Sesso. Una parola che nella Rete trova ampie collocazioni e declinazioni, rimbalza da articoli giornalistici a siti dedicati, da Wikipedia a youtube, dai blog alle chat. E che a scuola, invece, viene perlopiù sussurrata, spogliata del suo significato socio-culturale e “rivestita” di abiti scientifici che tendono a circoscrivere e a raffreddare tutti i significati che racchiude in una mera lezione di anatomia. Eppure dai ragazzi i segnali arrivano, come è avvenuto al Liceo Classico Beccaria di Milano, dove in un sondaggio sulle maggiori preoccupazioni degli adolescenti c’è il sesso. Niente di nuovo, l’adolescenza si sa è un’età in cui queste problematiche sono “all’ordine del giorno”.
Ma, i recenti fatti di cronaca portano ad una riflessione su dove, come e con chi i ragazzi possono avere occasioni per affrontare argomenti legati al sesso e alla sessualità. Innanzitutto la famiglia. Che spesso, però delega alla scuola, che a sua volta delega il prof. di biologia o di religione a questo compito: niente di sbagliato se non fosse che il metodo usato, salvo alcune eccezioni, è un metodo tradizionale, frontale. Diapositive, lezioncina e tutto finisce lì.
La formazione degli insegnanti è il nodo cruciale e, in questo senso, non siamo ad un buon punto come sottolinea il prof. Fabio Veglia, docente di Psicologia e Psicopatologia del comportamento sessuale all’Università di Torino, che da anni si occupa proprio della formazione dei docenti nelle scuole e che ha raccontato la sua esperienza nel libro C’era una volta la prima volta, (F.Veglia, R. Pellegrini, Erickson Editore): “Purtroppo ancora oggi la maggior parte delle proposte di educazione sessuale sono strettamente connesse più al taglio formativo che all’educazione. Immaginiamo che i ragazzi debbano conoscere l’anatomia, la fisiologia, piuttosto che una serie di inconvenienti come le malattie, le gravidanze indesiderate, gli abusi, che adesso stanno cominciando a essere considerati in modo in po’ più ampio, perché tante ragazze vengono abusate dal proprio ragazzo che semplicemente le usa, invece che incontrarle. Questo è uno dei temi che, con il gruppo che guido, stiamo cercando di affrontare da anni costruendo un modello narrativo dove questi contenuti vengano trasmessi attraverso un racconto nel quale le persone possano collocarsi come protagonisti, come personaggi, diverso dal metodo tradizionale, frontale. E stiamo ottenendo ottimi risultati: su 1000 persone il rapporto tra i due metodi riguardo all’efficacia dell’apprendimento è di 1:5, quindi si sanno 5 volte più cose col metodo narrativo che con quello tradizionale. La cosa curiosa è che con il metodo tradizionale si esce tranquilli con quello narrativo si esce turbati, ma innescare il dubbio genera nel tempo più risultati, poiché implica un’elaborazione personale”.
Negli ultimi anni, si è registrato un cambiamento nell’approccio al sesso, legato anche alle nuove tecnologie. Ma se ancora è troppo presto per analizzarlo, per guardarlo da lontano, si può cercare di evidenziare un trend, una tendenza diffusa soprattutto tra gli adolescenti che come rivela lo psicologo ha risvolti inquietanti:
“Il dato più pericoloso che emerge dal cambiamento nell’esperienza sessuale è lo scollamento tra sesso e ricerca di senso. Non è un dato generale, ma c’è un picco inquietante di ragazzi che vivono il sesso come emozione immediata con caratteristiche precise. Deve essere molto facilmente accessibile, molto immediatamente spendibile e deve dare un’emozione immediatamente forte, che sono più o meno le caratteristiche della cocaina. E’ una modalità che assomiglia alla dipendenza e che ha come effetto collaterale l’esposizione al “calo” , la stessa che si ha prendendo cocaina: dopo sensazioni così forti si ha una sensazione di depressione che porta a ricercarla continuamente, quindi alla dipendenza”.
