di Ugo Arrigo*
In molti si stanno chiedendo cosa sia rimasto delle libertà nel partito che da esse prende il nome, quale ruolo e significato possano ancora assumervi. L’interrogativo vale soprattutto per i cittadini di ispirazione liberale che di tale forza politica sono stati negli scorsi anni in gran parte anche elettori.
Ha davvero perseguito valori liberali il Pdl, oppure si è trattato solo di pubblicità ingannevole?
Non sono necessari studi di filosofia della politica per comprendere che in realtà esso si pone, ora in maniera molto più netta di prima, su una rotta antitetica alla tradizione liberale.
La dimostrazione più efficace si può dare richiamando quanto scriveva nel lontano 1955 Norberto Bobbio (“Della libertà dei moderni comparata a quella dei posteri”): “La dottrina dello Stato liberale si presenta al suo sorgere… come la difesa dello Stato limitato contro lo Stato assoluto. Per Stato assoluto s’intende lo Stato in cui il sovrano è legibus solutus, e il cui potere è quindi senza limiti, arbitrario. Lo Stato limitato è per contro lo Stato in cui il supremo potere è limitato sia dalla legge divina e naturale (i cosiddetti diritti inalienabili e inviolabili), sia dalle leggi civili attraverso
Ora è evidente che qui non si sta perseguendo la limitazione e il controllo del potere bensì la sua concentrazione e illimitazione attraverso la sottoposizione del legislativo e del giudiziario all’esecutivo, con la differenza che la prima operazione è riuscita (attraverso l’eliminazione della libertà dell’elettore di scegliere attraverso le preferenze e l’assegnazione ai capi-partito della decisione su chi far eleggere) mentre la seconda non lo è ancora (nella forma dei magistrati come ‘dipendenti’ del governo…).
Per quanto riguarda la limitazione del governo da parte della legge civile essa è caduta col pieno controllo dell’esecutivo sul legislativo che ha generato l’effetto di rendere potenzialmente variabili tutte le regole tranne, anche in questo caso almeno per ora, le norme costituzionali. E le regole sgradite che non si fa in tempo a modificare vengono “interpretate” retroattivamente a piacere. Mentre la caduta della divisione dei poteri, l’attenuazione del controllo su di essi da parte dei cittadini e il venir meno della sottoposizione del loro esercizio a leggi stabili e razionali è evidente e riconducibile ad un disegno sistematico, nel caso dei diritti individuali l’erosione appare meno avanzata anche se non meno preoccupante. Basti pensare a come possa attenuare gli effetti della libertà di pensiero ed espressione il condizionamento dei media attraverso gli assetti proprietari e la carota degli investimenti pubblicitari oltre al bastone ‘regolamentare’ che si vorrebbe usare per il Web.
In quale altro paese democratico la televisione di Stato è giunta a falsificare i fatti comunicati all’opinione pubblica (‘assoluzione’ di Mills)?
E che dire del tentativo di limitare una tipica scelta personale quale quella relativa alle cure che si desiderano o che si vogliono rifiutare nel fine vita?
E dell’imprigionamento degli immigrati rei di voler migliorare la loro condizione fornendo servizi leciti a italiani che li richiedono?
In quale schema liberale rientra l’interpretazione che gli immigrati danneggino lo Stato se si limitano a fornire benefici a suoi cittadini?
In sintesi: qui siamo agli antipodi rispetto ai valori liberali e il Pdl non appare come il partito delle libertà dei cittadini italiani o dei suoi soli elettori ma come movimento finalizzato a massimizzare le libertà di cui gode il fondatore, un partito per l’anarchia di un singolo. La possibile distribuzione delle libertà non si ferma infatti all’eguaglianza di tutti nelle libertà civili e politiche tipica del liberalismo ma può variare sino all’estremo opposto della massima concentrazione in capo a pochissimi e persino a uno solo: il monopolista delle libertà.
Quello in corso sembra un tentativo di riabilitare la teoria del Trasimaco di Platone, descritto già come ‘uomo del fare’ del V secolo a.C., secondo il quale la giustizia altro non è che l’utile del più forte: “Ciascun governo si fa le leggi che meglio gli giovano: la democrazia le fa democratiche, la tirannide tiranniche e gli altri al pari, e fatte i governanti dichiarano giusto per i sudditi quel che giova a se stessi e puniscono chi trasgredisce i loro ordini come violatore delle leggi e colpevole di ingiustizia. Questo è dunque quello che…io dico essere giusto:ciò che giova al governo costituito, che è poi il potere dominante…ciò che giova al più forte”. Ma il liberalismo non era sorto per evitare tutto questo? Per mettere sotto controllo chi comanda e impedirgli di perseguire impropriamente il suo utile?
*professore di Finanza pubblica all’Università Milano Bicocca
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