso l’oceano. Indossava una di quelle cuffie di gomma con fiori o forse stelle marine applicate.
Ci è passata accanto, e voltandosi ci ha salutato cinguettante.
La signora naif con cuffia naif.
Ridendo ha preso a sbracciarsi, “Come on, come on! It’s wonderful!!”. Continuava ad avanzare e mentre ci chiamava era già completamente immersa e sguazzava dolcemente neanche stesse facendo i bagni di acque termali anziché tentare di nuotare in una granita. ”You don’t think, just move move move, you can! Come on!..” gridava, più o meno così.
Sarà stato il vedere lei nuotare serafica in quelle acque malgrado tutto così invitanti o la sua ipnotica insistenza, il tramonto dai colori mescolati lì per lì, non so bene come, ma è andata proprio così.
Fabio si è alzato dal suo asciugamano, e ci siamo immersi, avanzando lentamente ma senza mai fermarci, come un fantasma attraversa un muro, e abbiamo preso a nuotare imitandola.
E la signora naif rideva, dicendo: “Oh! Yes! Wonderful! Wonderful!”, e non ricordo un momento più assurdo e più gratificante, quasi avessimo vinto una sfida con l’impossibile.
Nuotare nel gelido Oceano Atlantico alle dieci di una sera d’agosto, sotto un cielo dipinto d’Irlanda.
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