sabato 30 agosto 2008

La mia storia attraverso le sentenze



Antonio Di Pietro


"Fai il tuo dovere e pagane le conseguenze", mi disse mia sorella Concettina il giorno dopo l’omicidio di Paolo Borsellino, allorché io – preoccupato per quel che stava succedendo – trasferii a lei la mia angoscia. Era il 19 luglio 1992 ed ero nel pieno dell’attività di "Mani Pulite". Poco dopo arrivò in Procura una segnalazione dei R.O.S (Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri) che segnalava – come destinatario di possibili attentati mafiosi – anche la mia persona. Giovanni Falcone era stato ammazzato il mese prima. Ora è solo un ricordo ma all’epoca c’era realmente di che preoccuparsi in quanto stavano venendo fuori collegamenti a iosa fra la "migliore imprenditoria del Nord", la più "blasonata politica romana" e "incalliti mafiosi" di Cosa Nostra.
Mi aggrappai alla saggezza di mia sorella e andai avanti.


Con l’andare del tempo e con l’avanzamento dell’inchiesta, mi resi conto, invece, che avevo poco da temere sul piano fisico in quanto l’inchiesta Mani Pulite aveva una sua specificità rispetto ai reati mafiosi: i magistrati palermitani dovevano partire necessariamente dal “fatto criminale” per risalire al “mandante” o al “movente politico”. “Mani Pulite”, invece interveniva direttamente sui politici. Nell’uno e nell’altro caso, entrambi – i politici e i mafiosi – avevano interesse a fermare le indagini e ad evitare qualsiasi travaso di investigazioni dall’uno all’altro campo, ma mentre i mafiosi usarono l’esplosivo per fermare i giudici, i politici ricorsero ad una soluzione grazie a Dio meno dolorosa: la delegittimazione e la denigrazione.


L’obiettivo mi apparve subito evidente: rendere poco credibile l’inchiesta Mani Pulite, dapprima criminalizzando l’attività giudiziaria che stavo svolgendo (con accuse ingiuste come arrestare innocenti, costringere al suicidio le persone, svolgere indagini in modo parziale al fine di favorire alcuni e danneggiare altri), poi con una vasta indagine retrospettiva sulla mia persona, alla ricerca di qualche neo (e chi non ne ha?) per farlo diventare un “bubbone immondo” da additare al pubblico disprezzo, infine costruendo a tavolino – scientemente e con dispendio di mezzi e di energie – veri e propri falsi dossier con storie inventate di sana pianta o comunque malevolmente ricostruite e raccontate in modo così suadente e sapientemente pubblicizzate da renderle apparentemente credibili.


Il 6 dicembre 1994 mi toccò togliere la toga di dosso e dedicare tutte le energie per difendere il mio onore nell’unico modo che sapevo fare: nelle aule giudiziarie, che frequentai per anni sia per dimostrare la mia correttezza professionale che la mia innocenza personale. Nel frattempo, e per dare un nuovo scopo alla mia vita, ho cominciato a fare politica, convinto come ero e come sono che i “mali della politica” potevano essere curati solo con l’impegno civile, in quanto il magistrato arriva solo quando la “frittata è fatta” e solo per scoprire il colpevole.Ho pensato – e ci credo ancora – che bisognava impegnarsi per un ricambio generazionale della classe dirigente, unico modo per ottenere un modello comportamentale diverso e più dignitoso del modo di fare politica.Per questo ho costituito l’Italia dei Valori, cercando da una parte di aprire il partito a tutti coloro che vi mostravano interesse e dall’altra di preservarlo dagli arrembaggi di ciurme e profittatori.Con sommo dispiacere dei miei detrattori, sono riuscito a costruire un partito che c’è e che – nel Paese e nel Parlamento – sta facendo il suo dovere e fa sentire la sua voce, tanto che la fiducia ed il consenso cresce giorno per giorno.


