Ci trattano come dei dottor Spock e invece siamo degli Homer Simpson. Non siamo affatto furbi come crediamo. E mentre fissiamo euro e dollari svanire nella peggiore crisi del capitalismo, potremmo farci un po’ furbi con le lezioni della neuroeconomia, la disciplina emergente che intreccia le neuroscienze e l’economia e dà da pensare anche a Barack Obama e agli «obanauti», tanto da aver convinto il neo-Presidente a nominare tra i propri consiglieri un maestro della logica anticonvenzionale, Richard Thaler.
Professoressa Angela Sirigu, lei è uno dei nomi della neuroeconomia: dirige il gruppo di neuropsicologia dell’azione all’Istituto di scienze cognitive del CNRS a Lione e le sue ricerche di frontiera mettono in crisi la nostra, spesso ingenua, avidità di guadagno. Che cosa significa che siamo vittime del «ragionamento controfattuale»?
«E’ interessante che, quando si deve scegliere tra 2 alternative, si agisce in modo relativo, tenendo conto anche dell’altra possibilità. Non decidiamo, quindi, solo in base alla possibilità di ottenere il massimo del guadagno, ma anche in funzione di come ci sentiremo psicologicamente una volta raggiunto l’obiettivo. Significa che il modello della razionalità totale - tipico dell’economia standard - è falso: accanto alla valutazione utilitaristica agiscono le emozioni, come ha scoperto uno dei pionieri della disciplina, il Nobel dell’Economia Daniel Kanheman».
Può fare un esempio?
«I nostri test. Se si ha l’80% di possibilità di vincere 50 euro e solo il 20% di vincerne 200, in genere il soggetto si accontenta dei 50. Un altro caso è più chiaro: se si perdono 50 euro, ma si sa che l’altra opzione era perderne 200, la sconfitta, invece di essere dolorosa, genera sollievo. E - terzo caso - se si intascano quei 50, mentre l’antagonista ne guadagna 200, l’invidia annulla ogni piacere. A volte è meglio non conoscere l’opzione B e, d’altra parte, conoscerla permette di pianificare meglio il futuro».
Che cosa succede nel cervello?
«Il ragionamento controfattuale si localizza in un’area, la corteccia orbitofrontale, all’interfaccia tra sistema limbico, che produce le emozioni, e sistema di “planning”, quello della pianificazione: è l’interazione che permette di adeguare i comportamenti rispetto al contesto».
Lei ha studiato anche pazienti in cui il meccanismo cerebrale è inceppato: che cosa succede?
«Quando c’è una lesione, il confronto tra le opzioni non si verifica più. Si è contenti nel caso di un guadagno e arrabbiati per una perdita, però l’emozione non è più modulata in rapporto all’alternativa. Ed è significativo che questi pazienti soffrano di disturbi della personalità: hanno una vita sociale disastrosa e spesso spendono tantissimo: sono incapaci di dare un valore alle cose, perché ignorano gli stati emotivi provati in passato, prima della lesione, quando si erano trovati di fronte a scelte analoghe. La prova è che sono rescissi anche i legami con l’amigdala, l’area implicata nella paura».
Che cosa insegna la neuroeconomia su un disastro mondiale?
«Se siamo arrivati a questo punto, è perché i consiglieri dei politici non hanno considerato la dimensione emotiva dell’economia. Basta studiare il comportamento dei “traders”».
Provi ad analizzarlo.
«Hanno speculato senza considerare le conseguenze delle proprie azioni. Hanno pianificato gli eventuali guadagni, applicando i parametri tradizionali, e cancellato le emozioni che avrebbero provato al momento dei risultati. Si sono comportati come degli “addicted”, dei drogati: abituandosi a cifre miliardarie via via più gonfiate, sono diventati incapaci di concepirle e hanno perso la capacità di prevedere ciò che rischiavano».
Sta dicendo che sono malati da curare?
«E’ un’ipotesi. Chi è “addicted” ha il sistema dopaminergico - il centro del piacere - caratterizzato da una sensibilità minore. Lo stesso potrebbe avvenire per chi, gestendo cifre abnormi, non è in grado di appagarsi. Solo l’emotività frena gli eccessi». E le persone comuni? Anche loro si sono lanciate in speculazioni folli. «E’ vero che tendiamo a sognare il guadagno. E’ ineluttabile. In realtà, soltanto una percentuale ridotta di individui rischia. I più preferiscono la sicurezza. Lo confermano molti test, come quelli condotti da Antonio Damasio. Se si è verificata la corsa ai “subprimes”, per esempio, la causa è psicologico-culturale: le banche hanno creato il contesto perché le persone si facessero condizionare dal bisogno di comprare case».
E il futuro? La neuroeconomia è ai primi passi: quali settori esplorerà?
«L’aspetto sociale delle scelte: è evidente che negli Usa, e non solo lì, l’effetto gruppo ha avuto un peso, scatenando l’imitazione. Poi c’è una seconda questione, l’aspetto temporale. Se si chiede a un gruppo di persone, “volete vincere 50 euro adesso o 200 tra 2 settimane?”, la maggior parte dei soggetti risponderà “50 adesso”. Il contrario avviene per le grandi somme. Quando la domanda riguarda le perdite - “preferite perdere di sicuro 50 euro adesso o, forse, 200 tra 2 settimane?” - in genere la reazione è univoca: “adesso”. Il dolore dell’incertezza è troppo forte. Terzo aspetto è l’”endowement effect”: si valuta ciò che si possiede più di quanto vale realmente. Avete notato come sia difficile vendere al prezzo giusto la propria abitazione?».
