Armando Voza
Restituito un nuovo gioiello alla città di Eboli.
All’inizio della salita che porta al Santuario dei Santi Cosimo e Damiano, sulla sinistra, c’è la strada che, attraversando i monti di Eboli, porta ad Olevano sul Tusciano. Subito dopo la prima grande curva, guardando sotto a sinistra si nota una piccola struttura, quella è la chiesetta di Santa Maria di Loreto più comunemente nota, tra gli anziani, come a Maronna u’ Crito.
Da una breve pubblicazione (Quaderni di Storia dell’arte. Eboli. S. Maria di Loreto) edita agli inizi degli anno Novanta a cura del Lions Club Eboli-Battipaglia Host, gli studiosi Carmelo Currò e Carmine Tavarone ci forniscono una serie di notizie su questo magnifico edificio religioso che Giuseppe Barra nel suo La Rettoria di San Nicola de Schola Graeca, a pag. 59, e il compianto Carmine Giarla nel numero di settembre 1998 de Il Saggio a pag. 15, rettificano aggiungendo notizie utili per comprendere la geografia degli edifici religiosi presenti nel nostro territorio.
Secondo Currò e Tavarone la chiesetta di Santa Maria di Loreto (o del Rito) sorgeva sulla diramazione italica della via sacra (iter sancti) ossia di una delle tante diramazioni che i fedeli percorrevano per raggiungere in Portogallo il santuario di Santiago di Compostela dove, si narra siano conservate le spoglie dell’apostolo Giacomo, colui che diffuse la dottrina cristiana in territorio iberico: il più famoso centro di devozione cristiana dopo Roma e Gerusalemme per quasi tutto il Medioevo.
Nel IX secolo d.C., secondo una leggenda, fu una stella ad indicare a dei pastori ormai persi, il luogo dove si trovava il corpo di San Giacomo: questa fu l’origine del nome di Compostela (campus stellae), il luogo della stella.
Ed è proprio a San Giacomo (raffigurato come un pellegrino con barba fluente, bastone e bisaccia) che la chiesetta, secondo i due storici, viene dedicata.
La funzione dell’edificio religioso, oltre a luogo di culto, doveva servire quale ospizio per i pellegrini.
Barra, nel suo libro ci ricorda invece che l’edificio religioso dedicato alla Madonna di Loreto – quello posto sull’attuale strada per Olevano - coesisteva con tre chiese dedicate a San Giacomo (una in via Pendino detta di San Giacomo vecchio, ex ospedale fondato nel 1296; una in via Magna Grecia detta di San Giacomo dei Fulgioni nuova e distrutta dai bombardamenti del 1943 e l’altra in via Rua detta di San Giacomo dei Giuliani o, anche, di San Filippo e Giacomo).
La chiesa di Santa Maria di Loreto rientrava tra le chiese granciali della Collegiata di Santa Maria della Pietà nel periodo dal 1539 al 1633, come risulta da un documento a firma del primicerio don Francesco Antonio de Petrutiis, da ciò ne discende che la chiesetta di cui stiamo parlando nulla ha a che vedere con quelle presenti dedicate a San Giacomo.
Preziosi documenti rinvenuti da Carmine Giarla a proposito di Santa Maria di Loreto ci raccontano di indulgenze concesse dal vescovo di Salerno Marco Antonio Marsilia Colonna con decreto del 21 agosto 1585 ed indirizzato ai penitenti che i sabato e domenica e nei giorni della festività della vergine avessero visitato, da penitenti, la chiesetta rurale; documenti che ci parlano di continue ristrutturazioni eseguite con denaro dei fedeli e ad opera di chierici che avevano in cura la struttura.
Ma cosa troviamo, ancora oggi, all’interno del piccolo edificio religioso?
All’interno della chiesetta vennero edificati due altari laterali e dipinte sulle pareti delle immagini sacre alcune della quali ancora oggi visibili.
Per tali lavori non mancò l’apporto finanziario di molte famiglie nobili ebolitane tra le quali i de Cristofaro, i Valente e i Troiano.
Lo splendore della chiesetta proseguirà fino allo spopolamento dell’area causato dalla peste del 1656 e dalla scomparsa dei discendenti di quei Fulgione che tanta attenzione e devozione avevano dedicato alla chiesetta. Nel 1609 la chiesa risulta riccamente arredata ed affrescata, come risulta da un inventario.
Oggi quel che resta di quell’edificio sembra ben poca cosa rispetto a quel che abbiamo descritto poc’anzi.
Ad uno sconcertato visitatore l’edificio religioso appare nella sua più cruda realtà: un semplice portale in pietra sormontato da un’edicola votiva con l’effige, ancora visibile, della Madonna del Carmelo su una facciata disadorna: l’iscrizione A.D. Devoti 1836 indica probabilmente l’ultima volta che mano umana abbia seriamente provveduto alla manutenzione della struttura.
All’interno è ancora presente un ciclo non omogeneo di affreschi parietali di grande interesse che se non risaltano per la loro cromaticità e qualità compositiva rappresentano un tassello importante per gli studiosi che vogliono ricostruire la storia dei percorsi figurativi dell’epoca.
