di Paolo Biondani e Vittorio Malagutti
Arriva l'onda. Un'onda anomala. Un'onda di cemento. La temono in Liguria, dove l'invasione di nuove costruzioni minaccia i pochi varchi lasciati liberi da decenni di speculazioni. Si prepara al peggio il lago di Garda, già deturpato dal boom di seconde e terze case. Guai in vista anche nella fascia agricola che ancora cinge la periferia sud-ovest di Milano, un'oasi di verde sotto assedio ormai da anni. Per non parlare delle regioni del Sud già deturpate da un abusivismo dilagante.
"Più case per tutti", annuncia Silvio Berlusconi. Ma il piano studiato dal governo per rilanciare l'edilizia rischia di dare il colpo di grazia ad alcuni dei paesaggi più sensibili del territorio nazionale, aree di straordinario valore ambientale e culturale finora almeno in parte risparmiate dall'aggressione dei costruttori. L'allentamento delle regole, la possibilità di aumentare la cubatura degli edifici fino al 20 per cento, di abbattere e ricostruire, magari altrove rispetto all'originale, le case realizzate prima del 1989, il tutto con procedure ridotte al minimo, viene descritta come una sciagura nazionale dalla grande maggioranza degli urbanisti, degli studiosi del territorio, degli ambientalisti. Un vero 'piano Attila' che secondo Antonello Alici, segretario generale di Italia Nostra, mette nero su bianco la definitiva estinzione "di quel poco di governo del territorio che finora aveva salvato alcune parti d'Italia". Nel mirino degli speculatori rischiano di entrare alcune delle aree a maggior valore ambientale e culturale del Paese. Nella lista spicca il parco dell'Appia antica a sud di Roma, da tempo segnato da abusi piccoli e grandi che ora potrebbero diventare legali. Alle porte di Milano è in pericolo il parco di Monza, polmone verde assediato dalle villette in stile brianzolo. A Torino invece la deregulation introdotta dal piano casa potrebbe addirittura stravolgere la struttura urbana del centro già compromessa da demolizioni e grandi opere. E al Sud va citato a titolo di esempio, ovviamente in negativo, la colata di cemento che ha stravolto l'area costiera dello stretto di Messina. Qui il piano casa, secondo le critiche di Italia Nostra, rischia di legalizzare perfino le costruzioni in aree ad alto rischio di frane e alluvioni.
Peggio ancora. Il nuovo provvedimento studiato dall'esecutivo con la collaborazione (interessata) di alcuni governatori regionali come Giancarlo Galan (Veneto) e Ugo Cappellacci (Sardegna) andrebbe ad aggravare la situazione ormai fuori controllo di alcune grandi aree urbane. Gaetano Benedetto, condirettore generale del Wwf, parla di "polverizzazione edilizia". E cioè una miriade di iniziative che finiscono per sottrarsi a una qualunque regia centrale. "Nella sola città di Roma giacciono almeno 700 mila pratiche edilizie inevase", segnala Benedetto. A cui vanno aggiunti i 60 milioni di metri cubi supplementari previsti dal piano regolatore varato dalla vecchia giunta di Walter Veltroni. Basterà l'effetto annuncio della legge berlusconiana per provocare un aumento delle richieste dei cittadini. E alla fine, prevede Benedetto, "sarà il caos, una situazione ingovernabile dove risulterà di fatto impossibile perseguire gli abusi".
Roma non è un'eccezione. Molte importanti amministrazioni comunali, non solo al Sud, faticano a gestire l'esistente. E adesso rischiano di essere travolte da una valanga di lavoro straordinario. Niente paura, fa sapere il governo, la burocrazia sarà ridotta al minimo. Nel nome della deregulation, il permesso di costruire verrà abolito e sostituito da una perizia giurata del progettista. In pratica, sarà lo stesso geometra pagato dal costruttore ad autocertificare la regolarità dell'intervento edilizio. In questo modo, sostiene Alici di Italia Nostra, "si legalizza un principio dagli effetti devastanti, peraltro già molto applicato in Italia. È il principio secondo cui prima si fanno i lavori e poi qualcuno controllerà se si poteva oppure no". E a questo punto, come insegna l'esperienza del passato, l'eventuale abuso potrà essere sanato con un provvedimento ad hoc. Le possibilità di manovra per gli speculatori allora diventano pressoché infinite.
