domenica 8 giugno 2008

LA LEGGE SALVA-CASTA



Carmelo Lo Papa
ad Antonio Di Pietro
La Repubblica
8 giugno 2008

Antonio Di Pietro: «Con quella legge lì, Mani Pulite sarebbe nata e subito morta. Perché Mario Chiesa lo abbiamo arrestato in flagranza, sì, ma solo perché era sotto intercettazione. E così tutti gli altri dopo di lui».
La Repubblica: Divieto assoluto di intercettazioni, cinque anni a chi le esegue e a chi le pubblica. Onorevole Di Pietro, il premier Berlusconi ci riprova. Ma stavolta i numeri della maggioranza sono dalla sua.
Antonio Di Pietro: «È un progetto criminogeno, che noi di Idv tenteremo di contrastare, dentro e fuori il Parlamento. Se necessario anche facendo ricorso al referendum. Perché non è degno di uno stato di diritto che di fronte a un problema reale, il crimine, vengano eliminati gli strumenti a disposizione per combatterlo».
La Repubblica: La stretta farebbe salve le inchieste su criminalità organizzata e terrorismo. Ma non i reati per corruzione e concussione. Insomma, i reati dei colletti bianchi. Cosa vuol dire?
Antonio Di Pietro: «Intanto, vuol dire che il governo rinuncia a perseguire anche la grande criminalità. Perché per scoprire che un gruppo di persone delinque in modo organizzato, che una serie di reati specifici fanno parte di un disegno criminoso, occorrono prima indagini, intercettazioni, appunto. Nel momento in cui impediscono di farle, escludono la possibilità di risalire all´organizzazione».
La Repubblica: Ha la sensazione che si tratta di una legge ad personam?
Antonio Di Pietro: «È il solito modello berlusconiano. Mano dura nei confronti dei più deboli e occhio di riguardo verso gli amici. Piuttosto la definirei una legge ad personas. In favore di quelle che fanno parte della casta. Ecco cos’è una norma salva casta».
La Repubblica: Carcere per i giornalisti, pesanti multe per gli editori. Ha l’impressione che nel mirino ci sia l’informazione?
Antonio Di Pietro: «Altro che impressione, è proprio così. Con l’intento evidente di impedire all’opinione pubblica di conoscere quel che di illecito accade dentro il palazzo del potere».
La Repubblica: Ammetterà che in questi anni non sono mancati gli eccessi. Dialoghi privati intercettati e poi immotivatamente pubblicati.
Antonio Di Pietro: «Distinguiamo tra intercettazioni lecite e quelle illegalmente acquisite. Queste ultime, tipo Telecom o Pio Pompa per intenderci, non vanno pubblicate. Ma per quelle lecite, va solo evitato che la pubblicazione avvenga prima del deposito degli atti. Il resto deve essere rimesso alla deontologia del giornalista, che non può essere definito tale se scrive dei baci mandati via sms da Anna Falchi a Ricucci. Non per questo, però, l’opinione pubblica deve restare all’oscuro del traccheggio tra i furbetti del quartierino e il governatore della Banca d’Italia».
La Repubblica: Il Guardasigilli Alfano ha ricordato che le intercettazioni pesano per il 33 per cento della spesa complessiva per la Giustizia: «Un eccesso». Concorda?
Antonio Di Pietro: «Perché non risparmia anche sul restante 70 per cento? Magari riducendo le indagini di polizia e carabinieri? I tagli vanno fatti agli sprechi a tutti i livelli, non sugli strumenti dei magistrati. Il ministro dovrebbe ricordare che negli ultimi dieci anni sono stati confiscati ai criminali e depositati presso gli uffici postali 1 miliardo 560 milioni. Quanto una mini manovra. Anche grazie alle intercettazioni. Peccato che quel tesoro giaccia inutilizzato: noi proponiamo che venga invece impiegato per il funzionamento della giustizia.

Se Alfano ha bisogno di soldi, li recuperi da lì, non impedisca agli inquirenti di lavorare».

COMMENTO

10, 100, 1000 Antonio Di Pietro !

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