E quale maggior fattore di accelerazione se non Internet? La Rete, in ambito di relazioni umane, ha una duplice connotazione: può migliorare le cose perché è uno strumento di contatto immediato, ma può dare dipendenza e anche, sottolinea Veglia, portare alcune sgradite sorprese: “Internet tende a scorporare gli incontri tra le persone. Ovvero li rende visibili e linguistici e non più gestuali. E noi abbiamo ancora geni e cervello fatti per usare il corpo e dirci le cose in modo più convincente. Ad esempio io ho in psicoterapia dei casi di persone che nelle chat ottengono vantaggi importanti perché 30 anni fa sarebbero rimaste sole, quindi un’ottima risorsa. Ma in altri casi le persone in chat incontrano “mostri” in sequenza, persone che parlando sembrano una cosa e poi quando le incontri si rivelano disturbate anche in modo grave”.
E allora, in qualunque realtà ci si trovi, virtuale e non, il sesso, le relazioni, le scelte e le manifestazioni di violenza fanno parte di un fenomeno sociale molto complesso, che il prof Veglia affronta con un’analisi profonda, che è un invito per tutti a cercare di capire cosa si nasconde davvero dietro alle violenze ai danni di coetanee da parte del “branco” di conoscenti o addirittura di compagni di classe e “amici”, ma anche dietro alle scene di violenza create per Youtube:
“Lo spazio che noi adulti abbiamo lasciato vuoto per i ragazzi è il senso di ciò che sta capitando. Cioè se si propone ai ragazzi, uno per uno, l’immagine su Youtube di una violenza, tutti si mettono a piangere, non lo reggono, perché non ha senso. Il branco invece si fa forza in questo vuoto di senso dove si sta male e cerca una vittima su cui sfogarsi. Ed è colpa nostra. Tendiamo a essere latitanti sul senso, perciò creiamo un vuoto in cui i ragazzi tendono ad agire come sappiamo. Se per esempio gli stessi ragazzi avessero modo di simulare in classe situazioni di gruppo che si creano fuori dalla discoteca, si darebbe vita ad un dibattito, sorgerebbero dubbi, confronti. Basta che uno solo abbia un dubbio. Ma non hanno occasioni per farlo. E in realtà loro il segnale lo lanciano, basta vedere il risultato di questo sondaggio”.
Ma, i recenti fatti di cronaca portano ad una riflessione su dove, come e con chi i ragazzi possono avere occasioni per affrontare argomenti legati al sesso e alla sessualità. Innanzitutto la famiglia. Che spesso, però delega alla scuola, che a sua volta delega il prof. di biologia o di religione a questo compito: niente di sbagliato se non fosse che il metodo usato, salvo alcune eccezioni, è un metodo tradizionale, frontale. Diapositive, lezioncina e tutto finisce lì.
La formazione degli insegnanti è il nodo cruciale e, in questo senso, non siamo ad un buon punto come sottolinea il prof. Fabio Veglia, docente di Psicologia e Psicopatologia del comportamento sessuale all’Università di Torino, che da anni si occupa proprio della formazione dei docenti nelle scuole e che ha raccontato la sua esperienza nel libro C’era una volta la prima volta, (F.Veglia, R. Pellegrini, Erickson Editore): “Purtroppo ancora oggi la maggior parte delle proposte di educazione sessuale sono strettamente connesse più al taglio formativo che all’educazione. Immaginiamo che i ragazzi debbano conoscere l’anatomia, la fisiologia, piuttosto che una serie di inconvenienti come le malattie, le gravidanze indesiderate, gli abusi, che adesso stanno cominciando a essere considerati in modo in po’ più ampio, perché tante ragazze vengono abusate dal proprio ragazzo che semplicemente le usa, invece che incontrarle. Questo è uno dei temi che, con il gruppo che guido, stiamo cercando di affrontare da anni costruendo un modello narrativo dove questi contenuti vengano trasmessi attraverso un racconto nel quale le persone possano collocarsi come protagonisti, come personaggi, diverso dal metodo tradizionale, frontale. E stiamo ottenendo ottimi risultati: su 1000 persone il rapporto tra i due metodi riguardo all’efficacia dell’apprendimento è di 1:5, quindi si sanno 5 volte più cose col metodo narrativo che con quello tradizionale. La cosa curiosa è che con il metodo tradizionale si esce tranquilli con quello narrativo si esce turbati, ma innescare il dubbio genera nel tempo più risultati, poiché implica un’elaborazione personale”.
