domenica 1 marzo 2009

L'Australia estrema e selvaggia


di Lorena Zanette

Il 22 febbraio è una soleggiata giornata di fine estate in Australia ed il giorno del lutto nazionale per le vittime degli incendi dello Stato del Victoria, che ancora brucia pericolosamente. Alla Rod Laver Arena di Melbourne, dove solo qualche settimana fa si sfidavano Federer e Nadal, il pubblico che assiste alla cerimonia è forse meno numeroso di quello che ci aspettava, ma altre persone, negli ippodromi, nelle piazze, nelle case, guardano commossi la celebrazione in memoria delle 210 vittime attestate fino ad oggi. L’interno dell’arena è buio, nonostante sia mattino inoltrato, perché il tetto è stato chiuso e la bandiera nazionale blu fa da telone, la Croce del Sud al centro.

Qualcuno alla tv ha detto che la tragedia ha mostrato il peggior volto distruttivo della natura, ma il lato migliore della natura umana. Gli Australiani hanno risposto infatti in modo immediato e straordinario con donazioni di denaro, alimenti, vestiti e tutto quanto era necessario chi non ha più nulla. E’ stato preparato un piano per aiutare finanziariamente i commercianti che hanno distribuito gratuitamente i loro prodotti ed i veterinari che hanno curato pro bono gli animali domestici e quelli selvaggi. In queste settimane il paese ha trovato una ragione in più per sentirsi unito.

L’Australia è famosa per la sua natura incontaminata, gli spazi infiniti e la simpatia della sua gente, luoghi comuni che sono ancora validi, sebbene questo continente sia molto di più. Perché a fianco delle origini inglesi rimarcate in modo evidente nella bandiera vi è la vergogna dello sterminio degli aborigeni. Sopra le popolate spiagge immortalate nel libro fotografico di Ronnie Ellis ‘Life is a beach’ c’è il buco dell’azono che ogni anno è la causa di migliaia di tumori alla pelle. Oltre all’orgoglio di abitare nel continente più giovane al mondo c’è un vago sentimento di lontananza da quel resto del mondo.

Il 26 gennaio è ‘Australia day’, l’anniversario della scoperta di questo continente nel 1788. La giornata viene spesa tra barbecue e concerti, bandiere orgogliosamente esposte ovunque e fiumi di birra. Questo paese, che per stile di vita è parte dell’occidente, non ha quasi storia se si usano i parametri degli altri paesi occidentali per misurarlo, mentre la storia millenaria degli aborigeni è stata in parte distrutta o accantonata e solo recentemente si sta cercando di fare ammenda. Solo un anno fa il neoeletto primo ministro ha chiesto scusa per le ‘generazioni rubate’ di figli di padre bianco e madre aborigena, bambini che fino agli anni Settanta venivano rinchiusi in istituti religiosi e dati in adozione a famiglie di bianchi per cancellarne l’origine aborigena. Solo pochi mesi fa alla tv è andato in onda il documentario ‘First Australians’ sulla storia di queste popolazioni. In occasione della festa quest’anno è stato nominato ‘Australiano dell’anno’ un aborigeno, uno degli avvocati più impegnati nella difesa dei diritti della propria gente. Mick Dodson ha meditato a lungo prima di accettare l’onorificenza ed ha poi deciso di farlo per poter usare la visibilità di questo titolo per diffondere la propria causa. Gli aborigeni chiedono da anni di spostare la data dell’ ‘Australia day’, poiché per loro il 26 gennaio è il giorno del dolore. "Un’altra festa per la quale sentirci in colpa" commenta mestamente qualcuno.

Lontano delle celebrazioni ufficiali gli Australiani festeggiano con barbecue e pic-nic sulle spiagge, nelle case, nei parchi. I giornali pubblicano con immancabile ironia l’elenco delle cose da fare il 27: al primo posto ‘bruciacchiare qualsiasi tipo di carne su dei barbecue non proprio puliti’, all’ultimo ‘fare qualcosa di culturale, come andare a vedere i fuochi d’artificio’. Non a caso sono attività all’aperto, perché questa è una delle caratteristiche questo paese: il contatto con la natura, lo sport in ogni sua forma e per tutte le forme, dove le spiagge sono percorse fin dalle sei del mattino da chi va a correre prima di andare in ufficio ed i parchi sono il terreno perfetto per il cricket.

Descrivere la natura australiana è impresa lunga e ricca di aggettivi quali imponente, straordinario, incontaminato e via di questo passo, il rischio è di banalizzare ciò che non lo è. I parchi di Melbourne sono gremiti di persone che siedono sull’erba, mentre quelli più interni, dove la terra è rossa ed i serpenti sono nascosti ovunque così come i canguri, sono invece percorsi da piccole comitive attente a non perdersi lungo i percorsi della foresta pluviale o nei boschi. La campagna australiana nel Victoria, nel sud-est del paese, è martoriata dalla peggiore siccità degli ultimi settant’anni, i torrenti sono in secca, l’erba è gialla e gli alberi della gomma offrono ben poco riparo alle mandrie al pascolo.

Eppure dietro questa catastrofe si nascondono decine di cantine dove si degustano dei bianchi dolcissimi ed il più famoso shiraz. Inaspettatamente la campagna australiana riserva mille sorprese per la gentilezza delle persone, le strade infinite e la tranquillità di chi non ha fretta e si fida degli altri. Forse la simpatia ed il quieto vivere degli Australiani vengono un po’ dal dover fare i conti con una natura estrema, o forse è solo il fatto di essere così lontani dal resto del mondo che li rende capaci di vedere le cose in modo più ironico e diverso.I cani di un vicino escono di casa correndo e mi tagliano la strada, lui cerca di tenerli al guinzaglio come meglio può. "Mi scusi - dice voltandosi - mi stanno portando a fare la passeggiata".

28 febbraio 2009

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