Professoressa Angela Sirigu, lei è uno dei nomi della neuroeconomia: dirige il gruppo di neuropsicologia dell’azione all’Istituto di scienze cognitive del CNRS a Lione e le sue ricerche di frontiera mettono in crisi la nostra, spesso ingenua, avidità di guadagno. Che cosa significa che siamo vittime del «ragionamento controfattuale»?
«E’ interessante che, quando si deve scegliere tra 2 alternative, si agisce in modo relativo, tenendo conto anche dell’altra possibilità. Non decidiamo, quindi, solo in base alla possibilità di ottenere il massimo del guadagno, ma anche in funzione di come ci sentiremo psicologicamente una volta raggiunto l’obiettivo. Significa che il modello della razionalità totale - tipico dell’economia standard - è falso: accanto alla valutazione utilitaristica agiscono le emozioni, come ha scoperto uno dei pionieri della disciplina, il Nobel dell’Economia Daniel Kanheman».
Può fare un esempio?
«I nostri test. Se si ha l’80% di possibilità di vincere 50 euro e solo il 20% di vincerne 200, in genere il soggetto si accontenta dei 50. Un altro caso è più chiaro: se si perdono 50 euro, ma si sa che l’altra opzione era perderne 200, la sconfitta, invece di essere dolorosa, genera sollievo. E - terzo caso - se si intascano quei 50, mentre l’antagonista ne guadagna 200, l’invidia annulla ogni piacere. A volte è meglio non conoscere l’opzione B e, d’altra parte, conoscerla permette di pianificare meglio il futuro».
Che cosa succede nel cervello?
«Il ragionamento controfattuale si localizza in un’area, la corteccia orbitofrontale, all’interfaccia tra sistema limbico, che produce le emozioni, e sistema di “planning”, quello della pianificazione: è l’interazione che permette di adeguare i comportamenti rispetto al contesto».
Lei ha studiato anche pazienti in cui il meccanismo cerebrale è inceppato: che cosa succede?
«Quando c’è una lesione, il confronto tra le opzioni non si verifica più. Si è contenti nel caso di un guadagno e arrabbiati per una perdita, però l’emozione non è più modulata in rapporto all’alternativa. Ed è significativo che questi pazienti soffrano di disturbi della personalità: hanno una vita sociale disastrosa e spesso spendono tantissimo: sono incapaci di dare un valore alle cose, perché ignorano gli stati emotivi provati in passato, prima della lesione, quando si erano trovati di fronte a scelte analoghe. La prova è che sono rescissi anche i legami con l’amigdala, l’area implicata nella paura».
Che cosa insegna la neuroeconomia su un disastro mondiale?
«Se siamo arrivati a questo punto, è perché i consiglieri dei politici non hanno considerato la dimensione emotiva dell’economia. Basta studiare il comportamento dei “traders”».
Provi ad analizzarlo.
«Hanno speculato senza considerare le conseguenze delle proprie azioni. Hanno pianificato gli eventuali guadagni, applicando i parametri tradizionali, e cancellato le emozioni che avrebbero provato al momento dei risultati. Si sono comportati come degli “addicted”, dei drogati: abituandosi a cifre miliardarie via via più gonfiate, sono diventati incapaci di concepirle e hanno perso la capacità di prevedere ciò che rischiavano».
Sta dicendo che sono malati da curare?
«E’ un’ipotesi. Chi è “addicted” ha il sistema dopaminergico - il centro del piacere - caratterizzato da una sensibilità minore. Lo stesso potrebbe avvenire per chi, gestendo cifre abnormi, non è in grado di appagarsi. Solo l’emotività frena gli eccessi». E le persone comuni? Anche loro si sono lanciate in speculazioni folli. «E’ vero che tendiamo a sognare il guadagno. E’ ineluttabile. In realtà, soltanto una percentuale ridotta di individui rischia. I più preferiscono la sicurezza. Lo confermano molti test, come quelli condotti da Antonio Damasio. Se si è verificata la corsa ai “subprimes”, per esempio, la causa è psicologico-culturale: le banche hanno creato il contesto perché le persone si facessero condizionare dal bisogno di comprare case».
E il futuro? La neuroeconomia è ai primi passi: quali settori esplorerà?
«L’aspetto sociale delle scelte: è evidente che negli Usa, e non solo lì, l’effetto gruppo ha avuto un peso, scatenando l’imitazione. Poi c’è una seconda questione, l’aspetto temporale. Se si chiede a un gruppo di persone, “volete vincere 50 euro adesso o 200 tra 2 settimane?”, la maggior parte dei soggetti risponderà “50 adesso”. Il contrario avviene per le grandi somme. Quando la domanda riguarda le perdite - “preferite perdere di sicuro 50 euro adesso o, forse, 200 tra 2 settimane?” - in genere la reazione è univoca: “adesso”. Il dolore dell’incertezza è troppo forte. Terzo aspetto è l’”endowement effect”: si valuta ciò che si possiede più di quanto vale realmente. Avete notato come sia difficile vendere al prezzo giusto la propria abitazione?».
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