giovedì 19 giugno 2008

Un piano di 25 anni che dà subito risultati


Gianluca Di Donfrancesco
Il Sole 24 ore
15 giugno 2008

Azzerare l'impatto ambientale della produzione di una multinazionale è già una sfida, tenere il management concentrato su un traguardo che si prevede di tagliare in 25 anni è una sfida nella sfida: Interface e il suo fondatore e presidente, Ray Anderson (73 anni), sono sicuri di vincerle entrambe. La loro forza è la convinzione che un modello d'impresa eco-sostenibile sia il migliore, anche in termini di redditività.
Anderson è un guru dell' ecologia industriale. Nel 1994 decide che la sua società di rivestimenti per pavimentazioni, fondata nel 1973, deve diventare completamente eco-compatibile entro il 2020 e lancia il progetto « Mission Zero ».
Dopo quasi 13 anni, questa multinazionale da un miliardo di dollari di fatturato (la metà in Europa) con base ad Atlanta, leader globale del settore, con 5mila dipendenti e 110 stabilimenti in tutto il mondo, ha i numeri dalla sua. Il consumo di acqua nei processi industriali è diminuito dell'80%, l'utilizzo di materie prime ed energia è sceso del 45% e le emissioni di gas serra sono state tagliate del 60 % , i suoi impianti produttivi si alimentano per il 16% con energia eolica e solare.
Nello stesso periodo di tempo il fatturato del gruppo è raddoppiato e lo sforzo di riconversione ha generato economie per 3 72 milioni di dollari.Ed è proprio questa la chiave, come spiega Neel Bradham, che a 37 anni è già vicepresidente con delega al business development di Interface. « Il management del gruppo – afferma – è completamente dedito all'obiettivo non solo perché è parte del nostro brand e di quello che siamo, ma soprattutto perché abbiamo visto che funziona. Siamo convinti che il modello d'impresa ecosostenibile sia il migliore possibile».
Questa certezza, maturata con gli anni e i risultati, ha portato la società a cambiare mentalità, a concentrarsi sulla ricerca di prodotti innovativi che, oltre a essere meno inquinanti, hanno permesso di aumentare le vendite e conquistare nuovi mercati.Inseguire un traguardo così lontano nel tempo è tanto più difficile per una società quotata in Borsa, che deve presentare i suoi risultati agli azionisti ogni trimestre. Il gruppo, spiega Bradham, ha dovuto sviluppare un nuovo sistema per misurare le proprie prestazioni, chiamando i manager a tenere in considerazione anche « il return on ambient », oltre agli altri indici di rendimento.
L'attività delle unità produttive, aggiunge ancora Bradham, non sono valutate semplicemente sulla base dei parametri aziendali standard, comuni a tutte le imprese. Accanto a questi ci sono indici che tengono conto dei passi avanti fatti in termini di taglio degli sprechi, utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, riciclo dei materiali utilizzati, riduzione dei gas serra, tanto per fare qualche esempio.
« Guardiamo anche ai risultati ambientali e sociali della nostra attività e vogliamo vedere miglioramenti ogni anno », assicura Bradham. Senza fretta, però, e senza fissare obiettivi irrealizzabili: Interface è consapevole della portata della sfida, per questo si è data 25 anni per vincerla.
«I progressi che ci portano a ridurre l'impatto ambientale della produzione – spiega ancora il vicepresidente – non sono lineari e dipendono dalla disponibilità di tecnologie adeguate». Le parole d'ordine sono allora « pazienza e risolutezza ».
Gli sforzi del gruppo sono supervisionati dal Global council di Interface: un organo creato appositamente dove sono chiamati a partecipare addetti di tutti gli impianti nel mondo, in modo da rappresentare ogni divisione d'azienda (finanza, marketing, produzione e così via).
Questo consiglio, che si riunisce più volte l'anno in modo informale, viene convocato una volta ogni dodici mesi alla presenza dei manager di più alto livello. È in questa sede che viene sviluppata e corretta la road map per raggiungere l'obiettivo finale e che vengono individuate le aree di debolezza.
I risultati si vedono, ancora una volta, dai numeri. Dopo aver chiuso il 2007 con un trimestre da record nella storia del gruppo (con 39,4 milioni di utili), nel primo trimestre del 2008, Interface ha continuato a correre.
Le vendite sono aumentate del 7,5%, a 260 milioni di dollari, l'utile operativo è cresciuto del 27,4%, a 31 milioni, portando il mol al 36%, dal 34,2% del primo trimestre 2007. E il secondo trimestre, assicura il presidente e amministratore delegato, Daniel Hendrix, sta confermando l'ottimo andamento di inizio anno.

LA LUNGA MARCIA
2020
Il traguardo
Nel 1995, Interface ha lanciato la sua sfida: ridurre a zero l'impatto ambientale generato dalla propria produzione industriale. Un obiettivo ambizioso, per raggiungerlo il gruppo si è dato 25 anni di tempo.
1 miliardo di $
Il fatturato
Metà del giro d'affari della statunitense Interface è generato dalle esportazioni nei Paesi europei. La società produce rivestimenti per pavimentazioni in 110 impianti in tutto il mondo e ha cinquemila addetti.
372 milioni di $
Efficienza
Sono le economie generate dai processi di eliminazione degli sprechi fino al 2008. Interface considera spreco qualsiasi cosa non produca valore. Dal 1996, gli scarti sono stati ridotti del 66 per cento. Nello stesso periodo di tempo, il fatturato del gruppo è stato raddoppiato.
45%
Ambiente
Sempre a partire dal 1996, il gruppo è riuscito a ridurre di quasi la metà il consumo di energia impiegata nei processi produttivi e nel 2007 le fonti rinnovabili pesavano per il 27% sui consumi della multinazionale. Nello stesso periodo l'utilizzo di acqua è diminuito dell'80%, quello di materie prime del 45% e le emissioni di gas serra sono state ridotte del 60 per cento. Entro il 20, il gruppo conta di alimentarsi esclusivamente da fonti «verdi».

COMMENTO

Lo stimolo, la spinta a tentare un dialogo con i blogger interessati, che convenzionalmente considero "lettori", mi è stata data da un signore di origine piemontese, ingegnere della IBM in pensione, che mi ha inviato il seguente messaggio: "Caro Direttore, sono un assiduo frequentatore del Suo blog, gradirei avere alcune informazioni su di un sistema "ecosostenibile" che permetta di ridurre in modo drastico il ricorso al petrolio che è una vera mina vagante: i prezzi si avvicinano a grandi passi ai 200 $ a barile e nessuno sa dove si fermerà il prezzo !
Temo che, se le forniture di petrolio e gas dovessero essere bloccate o ridotte, sia assai probabile un disastro mondiale come mai si è visto.
Non pensa che un ricorso massiccio alle energie "alternative e rinnovabili" quali sole, vento e maree dovrebbe costituire il progetto prioritario per tutti i paesi ?"
Compito arduo mi assegna l'ingegnere, al quale faccio notare che non sono più 'Direttore' ma solo un blogger, che mi assicura la sua preziosa collaborazione per le risposte, tanto da darmi egli stesso subito la risposta al quesito che ha posto, inviandolo l'articolo di cui al presente post.
E' argomento ponderoso e nello stesso tempo molto interessante.
E' il futuro non solo nostro ma dei nostri figli e nipoti che è in gioco ed è un gioco sporco, pericoloso, indifferente e profondamente egoista.
Mi auguro che vi siano almeno "trenta amici blogger" che vogliano mostrare un qualche interessamento.

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