lunedì 2 marzo 2009

ROBERTO ORMANNI
LA GENTE D'ITALIA
9 gennaio 2009

La “montagna” di calciopoli ha partorito il topolino: il processo Gea World, la società che gestiva gli ingaggi dei calciatori, si è concluso con la condanna, limitata ad episodi minori, soltanto di Luciano Moggi e del figlio Alessandro. Ai quali, peraltro, i giudici hanno riconosciuto le attenuanti.
Dopo circa due ore di camera di consiglio i giudici della decima sezione penale del tribunale di Roma hanno stabilito che la Gea non era un’associazione per delinquere, come contestato dai pubblici ministeri prima di Napoli e poi di Roma, e che gli altri imputati mandati a giudizio con Moggi senior e Moggi junior sono innocenti.
Assolti l'amministratore delegato della Gea World Franco Zavaglia, Davide Lippi, Francesco Ceravolo e Pasquale Gallo, per i quali il pm aveva chiesto condanne a partire da tre anni e mezzo fino a otto mesi. Condannati invece, per due episodi di violenza privata, Luciano Moggi (1 anno e 6 mesi) e il figlio Alessandro (1 anno e 2 mesi).
I reati a cui si riferiscono le due condanne riguardano le trattative tra l’ex dg della Juventus, il figlio e i calciatori Nicola Amoruso, Emanuele Blasi, Ilyas Zeytulaev e Victor Budiansky. Episodi nei quali, secondo l’accusa, erano coinvolti anche gli altri imputati che invece il tribunale ha assolto.
Il pm Luca Palamara aveva chiesto per Luciano Moggi 6 anni di reclusione.
Le condanne inflitte sono interamente coperte dall’indulto in quanto i fatti contestati sono precedenti al maggio 2006. Il tribunale ha perciò disposto la sospensione della pena. Scontato l’appello della pubblica accusa appena saranno depositate le motivazioni della sentenza.
La ricostruzione dei fatti da parte del pm era stata ben altra. Secondo la procura una fetta del mondo del calcio, in Italia, è stata per controllata, di fatto, per alcune stagioni, da un’associazione per delinquere messa in piedi dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.
Fondandosi su questo presupposto l’accusa aveva mandato a giudizio sei imputati e aveva chiesto la condanna più pesante per Luciano Moggi.
Il processo conclusosi con un flop è quello sulle presunte irregolarità nell’attività della Gea World Spa, la società che negli anni scorsi ha gestito le procure di numerosi calciatori di serie A, B e C.
Oltre ai sei anni per Moggi, la pubblica accusa ne aveva chiesti cinque per il figlio Alessandro. Per giunta l’ex capostazione avellinese, per il pm, non avrebbe meritato nemmeno le attenuanti. Che invece sono state concesse dal tribunale.
Condanne erano state chieste anche per gli altri quattro imputati: 3 anni e 6 mesi a Franco Zavaglia, 2 anni e 4 mesi a Francesco Ceravolo, 1 anno e 4 mesi a Davide Lippi e 8 mesi a Pasquale Gallo. Il pm, nel corso della sua requisitoria, ha ricostruito le indagini, ha evidenziato gli elementi sui quali si sono basate le imputazioni e ha puntato il dito contro i metodi illeciti utilizzati dalla società di agenti sportivi fino alla primavera del 2006 per acquisire le procure dei calciatori ai venivano promessi vantaggi di carriera se avessero revocato i mandati che li legavano ad altre agenzie per affidarsi alla Gea. Un’organizzazione, a parere dell’accusa, messa in piedi dall’ex direttore sportivo della Juventus che, per il pm, era di fatto un’associazione per delinquere. Venendo alle accuse contestate, il pm ha chiesto la condanna di Luciano Moggi (che non meriterebbe le attenuanti sia per la gravità dei fatti sia per il comportamento processuale) e di Zavaglia come “promotori e organizzatori” dell'associazione per delinquere, mentre Ceravolo sarebbe stato un semplice “partecipe”. Dall’accusa di associazione per delinquere avrebbero dovuto invece essere assolti, per il pm, soltanto Lippi jr e Gallo. Tutti invece avrebbero dovuto essere condannati per diversi episodi di concorrenza illecita con minaccia e violenza e per violenza privata consumata e tentata. A questo proposito il pm aveva sottolineato che “chi cambiava procuratore e passava alla Gea dove lavoravano Zavaglia e Alessandro Moggi aveva la possibilità di approdare in un club importante e prestigioso come la Juventus, e poteva ambire a un adeguamento o prolungamento contrattuale. Chi rifiutava rischiava di vedersi stroncare la carriera”.
