di Bruno Tinti
Un ministro della Giustizia “normale” avrebbe atteso gli sviluppi dell’indagine su B&C e poi si sarebbe posto il problema se, nella Procura di Trani, “i servizi procedevano secondo le leggi, i regolamenti e le istruzioni vigenti” (Legge sulle ispezioni, 1311/1962); poi, magari, avrebbe disposto un’ispezione.
Un ministro della Giustizia furbo avrebbe detto:
Un ministro della Giustizia che ha concepito il Lodo omonimo e che si è dimostrato entusiasta delle leggi sul processo morto e sul legittimo impedimento avrebbe detto esattamente quello che ha detto Alfano: “L’inchiesta di Trani, il cui contenuto non conosco nel merito, evidenzia almeno tre gravissime patologie che sono chiare anche allo studente che affronta all’università l’esame di Procedura penale. E cioè: un problema gravissimo di competenza territoriale, un secondo problema di abuso delle intercettazioni, e un terzo che riguarda la rivelazione del segreto d’ufficio”.
Come tutti sanno, a Trani sono stati inviati gli ispettori.
Il problema è che questo studente universitario avrebbe potuto spiegare al ministro quanto segue.
Le ispezioni ministeriali sono regolamentate dalla legge 1311/62 che (art. 7) le prevede al fine di accertare la regolarità dei “servizi”, cioè l’organizzazione degli uffici giudiziari e l’adeguatezza delle risorse materiali e umane. Sicché, a norma di legge, l’attività giurisdizionale non c’entra proprio nulla con le ispezioni che hanno natura amministrativa. Per esempio, se un magistrato decide di incriminare B&C, questi sono affari del Tribunale della Libertà, del gip, del Tribunale, della Corte d’Appello e della Corte di Cassazione che, tutti nell’ordine e per quanto di loro competenza, stabiliranno con ordinanze e sentenze se chi indaga è competente a farlo e se ci sono prove valide (il che significa anche acquisite legittimamente) a sostegno dell’ipotesi di accusa.
Non è il ministro della Giustizia, nemmeno se si chiama Alfano, che può stabilire chi sia la procura territorialmente competente e se intercettazioni telefoniche (o qualsiasi altro mezzo di ricerca della prova) siano state disposte legittimamente.
Quanto alla fuga di notizie, non è il ministro della Giustizia che può svolgere indagini circa la sussistenza di un reato: questo è compito della Procura della Repubblica.
Insomma il ministro Alfano ha inviato a Trani gli ispettori per fare cose che, secondo legge, non possono fare, e dunque ha disposto un’ispezione illegittima. Questo, in effetti, glielo avrebbe potuto dire uno studente universitario. Ma c’è di peggio.
Supponiamo che il ministro Alfano (che quando si tratta di B&C ha le idee chiarissime pur senza “conoscere nel merito” nulla dell’indagine) abbia informazioni tali da renderlo certo che ci sono state le patologie di cui si è affrettato a parlare; e supponiamo (ma non è vero) che queste patologie rendano opportuno un procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati di Trani. Perché parlo di procedimento disciplinare e non d’ispezione? Perché (questo lo studente universitario probabilmente non lo sa ma Alfano certamente sì), nel 2006 c’è stato il Decreto legislativo n. 109 che, all’art. 14 comma 2, prevede che il ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare mediante richiesta d’indagini al procuratore generale presso
Allora, perché Alfano ha subito suonato la grancassa e inviato gli ispettori? Perché così ha avvalorato la consueta autocertificazione d’innocenza di B&C, corredata dalle consuete calunnie nei confronti di chi ha osato indagare su di loro. B&C non hanno mai commesso alcun reato; la loro incriminazione è frutto di evidenti patologie; il vigile ministro le accerterà (anche se, a termini di legge non può farlo) rendendo così chiaro al popolo tutto come la specchiata virtù di B&C sia stata oggetto di un vile complotto.
Il problema è che a questo stravolgimento della legge ha molto contribuito il Consiglio superiore della magistratura.
Per molto tempo il Csm ha ritenuto che le decisioni giurisdizionali non potevano essere censurate disciplinarmente. Un pm incrimina taluno per concussione; il Tribunale decide che si tratta di abuso di ufficio; le intercettazioni potevano essere disposte per la concussione ma non per l’abuso; non si poteva arrestare nessuno; alla fine l’imputato è condannato a una pena lieve o addirittura assolto. E allora? Che c’entra il procedimento disciplinare? Queste cose riguardano Tribunale, Appello e Cassazione; non il Csm.
Nessuno ne ha mai dubitato. Fino a qualche tempo fa. Per esempio, quando
Il famoso studente universitario non avrebbe difficoltà a rendersi conto che un tal modo di procedere (a questo punto comune a Csm e ministro) mette a rischio l’indipendenza e l’autonomia del magistrato. Se un provvedimento giurisdizionale può essere valutato disciplinarmente, nessuna sentenza sarà più al sicuro: per intenderci, si potrà stabilire che il giudice Mesiano non ha emesso una sentenza che dava torto a Mediaset perché così (a torto o a ragione, lo stabiliranno Appello e Cassazione) ha ritenuto giusto; ma perché fa parte del complotto pluto-comunista-giustizialista ai danni di B&C. Così, come al solito, è inutile prendersela con B&C (in questo caso con Alfano): fanno quello che ci si aspetta da loro. Il vero problema sono quelli che non capiscono, non prevedono, non prevengono. Se oggi tanti credono alla favola della magistratura politicizzata, delle indagini e sentenze complotto, della necessaria immunità politica, un po’ (tanta) responsabilità ce l’ha il Csm.
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