Francesco Verderami
Il Corriere della Sera
14 giugno 2008
Siccome raccontare è anche un modo di condividere il proprio stato d’animo, dagli ultimi racconti del premier emerge un senso di cupezza. È come se il Cavaliere si rendesse conto che il suo decisionismo si è impigliato.
Proprio così. Silvio Berlusconi sembra essersi impigliato nelle maglie della burocrazia, negli atti della magistratura, nelle manovre politiche degli alleati, in special modo della Lega. Perciò racconta, come a volersi sfogare. E non è un caso se ieri ha raccontato un episodio che - a suo avviso - è la testimonianza degli «intralci al mio tentativo di governare». Il problema dei rifiuti in Campania vuole risolverlo, anzi deve. «Bene, sono andato a Napoli. Ho tenuto la conferenza stampa, detto che verrà completato il termovalorizzatore di Acerra, annunciato il nome della società che porterà l’opera a compimento. E la mattina dopo cos’è accaduto? Che la procura è andata negli uffici di quell’azienda e ha sequestrato tutte le carte. Vi è chiaro? Hanno sequestrato tutto. L’amministratore delegato della società mi ha fatto sapere che volevano rinunciare. È dovuto intervenire Letta per farlo tornare sui suoi passi. Diglielo, Gianni». E «Gianni» ha ammesso di aver dovuto «faticare»: «La società voleva mollare, andarsene addirittura all’estero».
Ma il racconto legato all’«ennesimo episodio di intromissione della giustizia», serve a celare un’irritazione che si estende alle «direttive da applicare » da parte degli apparati dello Stato, e ai veti, agli scontri, alle faticose mediazioni che sono proprie della politica. Perché non c’è dubbio che «dopo una prima fase di gestione commissariale di Berlusconi, qualcosa è cambiato», lo ammette un fedelissimo del premier come il ministro Gianfranco Rotondi: «Ora Berlusconi deve fare i conti con le regole del gioco, che sono le stesse di sempre». Ed è la vischiosità che frena ogni sua decisione a far infuriare il Cavaliere, lui che durante la campagna elettorale aveva scaricato sull’Udc le colpe per gli errori e i ritardi del precedente governo, ed aveva motivato così la rottura dai centristi: «Non avverrà più».
«Ma in politica - spiega Rotondi - ci sarà sempre qualcuno che farà la parte di Pier Ferdinando Casini». Ed è nei leghisti che il premier rivede al momento le movenze dei centristi, è in quel suo «ne ho fin qui» che si riassume la fatica degli ultimi passaggi. Perché la legge sulle intercettazioni varata dal governo, non è la stessa che aveva in mente. L’avvocato-deputato Consolo del Pdl, l’ha pubblicamente sottolineato: «Berlusconi sette giorni fa aveva detto cose diverse. Forse avrà dovuto piegarsi alle richieste del Carroccio. Comunque si vede che il suo decisionismo va a corrente alternata».
Sarebbe però un errore voler sovrapporre l’immagine del Senatùr a quella di Casini, e lo stesso Francesco Cossiga spiega perché «è un errore»: «Tra Berlusconi e Bossi i rapporti sono eccellenti. Fosse per l’Umberto non sorgerebbero certi problemi. Sono invece i colonnelli leghisti a lavorare sotto traccia. Sanno di essere forti e usano la loro forza per centrare gli obiettivi che si sono prefissi. Ma non somigliano ai centristi, bensì a Rifondazione». È da verificare se l’ex capo dello Stato abbia davvero ragione, è certo però che l’intervista a Libero del titolare del Viminale, Roberto Maroni, non è piaciuta al Cavaliere, per il passaggio sul reato di clandestinità «che deve restare», e per quello sulle intercettazioni, dove «ha vinto il buonsenso». «Il gioco al ribasso su certi temi—secondo Cossiga—serve per ottenere di più su altri». Sarà. Certo Berlusconi è stufo di subire il lavorio ai fianchi, che va dalle questioni europee fino a quelle comunali. Ma un conto è la tradizionale posizione dei leghisti sull’Ue, altra cosa è che qualcuno tenti di sfruttare le difficoltà per destabilizzare il Pdl. Perché è stato abile il ministro dell’Interno alla conferenza Stato-Città, dove il sindaco di Milano ha fatto una sfuriata per i tagli: «Voglio capire. Togliete soldi a noi per darli a Roma? Io non sono disposta a pagar pedaggio per chi non è stato efficiente e virtuoso nella gestione». E Maroni: «Hai ragione, Letizia...».
Come non sapesse che il premier deve evitare il collasso del Campidoglio, che si è impegnato con Gianfranco Fini su questo. Come non sapesse che Giulio Tremonti cerca risorse, «altrimenti - spiegava giorni fa il ministro Altero Matteoli a un amico - senza finanziamenti per le infrastrutture e lo sviluppo, Silvio si può far benedire ogni giorno dal Papa...».
