Gli errori sono come le ciliegie, uno tira l’altro. E sulla Rai di errori il Pd ne ha fatto una scorpacciata. Il primo sbaglio l’ha fatto Veltroni: per privilegiare la nomina di un consigliere amico, ha rinunciato a far politica. Il secondo errore è stato credere che basti scegliere nomi di prestigio, della cultura o del giornalismo, per dare l’immagine di un Pd che non lottizza, si apre alla società, è diverso dal centro destra. Il terzo errore, figlio dei primi due, l’ha fatto Franceschini. Con «il patto della mimosa», sottoscritto l’8 marzo con Gianni Letta, ha offerto a Ferruccio De Bortoli, il bravissimo direttore de Il Sole-24 Ore, la presidenza della Rai. Peccato che De Bortoli, non appena ha capito che cosa lo aspettava, abbia fatto marcia indietro. Mi sarei meravigliato del contrario! Franceschini - mi dicono - s’è molto arrabbiato per «il tradimento dell’ultima ora» di De Bortoli. Avrebbe fatto meglio ad arrabbiarsi con se stesso: solo chi non conosce «il mondo Rai dopo la Gasparri» può pensare che un bravo giornalista abituato alla libertà, alla responsabilità e all’autonomia professionale possa accettare un ruolo di grande prestigio ma di scarso potere. Non si può non sapere che il presidente Rai è condizionato dalla maggioranza del Consiglio (di centro destra) e dalle scelte del direttore generale, indicato dalla maggioranza di centro destra.
Il quarto errore - sempre di Franceschini - è d’aver detto che a questo punto la scelta della presidenza a Petruccioli è «irrinunciabile». Landolfi, ex presidente della Vigilanza, ha avuto gioco facile a ribattere: «Se fosse così, non si capirebbe per quale motivo sia stato indicato prima De Bortoli. Vuol dire che Petruccioli è quantomeno una seconda scelta, e alle seconde scelte di solito le alternative ci sono». Che cosa ha dichiarato Berlusconi per spiegare il no a Petruccioli, «di cui ha grande stima»? «La nostra decisione, in coerenza anche con quanto affermato dal leader del Pd, è stata quella di un rinnovamento e quindi, se vogliamo davvero rinnovare la Rai, credo che la nomina del presidente in carica vorrebbe dire continuità e dunque è soltanto per questo che abbiamo detto che volevamo un cambiamento».
Come si esce da questo cul de sac? Tornando a fare politica. Per l’interesse della Rai non ci può essere che una priorità: cambiare i criteri di nomina del Consiglio. Siamo fuori tempo massimo? Fino a quando da parte del centro destra non ci sarà un impegno formale, anche temporale, a cambiare la legge - e basta intervenire su tre commi di un solo articolo - il Pd non darà il suo assenso su nessun nome per la presidenza della Rai. Anche chi, come Petruccioli, conosce bene l’azienda per averci lavorato con passione, oggi si troverebbe in difficoltà a frenare l’assalto alla diligenza che il centro destra si prepara a sferrare in viale Mazzini. Se non c’è questa consapevolezza, se si pensa ancora che basti un nome altisonante vuol dire che il gruppo dirigente del Pd non ha capito. E far politica dovrebbe voler dire prima di tutto capire la realtà dentro la quale si devono operare scelte, stabilire priorità, valutare compromessi virtuosi.
Oggi quello del presidente è un mestiere impossibile! Se Petruccioli l’ha fatto bene - sia pure in un Consiglio che poteva sempre metterlo in minoranza - è anche perché tra lui e il direttore generale Claudio Cappon c’era una forte sintonia. E ciò è stato possibile solo perché nel 2005 Berlusconi sbagliò tutto, imponendo un direttore generale che dopo dieci mesi dovette rinunciare all’incarico perché «incompatibile». Nel frattempo al governo era arrivato Prodi e il nuovo direttore generale della Rai doveva avere l’assenso del nuovo ministro del Tesoro. Se oggi il centro destra vuole disfarsi di Petruccioli - e di Cappon - con la scusa del cambiamento, è perché sa che uno come lui con l’esperienza e la conoscenza accumulata negli ultimi anni sarebbe un osso duro. A Petruccioli una forza politica di opposizione consapevole e responsabile oggi potrebbe solo chiedere di restare per pochi mesi, giusto il tempo di varare una legge più giusta e più in sintonia con i grandi cambiamenti a cui va incontro il servizio pubblico nell’era della digitalizzazione e della multimedialità galoppante. È su questo punto che il Pd dovrebbe sfidare il governo Berlusconi.
Il quarto errore - sempre di Franceschini - è d’aver detto che a questo punto la scelta della presidenza a Petruccioli è «irrinunciabile». Landolfi, ex presidente della Vigilanza, ha avuto gioco facile a ribattere: «Se fosse così, non si capirebbe per quale motivo sia stato indicato prima De Bortoli. Vuol dire che Petruccioli è quantomeno una seconda scelta, e alle seconde scelte di solito le alternative ci sono». Che cosa ha dichiarato Berlusconi per spiegare il no a Petruccioli, «di cui ha grande stima»? «La nostra decisione, in coerenza anche con quanto affermato dal leader del Pd, è stata quella di un rinnovamento e quindi, se vogliamo davvero rinnovare la Rai, credo che la nomina del presidente in carica vorrebbe dire continuità e dunque è soltanto per questo che abbiamo detto che volevamo un cambiamento».
Come si esce da questo cul de sac? Tornando a fare politica. Per l’interesse della Rai non ci può essere che una priorità: cambiare i criteri di nomina del Consiglio. Siamo fuori tempo massimo? Fino a quando da parte del centro destra non ci sarà un impegno formale, anche temporale, a cambiare la legge - e basta intervenire su tre commi di un solo articolo - il Pd non darà il suo assenso su nessun nome per la presidenza della Rai. Anche chi, come Petruccioli, conosce bene l’azienda per averci lavorato con passione, oggi si troverebbe in difficoltà a frenare l’assalto alla diligenza che il centro destra si prepara a sferrare in viale Mazzini. Se non c’è questa consapevolezza, se si pensa ancora che basti un nome altisonante vuol dire che il gruppo dirigente del Pd non ha capito. E far politica dovrebbe voler dire prima di tutto capire la realtà dentro la quale si devono operare scelte, stabilire priorità, valutare compromessi virtuosi.
Oggi quello del presidente è un mestiere impossibile! Se Petruccioli l’ha fatto bene - sia pure in un Consiglio che poteva sempre metterlo in minoranza - è anche perché tra lui e il direttore generale Claudio Cappon c’era una forte sintonia. E ciò è stato possibile solo perché nel 2005 Berlusconi sbagliò tutto, imponendo un direttore generale che dopo dieci mesi dovette rinunciare all’incarico perché «incompatibile». Nel frattempo al governo era arrivato Prodi e il nuovo direttore generale della Rai doveva avere l’assenso del nuovo ministro del Tesoro. Se oggi il centro destra vuole disfarsi di Petruccioli - e di Cappon - con la scusa del cambiamento, è perché sa che uno come lui con l’esperienza e la conoscenza accumulata negli ultimi anni sarebbe un osso duro. A Petruccioli una forza politica di opposizione consapevole e responsabile oggi potrebbe solo chiedere di restare per pochi mesi, giusto il tempo di varare una legge più giusta e più in sintonia con i grandi cambiamenti a cui va incontro il servizio pubblico nell’era della digitalizzazione e della multimedialità galoppante. È su questo punto che il Pd dovrebbe sfidare il governo Berlusconi.
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