Del resto, è lo stesso progetto casa berlusconiano a somigliare molto a un condono camuffato. Le irregolarità degli anni scorsi - alzare il tetto, aggiungere una stanza, chiudere un balcone - potranno essere sanate in base ai criteri introdotti dal nuovo provvedimento. Liberi tutti, allora. Magari rispettando i più moderni criteri di risparmio energetico e sicurezza. Perché chi abbatte una casa costruita prima del 1989 potrà rifarla più grande di prima (fino al 30 per cento) anche in un luogo diverso dall'originale, ma a patto che si adegui a determinati standard ecologici. Fin qui niente di straordinario o particolarmente innovativo. Anche il Wwf si dichiara favorevole ai provvedimenti che consentono aumenti delle volumetrie condizionandoli all'aumento dell'efficienza energetica delle abitazioni. Il fatto è, però, che l'indubbio vantaggio per l'ambiente rischia di essere annullato dal consumo supplementare di territorio. Se nei centri cittadini mancherà lo spazio per ristrutturare e ricostruire, gli immobiliaristi demoliranno i vecchi edifici per lottizzare nuove aree di periferia strappate a quel poco che resta di verde e agricoltura.
"La dimensione urbana conquisterà nuovi spazi e si aggraverà il problema del consumo di suolo libero, e quindi di paesaggio", dice Sergio Lironi, presidente onorario di Legambiente a Padova. Paesi come Germania e Inghilterra hanno da tempo affrontato la questione fissando limiti severissimi per impedire le nuove costruzioni su terreni agricoli. "In Italia invece cemento e asfalto stanno divorando territorio a una velocità sempre maggiore", denuncia Paolo Pileri, il professore del Politecnico di Milano che guida l'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, promosso dall'ateneo lombardo insieme a Legambiente e all'Istituto nazionale di urbanistica. E così, secondo gli unici dati disponibili, tra il 1999 e il 2004 le aree urbanizzate, cioè trasformate da cemento e infrastrutture, sono cresciute in Lombardia di 24.742 ettari: quasi 5 mila all'anno. È come se ogni 12 mesi nella Pianura padana si costruisse una nuova città delle dimensioni di Brescia là dove prima c'erano prati, terreni agricoli e boschi. In Liguria, già sottoposta a un enorme stress ambientale, dal 1990 fino a oggi è andato perduto oltre il 45 per cento del territorio libero. Anche in Veneto l'ultimo decennio è stato segnato da una velocissima espansione degli insediamenti residenziali e produttivi. Dal 2001 al 2007 sono state realizzate case d'abitazione per circa 40 milioni di metri cubi all'anno. Quanto basta per dare alloggio ad almeno 600 mila nuovi abitanti. Al ritmo di incremento demografico attuale (immigrati compresi) servirebbero 15 anni per utilizzare tutte queste abitazioni, come ha calcolato Tiziano Tempesta dell'Università di Padova. E nel frattempo continuano a mancare gli alloggi per chi ne ha più bisogno: giovani coppie, famiglie povere e immigrati.
