sabato 30 agosto 2008

Padre Pio, la fabbrica dei miracoli (a orologeria)


Paola Zanca
L'Unità
29 agosto 2008

La speranza di una grazia finisce alle sette di sera. Chiudono i cancelli, al santuario di San Giovanni Rotondo. Una giornata è finita, ma nella fabbrica dei miracoli costruita attorno alla figura di Padre Pio, non c’è tempo da perdere. E così, quando le luci della chiesa ancora non si sono spente e i pellegrini ancora non sono tornati a casa, dietro un muro si inizia a smontare la scenografia: i ceri – che si possono acquistare ad un distributore automatico che garantisce «lunga durata» - vengono raccolti e gettati in sacchi neri. Che fine fanno? «Li portiamo dentro», spiega un giovane addetto alle pulizie. «Dentro», si scopre poco dopo, è un magazzino fatiscente che sta a pochi metri di distanza. Più a lato, due ragazze si affannano a togliere dalle mani di una statua i rosari che i devoti hanno aggrovigliato attorno. «Ce ne hanno messo d’impegno!» sembrano inveire contro i pellegrini premurosi. Quelli che le loro speranze le hanno avvolte con dovizia, e forse preferirebbero non vedere con i loro occhi che le loro preghiere hanno le ore così contate. Ma sono le sette di sera, non c’è tempo da perdere con la devozione.

La religione che scopre il business non è certo una novità, né una prerogativa di questo paese arroccato sul Gargano. Ma a San Giovanni Rotondo l’affare ha da poco nuova linfa: è la salma del santo, riesumata il 24 aprile scorso. San Pio è lì, nella cripta in cui è custodito dal 1968, spolverato e imbellettato ad uso e consumo dei fedeli. Che, diciamolo, non hanno ritegno. Flash e luci di qualsiasi aggeggio elettronico disponibile sul mercato immortalano la salma del frate di Pietrelcina. Pochi pregano, meditano, riflettono. Quasi nessuno sta zitto, insomma, come quanto meno la pietà umana consiglierebbe di fare di fronte al corpo di un morto. Attorno è tutto un brulicare di telefonini, e chi dovrebbe sorvegliare la quiete della cripta, non fa nulla per disincentivare questa smania, questa voglia di dire «io c’ero»: «Una foto e proseguire», dicono gli addetti alla vigilanza, come se stessero regolando il traffico in strada. E i pellegrini ubbidiscono, uno scatto e via. Qualche metro più avanti c’è una teca dove i fedeli lasciano fotografie e lettere. I neo genitori buttano bavagli di bambini da benedire. Qualcuno, forse sprovvisto o semplicemente avaro, opta per un pannolone. Per fortuna, non è usato.

La riesumazione di Padre Pio è nuova linfa anche per i proprietari degli oltre 140 hotel e affittacamere che affollano San Giovanni Rotondo: un centinaio sono stati costruiti in deroga al piano urbanistico nell’anno del Giubileo, nell’illusione del miracolo perenne. In realtà, otto anni dopo, tre quarti di loro sono sul lastrico: il pienone dura tre o quattro giorni l’anno, per il resto sono pochi grandi hotel a fare cassa. Colpa delle «soprastimate attese giubilari» e del «deleterio meccanismo delle realizzazioni in deroga», si legge nel Documento per la formazione del piano urbanistico generale, che spiega come dal 1998 si sia determinato «un sostanziale triplicamento dell’offerta nel giro di cinque anni». E chi aveva investito sul turismo religioso, ora sta facendo di tutto per far accorciare i tempi per il cambio di destinazione d’uso, riconvertendola da turistica ad abitativa. Solo tra venticinque anni, infatti, le stanze d’albergo deserte potranno trasformarsi in appartamenti e negozi.

Basta che non facciano troppa concorrenza ai distributori automatici di medagliette e ceri posizionati nel santuario. A pochi metri dalla salma c’è anche la pesca – gli incassi, spiegano, serviranno a sostenere i percorsi di vocazione di nuovi frati – , c’è il bollettino postale per finanziare la costruzione di una «Casa di riposo per sacerdoti anziani di tutto il mondo» - il tariffario va dai 30 euro per un mattone, ai 650 per un tavolino per refettorio, ai 500 mila euro per la fornitura dell’infermeria. C’è anche una bacheca dove ritirare il modulo prestampato per scrivere una «Lettera a San Pio». I Frati Cappuccini invitano a buttare giù qualche riga quando «sei triste, scoraggiato, abbattuto, sfiduciato». Per trovare l’ispirazione, basterebbe una giornata in questo supermercato della fede, dove la cassa chiude alle sette di sera.

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