Sulla parete destra per chi entra nella chiesa, l’affresco è databile intorno al 1577 e dedicato ad Olimpia de Troiano, figlia di Cesare e moglie del nobile napoletano Michele Aragusa che la sposò il 26 marzo 1552, dipinto che venne commissionato, probabilmente, ad un artista locale, forse Giovanni Luce de Luca: il dipinto rappresenta i santi Pietro e Paolo che fiancheggiano la Trinità in cui Dio regge tra le mani la croce del figlio; nella parte inferiore la Vergine con il bambino con ai lati i santi Antonio e Bernardino.
Il secondo affresco, sempre sulla parete destra, venne commissionato dalla famiglia de Cristofaro e raffigura l’origine della stirpe di Cristo: dal corpo dell’anziano Jesse si diramano radici di un albero i cui rami accolgono le figure di re e profeti e le cui chiome incorniciano la Vergine con bambino che, in alto al centro della composizione, è adagiata sul simbolico arco di una falce di luna.
Dello stesso periodo è l’affresco posto sulla parete di fronte dove una Vergine incoronata da angeli presenta il Cristo bambino al globo crucifero: probabilmente dall’iscrizione che compare ai piedi dell’affresco trattasi di un voto alla Madonna da parte di un commerciante e chierico (Ieronimus Valente) che era sfuggito al mare in burrasca a dagli assalti pirateschi. A quest’opera è affiancata la raffigurazione della Vergine in trono col bambino presso i quali sono inginocchiati San Giacomo Battista sulla destra e i santi Gerolamo e Berniero sulla sinistra, a separare i due gruppi un brullo paesaggio forse a voler significare l’esistenza penitenziale dei tre santi.
Sulla parete frontale un altro affresco raffigurante l’Annunciazione nella parte superiore e i tre arcangeli Raffaele, Michele e Gabriele negli specchi anteriori dei pilastri sono databili intorno tra il 1550 ed il 1560
Alla Vergine di Loreto è dedicato l’affresco che compare sulla parete di fondo della nicchia ma il tempo e la stupidità umana ha devastato irrimediabilmente le figure dei santi che le erano accanto: ai piedi dell’affresco si intravede una data, 1530 ed anche questo viene attribuito al maestro ebolitano Luca de Magistro.
Della fine del Seicento deve datarsi il ciclo cristologico sulle pareti e nell’intradosso della nicchia di Loreto. Sotto la volta pone un Cristo Triumphans tra gli angeli, alle pareti le tappe della sua vita scandite da quattordici sequenze così disposte: in alto partendo da sinistra Annunciazione, Visitazione, Natività e Adorazione dei magi; in basso dalla destra Fuga dall’Egitto, la Circoncisione, l’Ultima cena; prosegue in alto con l’Andata al Calvario, la Crocefissione, la Deposizione dalla Croce e la Deposizione nel Sepolcro per concludere in basso sulla parete sinistra con riquadro raffigurante la Resurrezione e due affreschi completamente sfigurati.
E’ grazie all’impegno del Centro Studi “Simone Augelluzzi” di Eboli se oggi l’edificio religioso, interessata la Sovrintendenza ai Beni Storici ed Archeologici di Salerno ed Avellino ed il sindaco di Eboli, è finalmente riuscito a riavere una degna copertura.
Il lavoro fatto è di gran pregio essendo stati utilizzati degli embrici in cotto esteticamente molto belli ed adeguati alla struttura che li accoglie e questo all’indomani dello scempio causato da vandali che avevano sfondato con massi la preesistente copertura causando infiltrazioni di acque meteoriche che minacciavano seriamente l’integrità degli affreschi, ancorché protetti – approssimativamente - con dei teli di plastica.
Oggi si chiede alla nostra amministrazione di non rendere vano questo sforzo economico intervenendo per proteggere la chiesetta, distante pochi metri dalla sede stradale, con una protezione adeguata (un’alta rete o una protezione in plexiglass trasparente) per evitare che lo scempio si ripeta o che qualche delinquente vada a rimuovere la copertura in cotto che troverebbe sicuramente qualche simpatico acquirente.
L’associazione promotrice di tale intervento potrebbe farsi avanti per chiedere a don Lazzaro Benincasa, rettore della Collegiata di Santa Maria della Pietà, l’affidamento dell’edificio religioso così che possa essere salvaguardato ed utilizzato per visite guidate: l’instancabile Francesco Manzione – artefice di questa battaglia - su questo non si farà certamente trovare impreparato.
Armando Voza
2 commenti:
Sono via da Eboli da 34 anni, salvo rare brevi visite.
Confesso che questa chiesetta proprio non la ricordo più.
Alla prossima occasione...
Non puoi ricordarla, è fuori mano, io ho capito dov'è dalla descrizione di Armando Voza, ci sono passato in macchina, a piedi mai, non l'ho mai vista.
Alla prossima.
Anche per me ...
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