In Veneto come altrove, il frenetico sviluppo edilizio degli ultimi anni ha privilegiato le iniziative speculative: villette, capannoni e centri commerciali. Poco o nulla, invece, per le fasce più deboli della popolazione. E adesso che la recessione minaccia i bilanci dei costruttori, Galan rilancia. La giunta veneta ha fatto addirittura da battistrada varando a tempo di record (martedì 10 marzo) un progetto di legge sulla casa che anticipa le novità governative. Da altre Regioni, invece, arrivano reazioni tiepide o negative. Il presidente della Liguria, Claudio Burlando, ricorda che "questo governo ha tagliato i fondi stanziati per l'edilizia residenziale pubblica". In Piemonte, Mercedes Bresso avverte che "il piano potrebbe provocare disastri sia nel patrimonio architettonico delle nostre città che nel paesaggio delle nostre campagne". Hanno preso le distanze anche Calabria, Umbria ed Emilia Romagna. Ce n'è abbastanza per prevedere che il piano casa finirà sotto il fuoco incrociato delle regioni. Quelle guidate dal centrosinistra, probabilmente. Ma non solo, visto che da Palermo anche il governatore Raffaele Lombardo ha accolto con freddezza le novità da Roma. Del resto in materia di governo del territorio e tutela ambientale, la Costituzione assegna alle Regioni una competenza concorrente con quella del governo centrale. Che deve limitarsi a fissare principi fondamentali. "Ma a questo punto non escludo ricorsi alla Corte Costituzionale per risolvere eventuali conflitti", dice Daniele Granara, avvocato che da anni difende le ragioni delle grandi associazioni ambientaliste. Giovanni Losavio, presidente nazionale di Italia Nostra, arriva a ipotizzare "una violazione di tre diverse norme costituzionali, compreso il principio fondamentale di tutela del paesaggio".
Ma più che dai ricorsi legali, i programmi berlusconiani potrebbero essere frenati dalla recessione. Nella sola Milano oggi si contano oltre 100 mila appartamenti sfitti. I prezzi degli immobili sono in caduta. Dopo gli anni del boom innescato dal credito facile, le aziende faticano a finanziare i nuovi investimenti. E le banche scottate dalla crisi pensano più che altro a ricapitalizzarsi stringendo le maglie di prestiti e mutui. Intanto nelle agenzie si accumulano offerte di immobili che restano invenduti. E il piano casa non sembra davvero in grado di contrastare neppure l'impennata della disoccupazione. Anzi, come ricorda anche il Wwf, il "settore edile è il più segnato dal lavoro nero".
(13 marzo 2009)
"Più case per tutti", annuncia Silvio Berlusconi. Ma il piano studiato dal governo per rilanciare l'edilizia rischia di dare il colpo di grazia ad alcuni dei paesaggi più sensibili del territorio nazionale, aree di straordinario valore ambientale e culturale finora almeno in parte risparmiate dall'aggressione dei costruttori. L'allentamento delle regole, la possibilità di aumentare la cubatura degli edifici fino al 20 per cento, di abbattere e ricostruire, magari altrove rispetto all'originale, le case realizzate prima del 1989, il tutto con procedure ridotte al minimo, viene descritta come una sciagura nazionale dalla grande maggioranza degli urbanisti, degli studiosi del territorio, degli ambientalisti. Un vero 'piano Attila' che secondo Antonello Alici, segretario generale di Italia Nostra, mette nero su bianco la definitiva estinzione "di quel poco di governo del territorio che finora aveva salvato alcune parti d'Italia". Nel mirino degli speculatori rischiano di entrare alcune delle aree a maggior valore ambientale e culturale del Paese. Nella lista spicca il parco dell'Appia antica a sud di Roma, da tempo segnato da abusi piccoli e grandi che ora potrebbero diventare legali. Alle porte di Milano è in pericolo il parco di Monza, polmone verde assediato dalle villette in stile brianzolo. A Torino invece la deregulation introdotta dal piano casa potrebbe addirittura stravolgere la struttura urbana del centro già compromessa da demolizioni e grandi opere. E al Sud va citato a titolo di esempio, ovviamente in negativo, la colata di cemento che ha stravolto l'area costiera dello stretto di Messina. Qui il piano casa, secondo le critiche di Italia Nostra, rischia di legalizzare perfino le costruzioni in aree ad alto rischio di frane e alluvioni.