“Il calciatore – aveva aggiunto Palamara - non aveva certo la pistola puntata alla tempia né subiva minacce dirette o esplicite, ma era sicuramente l'anello debole della catena. Non si può parlare di attività mafiosa – concludeva il pm – ma c'è un parallelismo di comportamento alla luce dell'intimidazione e del condizionamento che subivano gli atleti, vittime di un sistema costruito da chi controllava il meccanismo dei procuratori sportivi”. Secondo la pubblica accusa “l'inchiesta Gea è stata "uno dei tanti esempi dell'implosione del sistema calcio, giunto al collasso perché le società fanno fatica a trovare un punto di equilibrio tra ricavi e spese”.
Sono quattordici i capi di imputazione che il pm Luca Palamara ha analizzato nel corso della sua requisitoria al processo nei confronti di Luciano Moggi e altri cinque imputati tra i quali i figli di Lippi e dello stesso Moggi per l’attività della Gea World, la società che ha gestito le procure di diversi calciatori. L’esame del pm ha riguardato i rapporti tra calciatori e agenti prima che gli stessi giocatori venissero “corteggiati” dalla Gea. In particolare Palamara si è soffermato sulle “coppie” Nicola Amoruso-Antonio Caliendo, Davide Baiocco-Giovanni Allegrini, Emanuele Blasi-Stefano Antonelli, Fabio Gatti-Claudio Orlandini, Giorgio Chiellini-Paolo Bordonaro, Giovanni Tedesco-Antonino Imborgia, David Trezeguet-Antonio Caliendo e i russi Zetulaev, Budiansky e Nigmatullin con Marco Trabucchi.
Il pm aveva sottolineato che “la Gea World spa nasce nell'ottobre del 2001 come meccanismo politico-imprenditoriale che rafforza l'attività che Alessandro Moggi e Franco Zavaglia avevano svolto nel mondo del calcio come Football Management. Non e' un caso – secondo Palamara - se pochi mesi dopo la nascita della società i giocatori Amoruso, Blasi, Baiocco, Gatti, Tedesco, Trezeguet furono avvicinati e invitati a cambiare procuratore in cambio di vantaggi economici e di carriera. Non è un caso – aveva ribadito ancora il pm - se nel marzo del 2002, in una intervista a un quotidiano sportivo, Fabio Capello, che all'epoca allenava la Roma ed era amico di Baldini, lanciò il sasso nello stagno, come poi fece Canovi nel 2004. La reazione di Capello e di altri procuratori sportivi, secondo l’accusa è prova che un tipo di meccanismo di acquisizione delle procure sportive non viene più tollerato dagli addetti ai lavori che si vogliono spartire la torta”.
Palamara ha infine citato una lettera ritrovata nell’ufficio di Franco Zavaglia alla Gea. “E' una lettera - ha detto il pm - che lui indirizza ai collaboratori e in cui invita loro a non andare a sbandierare il nome di Luciano Moggi e a far presa sui giocatori illustrando loro l'organizzazione della società senza minacciare nessuno come è avvenuto in passato”.
“Le intercettazioni telefoniche – ricordava il pm - ci hanno aiutato a capire quanto Moggi fosse interessato a tutto. L'acquisto dell'allenatore De Canio da parte del Siena, la questione della procura di Blasi, l'affare Mutu, l'aiuto dato al presidente del Messina Franza, il mancato trasferimento in bianconero del portiere Viviano sono tutti esempi che provano quanto a Moggi non bastasse fare il dg bianconero”.
“Tramite il figlio e Zavaglia - sosteneva l’accusa – Moggi ha partecipato attivamente affinché i giocatori conferissero la loro procura alla Gea. Luciano Moggi, insomma, aveva alimentato un meccanismo di controllo della libertà di autodeterminazione delle procure sportive”. Un meccanismo che secondo il pm ha cancellato la libertà dei singoli. “Moggi era coinvolto direttamente in Gea – ha detto il pm – ed è stato l'ispiratore della fusione tra la Football Management e la General Athletic”. Anche Alessandro Moggi, come il padre e Zavaglia, è da considerare uno dei promotori dell'associazione per delinquere: “Con la Gea lui ha rafforzato la sua posizione e portato avanti quanto fatto anni prima con Zavaglia”.
Tutte argomentazioni cancellate in due ore di camera di consiglio. Le motivazioni della sentenza spiegheranno in quali punti le tesi dell’accusa “facevano acqua”.

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