E’ l’ora della solitudine e dello sconforto quella che emerge dalla lettera che Benedetto XVI ha inviato ieri ai vescovi di tutto il mondo per giustificare ancora una volta la sua apertura ai seguaci di mons. Lefebvre e per denunciare le veementi critiche a questo gesto che si sono prodotte in molti ambienti cattolici.
Per il Papa, la Chiesa è oggi un luogo «dove ci si morde e divora a vicenda, come espressione di una libertà male intesa». Frasi durissime, indicano il disagio di un pontefice che non si sente compreso nelle sue scelte, che ha difficoltà a fare sintesi tra le diverse anime della cattolicità.
Proprio il protrarsi di queste tensioni, insieme con il volto duro del Vaticano su temi che lacerano la coscienza contemporanea (vita, famiglia, bioetica), possono spiegare il deficit di consenso pubblico che Benedetto XVI sta conoscendo negli ultimi mesi. Col passare del tempo, l’immagine di Ratzinger sembra appannarsi, rispetto sia ai primi tempi del suo pontificato, sia soprattutto al dinamismo del suo predecessore. Piazza San Pietro all’Angelus della domenica non ospita più le folle del passato.
Negli ultimi due anni gli incontri pubblici del Papa hanno avuto due milioni in meno di fedeli; e per il secondo anno consecutivo il Vaticano ha chiuso in rosso i suoi conti.
La Chiesa cattolica non è sondaggio-dipendente, come lo sono invece le forze politiche, le società di marketing e le reti tv. Tuttavia, pur più attenta ai segni del cielo che ai dati dell’audience, essa non può fare a meno di registrare una crisi di appeal, in particolare del suo leader massimo. L’ultima indagine nazionale sulla religiosità in Italia ci dice che - pur in una nazione ancora in larga parte cattolica - il termometro della fiducia nei confronti di Benedetto XVI tocca quota 50, mentre quella verso papa Wojtyla è stabile (nel ricordo) a 80 punti.
Ovviamente, non è che il Papa debba bucare il video a tutti i costi, o piegare la sua figura all’attività di fund raising pro ecclesia pur in tempi economici grami per tutti. Tuttavia non tutto sembra dovuto a un’emittente vaticana difettosa o a un vertice ecclesiale meno sensibile che nel passato alla grande comunicazione.
Anzitutto si registra una distanza tra gli orientamenti della Chiesa ufficiale e il sentire della gente comune. Ciò che molti fanno fatica a capire non è che la Chiesa tenga alti i suoi principi, richiami tutti ai valori «irrinunciabili» (verità religiosa, primato della famiglia, rispetto della vita, solidarietà ecc.). Quanto il fatto che su molte questioni emergenti essa esprima posizioni così perentorie, giudizi così netti o anche anatemi che sembrano mettere in secondo piano quel primato della carità che pur fa parte della sua vocazione. Così si diffonde l’impressione di una Chiesa più magistero che maestra, più giudice che madre; più propensa a dettare norme e distinguo su vicende complesse del vivere attuale che a proporre riflessioni capaci di richiamare i grandi principi ma con quel senso del mistero e della compassione umana che ci si attenderebbe dalla Chiesa.
Intendiamoci. L’immagine di una Chiesa inflessibile su alcune verità religiose, esigente e chiusa nel campo della morale sessuale e familiare, forte nel richiamare i credenti a una condotta di vita coerente, è stata anche una delle cifre del pontificato di Giovanni Paolo II, una delle eredità condivise che legano Benedetto XVI al vecchio Papa. Tuttavia, Wojtyla emanava su molte altre questioni uno slancio biblico, una passione sociale, una curiosità umana, capaci di comunicare il volto di una Chiesa che si fa carico dei problemi e delle ambivalenze del mondo.
Qui emerge il dilemma che papa Ratzinger sta vivendo circa gli indirizzi da dare al suo pontificato. Le tensioni del post Concilio e la stessa esuberanza di papa Wojtyla sembravano richiedere alla Chiesa una fase di ripensamento, una nuova sintesi, atta a comporre le aperture col senso della memoria e della tradizione. Ciò per evitare che la comunità cristiana perdesse il suo sapore nella società pluralistica, che la distinzione cristiana fosse assimilata a generiche adesioni a un credo umanizzato.
Già da cardinale, Ratzinger ha più volte riflettuto su quale possa essere il vero volto della Chiesa: quello più smagrito ma più autentico delle comunità di fedeli impegnati, o quello di un «popolo di Dio» dove l’assenza di confini può dar adito a confusioni e appartenenze indebite. Si tratta di un dubbio che emerge a più riprese anche nel suo pontificato, come quando ricorda a tutti che il Papa non è una rockstar, che alcuni eventi cattolici più che essere luoghi dello spirito riducono la fede a spettacolo e concerto. Ancora una volta, dunque, la Chiesa vive il dilemma se distinguersi dal mondo o adattarsi a esso; per cui il minor consenso che oggi si registra attorno al Papa teologo non ha soltanto una natura comunicativa, ma indica una tensione ben più rilevante.
Per il Papa, la Chiesa è oggi un luogo «dove ci si morde e divora a vicenda, come espressione di una libertà male intesa». Frasi durissime, indicano il disagio di un pontefice che non si sente compreso nelle sue scelte, che ha difficoltà a fare sintesi tra le diverse anime della cattolicità.