Peggio ancora. Il nuovo provvedimento studiato dall'esecutivo con la collaborazione (interessata) di alcuni governatori regionali come Giancarlo Galan (Veneto) e Ugo Cappellacci (Sardegna) andrebbe ad aggravare la situazione ormai fuori controllo di alcune grandi aree urbane. Gaetano Benedetto, condirettore generale del Wwf, parla di "polverizzazione edilizia". E cioè una miriade di iniziative che finiscono per sottrarsi a una qualunque regia centrale. "Nella sola città di Roma giacciono almeno 700 mila pratiche edilizie inevase", segnala Benedetto. A cui vanno aggiunti i 60 milioni di metri cubi supplementari previsti dal piano regolatore varato dalla vecchia giunta di Walter Veltroni. Basterà l'effetto annuncio della legge berlusconiana per provocare un aumento delle richieste dei cittadini. E alla fine, prevede Benedetto, "sarà il caos, una situazione ingovernabile dove risulterà di fatto impossibile perseguire gli abusi".
Roma non è un'eccezione. Molte importanti amministrazioni comunali, non solo al Sud, faticano a gestire l'esistente. E adesso rischiano di essere travolte da una valanga di lavoro straordinario. Niente paura, fa sapere il governo, la burocrazia sarà ridotta al minimo. Nel nome della deregulation, il permesso di costruire verrà abolito e sostituito da una perizia giurata del progettista. In pratica, sarà lo stesso geometra pagato dal costruttore ad autocertificare la regolarità dell'intervento edilizio. In questo modo, sostiene Alici di Italia Nostra, "si legalizza un principio dagli effetti devastanti, peraltro già molto applicato in Italia. È il principio secondo cui prima si fanno i lavori e poi qualcuno controllerà se si poteva oppure no". E a questo punto, come insegna l'esperienza del passato, l'eventuale abuso potrà essere sanato con un provvedimento ad hoc. Le possibilità di manovra per gli speculatori allora diventano pressoché infinite.
Del resto, è lo stesso progetto casa berlusconiano a somigliare molto a un condono camuffato. Le irregolarità degli anni scorsi - alzare il tetto, aggiungere una stanza, chiudere un balcone - potranno essere sanate in base ai criteri introdotti dal nuovo provvedimento. Liberi tutti, allora. Magari rispettando i più moderni criteri di risparmio energetico e sicurezza. Perché chi abbatte una casa costruita prima del 1989 potrà rifarla più grande di prima (fino al 30 per cento) anche in un luogo diverso dall'originale, ma a patto che si adegui a determinati standard ecologici. Fin qui niente di straordinario o particolarmente innovativo. Anche il Wwf si dichiara favorevole ai provvedimenti che consentono aumenti delle volumetrie condizionandoli all'aumento dell'efficienza energetica delle abitazioni. Il fatto è, però, che l'indubbio vantaggio per l'ambiente rischia di essere annullato dal consumo supplementare di territorio. Se nei centri cittadini mancherà lo spazio per ristrutturare e ricostruire, gli immobiliaristi demoliranno i vecchi edifici per lottizzare nuove aree di periferia strappate a quel poco che resta di verde e agricoltura.