Proprio così. Silvio Berlusconi sembra essersi impigliato nelle maglie della burocrazia, negli atti della magistratura, nelle manovre politiche degli alleati, in special modo della Lega. Perciò racconta, come a volersi sfogare. E non è un caso se ieri ha raccontato un episodio che - a suo avviso - è la testimonianza degli «intralci al mio tentativo di governare». Il problema dei rifiuti in Campania vuole risolverlo, anzi deve. «Bene, sono andato a Napoli. Ho tenuto la conferenza stampa, detto che verrà completato il termovalorizzatore di Acerra, annunciato il nome della società che porterà l’opera a compimento. E la mattina dopo cos’è accaduto? Che la procura è andata negli uffici di quell’azienda e ha sequestrato tutte le carte. Vi è chiaro? Hanno sequestrato tutto. L’amministratore delegato della società mi ha fatto sapere che volevano rinunciare. È dovuto intervenire Letta per farlo tornare sui suoi passi. Diglielo, Gianni». E «Gianni» ha ammesso di aver dovuto «faticare»: «La società voleva mollare, andarsene addirittura all’estero».
Ma il racconto legato all’«ennesimo episodio di intromissione della giustizia», serve a celare un’irritazione che si estende alle «direttive da applicare » da parte degli apparati dello Stato, e ai veti, agli scontri, alle faticose mediazioni che sono proprie della politica. Perché non c’è dubbio che «dopo una prima fase di gestione commissariale di Berlusconi, qualcosa è cambiato», lo ammette un fedelissimo del premier come il ministro Gianfranco Rotondi: «Ora Berlusconi deve fare i conti con le regole del gioco, che sono le stesse di sempre». Ed è la vischiosità che frena ogni sua decisione a far infuriare il Cavaliere, lui che durante la campagna elettorale aveva scaricato sull’Udc le colpe per gli errori e i ritardi del precedente governo, ed aveva motivato così la rottura dai centristi: «Non avverrà più».
«Ma in politica - spiega Rotondi - ci sarà sempre qualcuno che farà la parte di Pier Ferdinando Casini». Ed è nei leghisti che il premier rivede al momento le movenze dei centristi, è in quel suo «ne ho fin qui» che si riassume la fatica degli ultimi passaggi. Perché la legge sulle intercettazioni varata dal governo, non è la stessa che aveva in mente. L’avvocato-deputato Consolo del Pdl, l’ha pubblicamente sottolineato: «Berlusconi sette giorni fa aveva detto cose diverse. Forse avrà dovuto piegarsi alle richieste del Carroccio. Comunque si vede che il suo decisionismo va a corrente alternata».
Sarebbe però un errore voler sovrapporre l’immagine del Senatùr a quella di Casini, e lo stesso Francesco Cossiga spiega perché «è un errore»: «Tra Berlusconi e Bossi i rapporti sono eccellenti. Fosse per l’Umberto non sorgerebbero certi problemi. Sono invece i colonnelli leghisti a lavorare sotto traccia. Sanno di essere forti e usano la loro forza per centrare gli obiettivi che si sono prefissi. Ma non somigliano ai centristi, bensì a Rifondazione». È da verificare se l’ex capo dello Stato abbia davvero ragione, è certo però che l’intervista a Libero del titolare del Viminale, Roberto Maroni, non è piaciuta al Cavaliere, per il passaggio sul reato di clandestinità «che deve restare», e per quello sulle intercettazioni, dove «ha vinto il buonsenso». «Il gioco al ribasso su certi temi—secondo Cossiga—serve per ottenere di più su altri». Sarà. Certo Berlusconi è stufo di subire il lavorio ai fianchi, che va dalle questioni europee fino a quelle comunali. Ma un conto è la tradizionale posizione dei leghisti sull’Ue, altra cosa è che qualcuno tenti di sfruttare le difficoltà per destabilizzare il Pdl. Perché è stato abile il ministro dell’Interno alla conferenza Stato-Città, dove il sindaco di Milano ha fatto una sfuriata per i tagli: «Voglio capire. Togliete soldi a noi per darli a Roma? Io non sono disposta a pagar pedaggio per chi non è stato efficiente e virtuoso nella gestione». E Maroni: «Hai ragione, Letizia...».
Come non sapesse che il premier deve evitare il collasso del Campidoglio, che si è impegnato con Gianfranco Fini su questo. Come non sapesse che Giulio Tremonti cerca risorse, «altrimenti - spiegava giorni fa il ministro Altero Matteoli a un amico - senza finanziamenti per le infrastrutture e lo sviluppo, Silvio si può far benedire ogni giorno dal Papa...».
E dire che «Silvio» aveva offerto del suo governo un’immagine diversa all’amico Bush: «È un mix di esperienza e gioventù. Ed è anche pieno di belle donne». Risposta del presidente americano: «Perché non le hai invitate qui a cena?».
COMMENTO
Finita davvero in fretta la luna di miele ! L'accoppiata Bush-Berlusconi: degna di un siparietto del "Bagaglino". In "quelle mani" sono stati i destini del mondo per otto lunghissimi anni. Se la democrazia non è crollata negli U.S.A vuol dire che è davvero forte, altro che la nosta italietta.
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