Negli ultimi anni, si è registrato un cambiamento nell’approccio al sesso, legato anche alle nuove tecnologie. Ma se ancora è troppo presto per analizzarlo, per guardarlo da lontano, si può cercare di evidenziare un trend, una tendenza diffusa soprattutto tra gli adolescenti che come rivela lo psicologo ha risvolti inquietanti:
“Il dato più pericoloso che emerge dal cambiamento nell’esperienza sessuale è lo scollamento tra sesso e ricerca di senso. Non è un dato generale, ma c’è un picco inquietante di ragazzi che vivono il sesso come emozione immediata con caratteristiche precise. Deve essere molto facilmente accessibile, molto immediatamente spendibile e deve dare un’emozione immediatamente forte, che sono più o meno le caratteristiche della cocaina. E’ una modalità che assomiglia alla dipendenza e che ha come effetto collaterale l’esposizione al “calo” , la stessa che si ha prendendo cocaina: dopo sensazioni così forti si ha una sensazione di depressione che porta a ricercarla continuamente, quindi alla dipendenza”.
E quale maggior fattore di accelerazione se non Internet? La Rete, in ambito di relazioni umane, ha una duplice connotazione: può migliorare le cose perché è uno strumento di contatto immediato, ma può dare dipendenza e anche, sottolinea Veglia, portare alcune sgradite sorprese: “Internet tende a scorporare gli incontri tra le persone. Ovvero li rende visibili e linguistici e non più gestuali. E noi abbiamo ancora geni e cervello fatti per usare il corpo e dirci le cose in modo più convincente. Ad esempio io ho in psicoterapia dei casi di persone che nelle chat ottengono vantaggi importanti perché 30 anni fa sarebbero rimaste sole, quindi un’ottima risorsa. Ma in altri casi le persone in chat incontrano “mostri” in sequenza, persone che parlando sembrano una cosa e poi quando le incontri si rivelano disturbate anche in modo grave”.
E allora, in qualunque realtà ci si trovi, virtuale e non, il sesso, le relazioni, le scelte e le manifestazioni di violenza fanno parte di un fenomeno sociale molto complesso, che il prof Veglia affronta con un’analisi profonda, che è un invito per tutti a cercare di capire cosa si nasconde davvero dietro alle violenze ai danni di coetanee da parte del “branco” di conoscenti o addirittura di compagni di classe e “amici”, ma anche dietro alle scene di violenza create per Youtube:
“Lo spazio che noi adulti abbiamo lasciato vuoto per i ragazzi è il senso di ciò che sta capitando. Cioè se si propone ai ragazzi, uno per uno, l’immagine su Youtube di una violenza, tutti si mettono a piangere, non lo reggono, perché non ha senso. Il branco invece si fa forza in questo vuoto di senso dove si sta male e cerca una vittima su cui sfogarsi. Ed è colpa nostra. Tendiamo a essere latitanti sul senso, perciò creiamo un vuoto in cui i ragazzi tendono ad agire come sappiamo. Se per esempio gli stessi ragazzi avessero modo di simulare in classe situazioni di gruppo che si creano fuori dalla discoteca, si darebbe vita ad un dibattito, sorgerebbero dubbi, confronti. Basta che uno solo abbia un dubbio. Ma non hanno occasioni per farlo. E in realtà loro il segnale lo lanciano, basta vedere il risultato di questo sondaggio”.
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