"La dimensione urbana conquisterà nuovi spazi e si aggraverà il problema del consumo di suolo libero, e quindi di paesaggio", dice Sergio Lironi, presidente onorario di Legambiente a Padova. Paesi come Germania e Inghilterra hanno da tempo affrontato la questione fissando limiti severissimi per impedire le nuove costruzioni su terreni agricoli. "In Italia invece cemento e asfalto stanno divorando territorio a una velocità sempre maggiore", denuncia Paolo Pileri, il professore del Politecnico di Milano che guida l'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, promosso dall'ateneo lombardo insieme a Legambiente e all'Istituto nazionale di urbanistica. E così, secondo gli unici dati disponibili, tra il 1999 e il 2004 le aree urbanizzate, cioè trasformate da cemento e infrastrutture, sono cresciute in Lombardia di 24.742 ettari: quasi 5 mila all'anno. È come se ogni 12 mesi nella Pianura padana si costruisse una nuova città delle dimensioni di Brescia là dove prima c'erano prati, terreni agricoli e boschi. In Liguria, già sottoposta a un enorme stress ambientale, dal 1990 fino a oggi è andato perduto oltre il 45 per cento del territorio libero. Anche in Veneto l'ultimo decennio è stato segnato da una velocissima espansione degli insediamenti residenziali e produttivi. Dal 2001 al 2007 sono state realizzate case d'abitazione per circa 40 milioni di metri cubi all'anno. Quanto basta per dare alloggio ad almeno 600 mila nuovi abitanti. Al ritmo di incremento demografico attuale (immigrati compresi) servirebbero 15 anni per utilizzare tutte queste abitazioni, come ha calcolato Tiziano Tempesta dell'Università di Padova. E nel frattempo continuano a mancare gli alloggi per chi ne ha più bisogno: giovani coppie, famiglie povere e immigrati.
In Veneto come altrove, il frenetico sviluppo edilizio degli ultimi anni ha privilegiato le iniziative speculative: villette, capannoni e centri commerciali. Poco o nulla, invece, per le fasce più deboli della popolazione. E adesso che la recessione minaccia i bilanci dei costruttori, Galan rilancia. La giunta veneta ha fatto addirittura da battistrada varando a tempo di record (martedì 10 marzo) un progetto di legge sulla casa che anticipa le novità governative. Da altre Regioni, invece, arrivano reazioni tiepide o negative. Il presidente della Liguria, Claudio Burlando, ricorda che "questo governo ha tagliato i fondi stanziati per l'edilizia residenziale pubblica". In Piemonte, Mercedes Bresso avverte che "il piano potrebbe provocare disastri sia nel patrimonio architettonico delle nostre città che nel paesaggio delle nostre campagne". Hanno preso le distanze anche Calabria, Umbria ed Emilia Romagna. Ce n'è abbastanza per prevedere che il piano casa finirà sotto il fuoco incrociato delle regioni. Quelle guidate dal centrosinistra, probabilmente. Ma non solo, visto che da Palermo anche il governatore Raffaele Lombardo ha accolto con freddezza le novità da Roma. Del resto in materia di governo del territorio e tutela ambientale, la Costituzione assegna alle Regioni una competenza concorrente con quella del governo centrale. Che deve limitarsi a fissare principi fondamentali. "Ma a questo punto non escludo ricorsi alla Corte Costituzionale per risolvere eventuali conflitti", dice Daniele Granara, avvocato che da anni difende le ragioni delle grandi associazioni ambientaliste. Giovanni Losavio, presidente nazionale di Italia Nostra, arriva a ipotizzare "una violazione di tre diverse norme costituzionali, compreso il principio fondamentale di tutela del paesaggio".
Ma più che dai ricorsi legali, i programmi berlusconiani potrebbero essere frenati dalla recessione. Nella sola Milano oggi si contano oltre 100 mila appartamenti sfitti. I prezzi degli immobili sono in caduta. Dopo gli anni del boom innescato dal credito facile, le aziende faticano a finanziare i nuovi investimenti. E le banche scottate dalla crisi pensano più che altro a ricapitalizzarsi stringendo le maglie di prestiti e mutui. Intanto nelle agenzie si accumulano offerte di immobili che restano invenduti. E il piano casa non sembra davvero in grado di contrastare neppure l'impennata della disoccupazione. Anzi, come ricorda anche il Wwf, il "settore edile è il più segnato dal lavoro nero".
(13 marzo 2009)
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