di GOFFREDO DE MARCHIS
"Considero il decreto salva-liste l'episodio più grave della parabola berlusconiana". Walter Veltroni sembra alludere al punto di non ritorno. "Cos'altro dobbiamo temere dopo un provvedimento che interviene nella materia elettorale per sanare i propri errori? Lì dentro c'è la concezione delle istituzioni che ha il premier e il senso proprietario dei suoi comportamenti. Direi che è la prova più lampante della strategia del caos perseguita da Berlusconi".
Il Cavaliere annuncia ora una manifestazione del Pdl, denuncia il sopruso violento e una sinistra che semina solo odio. Siamo al momento dello show down?
"Berlusconi vuole radicalizzare il confronto. Noi non dobbiamo cadere nella trappola proponendo al Paese un messaggio positivo e di unità. Loro invece continuano a non fare l'unica cosa giusta: chiedere scusa agli italiani per averlo precipitato in questo pasticcio. Contro chi manifestano? Contro il signor Milioni o contro chi ha varato un decreto che non ha risolto il problema?".
Parla del decreto come dell'episodio più grave del berlusconismo. Non era già tutto chiaro con le leggi ad personam?
"Senza dubbio. È sempre stato evidente che il premier puntasse a piegare le regole del gioco a suo piacimento. Lo ha fatto per tutelare gli interessi della sua azienda e per risolvere i problemi giudiziari. Ora però si spinge fino al punto costituzionalmente delicatissimo di un intervento sulle leggi elettorali, cioè sul principale istituto di garanzia del sistema democratico. Faccio un passo indietro, come nei romanzi di appendice: non è nemmeno la prima volta che mette in discussione queste regole fondamentali. Nel 2006 reintrodusse nella politica italiana il tema dei brogli. Sarà la storia, se non il giornalismo, a occuparsi delle concitate ore che seguirono lo spoglio di quel voto...".
A cosa dovrebbe portare la strategia del caos?
"Alla destrutturazione dei pilastri su cui si fonda il nostro sistema costituzionale. Parlamento? Svuotato e trasformato in puro strumento di ratifica. Magistratura? Delegittimata, ridotta nella sua autonomia. Libera informazione? Limitata e censurata. Presidenza della Repubblica? Sempre sotto tiro. La destrutturazione dovrebbe lasciare un solo arbitro della situazione: il premier trasfigurato per autocomportamenti in capo carismatico eletto dal popolo. Una situazione che non ha precedenti. Il modo in cui il Pd e il centrosinistra stanno in questo passaggio non si può limitare alla protesta per il decreto salva-liste. Deve guardare oltre, a un paese che sta male come non mai".
Sta forse dicendo che il Pd ha reagito nella maniera sbagliata allo strappo del Cavaliere?
"No. Ha fatto bene la sua parte, ha interpretato il disagio reale e lo ha espresso come era suo dovere fare. E, com'è giusto, abbiamo detto che una competizione elettorale senza candidati presidenti del centrodestra sarebbe stato un vulnus. Ma penso sia anche suo dovere allargare il discorso, dare consapevolezza del momento delicato in cui viviamo e indicare una via d'uscita. Mentre noi siamo in ansia per la lista del Lazio, ogni 20 minuti in un call center veneto che si occupa di operai o piccoli imprenditori a rischio suicidio squilla il telefono. I precari arrivano a 40 anni senza certezze e alla stessa età tanti lavoratori perdono il posto. Le piccole e medie imprese sono lasciate sole davanti alla crisi e tutto il Paese sembra dominato dal più pericoloso dei sentimenti, un misto di insicurezza sociale e paura degli altri".
Tutta colpa di Berlusconi?
"Di sicuro Berlusconi tiene da dieci anni l'Italia immersa nel caos e non ha cambiato nulla. E i cittadini hanno sempre la sensazione di stare sull'orlo del burrone. In Italia non si ha più la fiducia che spinge a progettare. Ecco perché il Pd non può presentarsi solo come la variabile di un copione scritto 50 anni fa, ma deve dimostrare di essere la forza che finalmente può introdurre cambiamenti radicali. C'è una corazza conservatrice che blocca il Paese. Invece abbiamo bisogno di una primavera di innovazione e di istituzioni ammodernate che rispondano alla velocità della società".
Non è la strada imboccata dal Partito democratico?
"Io dico che il Pd deve favorire un'altra prospettiva rispetto alla destra della paura. La prospettiva della speranza su cui si costruiscono le fortune delle forze democratiche. Ma la novità della politica italiana è la divisione del Pdl. E in questo momento il compito del Pd e del centrosinistra è stare uniti. Avrei auspicato che lo fossero anche quando ero io il segretario ma adesso che sono in una posizione diversa mantengo lo stesso auspicio. Per esempio, nella campagna elettorale ho deciso di fare solo manifestazioni del Pd o del centrosinistra. Non farò come altri dirigenti del mio partito che vanno a sostenere, secondo me sbagliando, singoli candidati. Sarò un romantico, sarò un idealista, ma questo mi sento di fare. E la scuola di politica che stiamo costruendo seguirà la stessa ispirazione. Ci saranno personalità di tutte le componenti del Pd e di altre forze politiche, parlerà alla diverse culture riformiste e alla società civile".
Come il Popolo viola?
"L'altra sera, al coordinamento, ho polemizzato con un importante dirigente del Pd, di cui non voglio fare il nome, che faceva dell'ironia sgradevole su quel popolo".
Sul colore?
"Esatto. Gli ho detto: dobbiamo apprezzare che nel Paese ci siano ancora energie che anche fuori dai partiti manifestano ciò che si sta perdendo, indignazione e rispetto delle regole. Poi sta all'intelligenza del Pd dialogare con queste forze per far sì che diventino un fatto dinamico, positivo".
Cioè che non attacchino Giorgio Napolitano per la firma al decreto.
"Attaccare il presidente della Repubblica è il miglior regalo alla strategia del caos. Napolitano, e prima di lui Ciampi e Scalfaro, hanno garantito un equilibrio delicatissimo avendo di fronte un premier che ha sempre teorizzato l'idea che il mandato elettorale fosse prevalente sulle regole scritte".
Molti elettori del Pd però criticano la firma del capo dello Stato al decreto.
"Indebolire Napolitano significa spianare la strada al processo di destrutturazione democratica. La piazza di sabato deve avere un obiettivo inequivoco: la destra e Berlusconi. Se quella vuole essere una grande manifestazione tenga fuori il capo dello Stato".
Ipotesi: Berlusconi perde le regionali. Deve dimettersi?
"Penso che le regionali vedranno un successo del centrosinistra. Per il premier saranno un colpo molto forte. E dopo due anni fallimentari di governo sarà impossibile che tutto resti come prima. Ma so anche che questo è il passaggio più pericoloso. Berlusconi non è come me e come altri uomini della Repubblica. Non è il tipo che saluta, ringrazia della fiducia e fa spazio a un altro, anche del suo schieramento".
Come tramonterà allora il berlusconismo?
"Il finale del "Caimano" di Moretti era un incubo inquietante. Tutte le persone responsabili devono far sì che non diventi una preveggenza".
(10 marzo 2010)
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