GIOVANI E PENSIONATI APPLAUDONO E BALLANO TRA LE BANDIERE
di Enrico Fierro
E alla fine si balla, per come si può in una piazza piena zeppa di gente, sulle note ironiche e sfottenti di Simone Cristicchi, “Volevamo le bambole...”. Musica sparata a palla. E vai. Sventolando bandiere rosse, drappi viola, vessilli bianchi col gabbiano e soli che ridono. Bella piazza, colma e consapevole, preoccupata eppure felice di ritrovarsi. Tutti insieme democratici e comunisti delle troppe sigle, dipietristi e senza partito, giovani blogger viola e vecchi sindacalisti. Gente che ora si parla, finalmente comunica superando vecchie divisioni e inutili barriere. “Che hanno favorito uno solo: il signore di Arcore. Qui il problema è mandare via Berlusconi e i suoi, un pericolo per la democrazia”: questo è il programma politico di Milena che indossa una t-shirt viola con un “borrelliano” “resistere, resistere, resistere”. Gente che piano piano dimostra a Emma Bonino, che parla dal palco (applauditissima) e giura che i suoi sentimenti “non sono affatto tiepidi”, che neppure i loro sentimenti sono così così.
La gente di piazza del Popolo (200 mila per gli organizzatori), l’ammucchiata (così la irride Berlusconi) si infiamma quando parla Nichi Vendola, “il poeta rosso” che snocciola il suo “racconto” dell’Italia precaria, senza lavoro e senza futuro. “Una narrazione che è diversa da quella incredibile di Berlusconi”. L’Italia dell’allegria, della crisi che non c’è, dei lustrini e del “governo del fare”.
Sono venuti anche dall’Abruzzo terremotato, sono quelli del “popolo delle carriole”, gli aquilani che hanno raccolto le macerie della loro città. E che battono forte le mani quando la loro protesta viene ricordata da Di Pietro, da Bersani e da Vendola (“quella frase scritta su un cartello, io non ridevo la notte del terremoto, condanna una intera classe dirigente”).
Giustizia, difesa della Costituzione e drammi sociali. “La nuova opposizione e l’alternativa al berlusconismo nascono se riusciamo a capire che non esiste una separazione tra queste questioni, che la difesa della democrazia e dei diritti è strettamente legata alla difesa del lavoro, come dimostra l’ultima porcata del governo sull’articolo 18”, dice Maurizio Zipponi, una vita da sindacalista comunista della Fiom, ora impegnato con Di Pietro.
Piazza consapevole e informata, che sa dell’ultimo scandalo rivelato dalle intercettazioni. Berlusconi che vuole chiudere Annozero e le trasmissioni scomode, Berlusconi che dà gli ordini e piega a sé uomini e autorità che dovrebbero essere di garanzia, Minzolini che esegue “aggiustando” le notizie imbarazzanti.
Piazza che ascolta in allarmato silenzio Riccardo Iacona, l’inventore di Presa diretta, ingombrante programma di inchieste. “Noi un paese così, senza democrazia, non lo vogliamo. Solo in un paese meno libero il capo del governo può ordinare di chiudere un programma che fa ascolti altissimi come Annozero”. Si spella le mani Toni, quarantenne con t-shirt gialla e scritta tratta da “Quinto potere”: “Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetto più”.
Nuove parole e vecchi ricordi. Quelli rivisitati dal jazz di Stefano Di Battista, che suona “Parlami d'amore Mariù”, musica di Bixio, testo di Neri, successo di Vittorio De Sica. “Altro che la musicaccia che ci propone la tv di Berlusconi”, la signora Nina si entusiasma e si fa spazio con la sua bandiera dello Spi-Cgil, il sindacato dei pensionati, tra striscioni e bandiere viola.
Passano i politici, quelli di una volta (Armando Cossutta accompagnato dalla moglie), quelli che non parlano dal palco (Walter Veltroni è con moglie e figlie), Pierluigi Castagnetti (si mette in posa per un anziano fan che lo fotografa), i nuovi e ancora un po’ spaesati (Luigi De Magistris che stringe tante mani, giovani soprattutto). Piazza preoccupata per le sorti della democrazia, libretti della Costituzione esposti come moderni libretti rossi, cartelli ironici (un Sordi marchese del Grillo quello di “io so io e voi...”), scritte ironiche (“Rai per una notte”), impegni seri (“fermiamo il nucleare”), per un popolo stanco di mister B., l’uomo che sta trasformando l’Italia in un Paese ad personam.
Una parte d’Italia che, almeno ieri, ha ascoltato dai suoi leader le parole giuste. Angelo Bonelli, il Verde reduce da 33 giorni di sciopero della fame, porta un mazzo di fiori alla “piazza”: “E ora torniamo a casa uniti”. Di Pietro che non apre polemiche con nessuno: “Da oggi parleremo solo di come mandare a casa Brlusconi”. Pier Luigi Bersani, ironico (“la prossima volta le liste se le faccia fare dalla Protezione civile”), speranzoso (“questa è la festa dell’alternativa”), entusiasta fino a sconfinare in una innocente imprudenza. Qualcuno, tra i giornalisti sotto il palco, giura di averlo visto salutare col pugno chiuso. “Ci pensi, lui che è segretario del Pd chiude il pugno”. La gente, però, applaude. Ha gradito.
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