Proprio il protrarsi di queste tensioni, insieme con il volto duro del Vaticano su temi che lacerano la coscienza contemporanea (vita, famiglia, bioetica), possono spiegare il deficit di consenso pubblico che Benedetto XVI sta conoscendo negli ultimi mesi. Col passare del tempo, l’immagine di Ratzinger sembra appannarsi, rispetto sia ai primi tempi del suo pontificato, sia soprattutto al dinamismo del suo predecessore. Piazza San Pietro all’Angelus della domenica non ospita più le folle del passato.
Negli ultimi due anni gli incontri pubblici del Papa hanno avuto due milioni in meno di fedeli; e per il secondo anno consecutivo il Vaticano ha chiuso in rosso i suoi conti.
La Chiesa cattolica non è sondaggio-dipendente, come lo sono invece le forze politiche, le società di marketing e le reti tv. Tuttavia, pur più attenta ai segni del cielo che ai dati dell’audience, essa non può fare a meno di registrare una crisi di appeal, in particolare del suo leader massimo. L’ultima indagine nazionale sulla religiosità in Italia ci dice che - pur in una nazione ancora in larga parte cattolica - il termometro della fiducia nei confronti di Benedetto XVI tocca quota 50, mentre quella verso papa Wojtyla è stabile (nel ricordo) a 80 punti.
Ovviamente, non è che il Papa debba bucare il video a tutti i costi, o piegare la sua figura all’attività di fund raising pro ecclesia pur in tempi economici grami per tutti. Tuttavia non tutto sembra dovuto a un’emittente vaticana difettosa o a un vertice ecclesiale meno sensibile che nel passato alla grande comunicazione.
Anzitutto si registra una distanza tra gli orientamenti della Chiesa ufficiale e il sentire della gente comune. Ciò che molti fanno fatica a capire non è che la Chiesa tenga alti i suoi principi, richiami tutti ai valori «irrinunciabili» (verità religiosa, primato della famiglia, rispetto della vita, solidarietà ecc.). Quanto il fatto che su molte questioni emergenti essa esprima posizioni così perentorie, giudizi così netti o anche anatemi che sembrano mettere in secondo piano quel primato della carità che pur fa parte della sua vocazione. Così si diffonde l’impressione di una Chiesa più magistero che maestra, più giudice che madre; più propensa a dettare norme e distinguo su vicende complesse del vivere attuale che a proporre riflessioni capaci di richiamare i grandi principi ma con quel senso del mistero e della compassione umana che ci si attenderebbe dalla Chiesa.
Intendiamoci. L’immagine di una Chiesa inflessibile su alcune verità religiose, esigente e chiusa nel campo della morale sessuale e familiare, forte nel richiamare i credenti a una condotta di vita coerente, è stata anche una delle cifre del pontificato di Giovanni Paolo II, una delle eredità condivise che legano Benedetto XVI al vecchio Papa. Tuttavia, Wojtyla emanava su molte altre questioni uno slancio biblico, una passione sociale, una curiosità umana, capaci di comunicare il volto di una Chiesa che si fa carico dei problemi e delle ambivalenze del mondo.
Qui emerge il dilemma che papa Ratzinger sta vivendo circa gli indirizzi da dare al suo pontificato. Le tensioni del post Concilio e la stessa esuberanza di papa Wojtyla sembravano richiedere alla Chiesa una fase di ripensamento, una nuova sintesi, atta a comporre le aperture col senso della memoria e della tradizione. Ciò per evitare che la comunità cristiana perdesse il suo sapore nella società pluralistica, che la distinzione cristiana fosse assimilata a generiche adesioni a un credo umanizzato.
Già da cardinale, Ratzinger ha più volte riflettuto su quale possa essere il vero volto della Chiesa: quello più smagrito ma più autentico delle comunità di fedeli impegnati, o quello di un «popolo di Dio» dove l’assenza di confini può dar adito a confusioni e appartenenze indebite. Si tratta di un dubbio che emerge a più riprese anche nel suo pontificato, come quando ricorda a tutti che il Papa non è una rockstar, che alcuni eventi cattolici più che essere luoghi dello spirito riducono la fede a spettacolo e concerto. Ancora una volta, dunque, la Chiesa vive il dilemma se distinguersi dal mondo o adattarsi a esso; per cui il minor consenso che oggi si registra attorno al Papa teologo non ha soltanto una natura comunicativa, ma indica una tensione ben più rilevante.
2 commenti:
Ho letto con molto interesse questo articolo e potrei parlarne a lungo, ma sarebbe difficilissimo essere esaustivi. Non sono credente ma la mia educazione mi ha sempre spinta a comportarmi da "cristiana", nel senso più profondo che può avere questa parola. Il cattolicesimo non voglio neppure prenderlo in considerazione essendo, in qualche modo, la non-attuazione del verbo di Cristo. Comunque questo Papa, a mio avviso attaccato con le unghie e con i denti a questa carica raggiunta dopo una vita passata a fare carriera solo e unicamente per arrivare al soglio di Pietro, non è affatto un uomo che si è calato nell'umanità dolente, al contrario, si è sempre astenuto dal guardare negli occhi il prossimo, tutto teso a sbrogliare le matasse del Vaticano. E' un uomo freddo che comunica ben poco e mi dispiace dirlo, non prendermi per una lombrosiana, ma il viso dalle labbra tese, quell'aspetto contenuto nei modi e nell'incedere, parlano di un essere che poco ha amato. Spero proprio che il consenso scenda a quote ancora più esigue, la Chiesa dovrebbe essere conforto e rifugio e oggi è esattamente il contrario.
Pienamente d'accordo con Luz!
Madda
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