La conseguenza, sul piano personale, è purtroppo che la stagione della denigrazione e delle contumelie continua ed anzi è ripresa con maggiore veemenza e peggiore virulenza di prima.Ogni giorno mi sento piovere addosso accuse di ogni tipo. Sembra quasi che tutti i guai d’Italia siano avvenuti o avvengano per colpa mia, tanto che quasi tutti i partiti, i politici e i “commentatori professionisti” fanno a gara nel dirsi fra di loro: “sto con te a patto che non stai con Di Pietro”.


Ho deciso allora che dedicherò una parte di questo Blog per raccontare “la mia verità”. Non la verità, secondo le mie parole però, per evitare che qualcuno possa pensare che siano parole di comodo. Ma la “verità processuale”, secondo le sentenze e gli altri provvedimenti che i giudici – di volta in volta – hanno emesso in relazione ai tanti fatti ed ai tanti eventi che – nel bene e nel male – mi hanno visto protagonista. Trattasi di centinaia di atti e quindi è necessario un “racconto a puntate”. Ad intervalli regolari, perciò, pubblicherò ad uno ad uno questi provvedimenti giudiziari, con un mio personale commento e con la possibilità – da parte di chi avrà la voglia o la pazienza di leggerli – di commentarli a sua volta.


Comincerò dalla vicenda di Fabio Salamone, di cui pubblico la “Sentenza della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura” n. 2/98 del 16 gennaio 1998 in cui si “dichiara il dr. Fabio Salamone responsabile della incolpazione ascrittogli al capo A - vale a dire responsabile del fatto che non si fosse astenuto dallo svolgere indagini su di me- e gli infligge la sanzione disciplinare dell’ammonimento-” (così testualmente il dispositivo).


Comincio da questo provvedimento perché riguarda proprio il magistrato della Procura della Repubblica di Brescia che indagò a ripetizione su di me formulando a mio carico una miriade di accuse, poi tutte smontate dai giudici “perché il fatto non sussiste”. Certo, alla fine ho avuto giustizia ma quelle accuse furono prese e rilanciate da altri che avevano interesse a costruirmi addosso una montagna di nefandezze che non avevo commesso, con lo scopo di non rendere credibile il lavoro che avevo fatto come magistrato e quindi – per una insana proprietà transitiva – irrilevanti le porcherie che avevo scoperto nei loro confronti.


Ebbene, credo proprio che poche persone abbiano mai saputo che il Dr. Fabio Salamone doveva astenersi dall’indagare su di me in quanto io in precedenza avevo effettuato rilevante attività di indagine a carico di suo fratello Filippo Salamone, successivamente incriminato ed arrestato in altra sede per gravi delitti. Per saperne di più sulle vicende di Filippo Salamone, basta cercare in Rete (leggi "Mafia e appalti, condanna definitiva per Filippo Salamone"). Trattasi di un imprenditore siciliano che venne individuato – anche nell’ambito dell’inchiesta Mani pulite – come uno dei terminali tra le imprese mafiose del Nord e la mafia. Infatti egli è stato alla fine condannato in via definitiva a 6 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa (insieme a Lorenzo Panzavolta della Calcestruzzi Spa, figura di spicco nell’inchiesta Mani Pulite).


In questa sede, mi interessa però far rilevare il fatto che io ho denunciato al CSM il dr. Fabio Salamone dopo – e solo dopo – che le indagini sul mio conto si erano concluse. Non volevo che si pensasse che me la prendessi con lui per non volermi sottoporre alla Giustizia né che io volessi confondere e mischiare la sua storia personale di magistrato con quella di imprenditore così così di suo fratello Filippo. Queste cose le fa chi sa di non essere innocente. Della storia che ho appena raccontato ne ho parlato una volta con un giornalista, Piero Colaprico, cosa che il dott. Fabio Salamone non ha gradito citandoci in giudizio entrambi per diffamazione.


Allego la sentenza numero 33125 del Tribunale di Roma che invece “rigetta la domanda” del dott Fabio Salamone in quanto “deve ritenersi, nel caso di specie, l’insussistenza di una responsabilità civile non ravvisandosi un contenuto diffamatorio punibile nelle affermazioni dell’intervistato”. Carta canta!

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