lunedì 15 marzo 2010

NUVOLE SULLA RAI MA MINZOLINI SI AUTOASSOLVE


Editoriale del direttore: tutto falso trattato come Amendola con Mussolini

di Carlo Tecce

Io come Giovanni Amendola”, autoassoluzione e acrobatica citazione di Augusto Minzolini al Tg1. Quella voglia matta l'aveva confessata all'amico Franco Bechis di Libero: “La par condicio frena. Vorrei farne un altro...”. Fatto.

Il settimo intervento di Minzolini dal suo studio con Treccani alle spalle. Sette milioni di spettatori ascoltano l'arringa, vedono l'uso privato della televisione pubblica: “Come avete sentito, fonti giudiziarie smentiscono: io non sono indagato. Ho provato in prima persona cosa significa la gogna mediatica. Il frullatore delle intercettazioni”.

Linea dettata da Berlusconi? Nessuna obiezione: “Sono un direttore, un giornalista che parla non solo con il premier, ma con tutti i politici. Prima di me l’hanno fatto, al netto dell’ipocrisia, altri direttori del Tg1. Dunque, dove è lo scandalo?”. Quindi il paragone con Amendola, aggredito a morte da squadristi fascisti: “Qualcuno - ha concluso Minzolini - vorrebbe un direttore muto e sordo che se non sta al gioco deve essere cacciato a pedate, un linguaggio che Mussolini usò con Giovanni Amendola. C'è chi vuole un direttore dimezzato, ma io non lo sarò mai”.

L’autorevolezza mostrata in video non corrisponde ai momenti di tensione vissuti in redazione sin dalla scorsa settimana e cresciuti nei giorni dell’inchiesta di Trani. Al contrasto interno, alle lacrime. Il direttore ha rassicurato, nel pomeriggio, chi guarda e chi edita il Tg1: “Non c'è rivolta interna”. E se qualche giornalista era agitato, i capi l'hanno sedato per bene. Sette giorni fa a Saxa Rubra circolava una mozione per contraddire la lettera – 'la nostra credibilità e le notizie camuffate su Mills' del comitato di redazione a Masi e al presidente Garimberti. I capi del Tg1 hanno promosso una raccolta di firme per manifestare – con o senza spontaneità – la fiducia per il direttore. Due capiredattori (Francesco Giorgino e Filippo Gaudenzi) un vice (Gennaro Sangiuliano) hanno cercato di ammansire i colleghi più reticenti. Con una pressione psicologica notevole: telefonando ai giornalisti – con l'intercessione della segreteria di Minzolini – dalla stanza del direttore.

Nel foglio a favore dello “squalo” c'erano i cognomi di giovani precari che agognano l'assunzione, dei ribelli che devono risolvere le vertenze, dei pensionati sugli scivoli d'uscita, dei montatori e persino dei collaboratori: in 92 hanno sostenuto la crociata dei fedeli di Minzolini, in 102 avevano approvato la nomina nel giorno dell'insediamento. Un passo indietro. Non nel segreto dell'urna, ma durante una missione per precettare chiunque. “Una sorta di ricatto. Qualcuno ha pianto”, commenta chi è scampato all'opa di Saxa Rubra. Minzolini fermava i giornalisti nei corridoi: “Ti aspettiamo...”.

Luigi Monfredi ha giocato a metà, da responsabile del servizio economia e da socio del sindacato Lettera 22 che, tra i suoi sostenitori, riunisce i colonnelli della fu An (Maurizio Gasparri, Andrea Ronchi e Italo Bocchino). La collocazione politica di Lettera 22 è implicita e, per evitare perifrasi, diviene esplicita con il comunicato contro la Fnsi e l'Usigrai: “Ora il sussulto di dignità ce lo attendiamo noi, con le dimissioni di Carlo Verna e Roberto Natale, esempi incontestabili, loro sì, dell’asservimento totale del sindacato alla politica. Sempre della stessa parte”.

Verna e Natala replicano con una nota congiunta: “Lettera 22 non sa cosa sia la deontologia dei giornalisti. Altrimenti non esulterebbe così alla notizia che Augusto Minzolini non sia indagato. Il punto decisivo è se un direttore di testata possa avere un rapporto così subalterno e servile con un esponente politico-istituzionale. Non abbiamo parlato di reati: c’è invece un elementare dovere di dignità professionale, che quelle intercettazioni mostrano essere stato platealmente violato”.

Un'audizione, un procedimento oppure il nulla, il consiglio di amministrazione – convocato per la par condicio – avrà la complessa pratica Minzolini all'ordine del giorno. In veste informale.

L'opposizione prepara l'arrembaggio: “Non possiamo girarci dall'altra parte”, avvisa Nino Rizzo Nervo. E Giorgio Van Straten chiede un'indagine interna. La maggioranza dovrà difendere il direttore caro a Silvio Berlusconi e la sospensione di Annozero, Ballarò, Porta a Porta e l'Ultima parola: “Perché dobbiamo impedire che si parli in tv dell'inchiesta di Trani”. Già giovedì mattina, per richiamare all'ordine i delegati in Cda, il portavoce Paolo Bonaiuti aveva chiamato Antonio Verro e Alessio Gorla: “Il Tar ha accolto il ricorso delle private? Per noi conta zero. Dovete confermare la delibera”. Giovanna Bianchi Clerici (Lega) vorrebbe sorvolare su Trani: “Come facciamo a parlare di fatti che l'azienda non conosce?”. Masi è alle strette: deve danneggiare la Rai con la par condicio, deve proteggere Minzolini e se stesso. Perché il direttore generale che lamentava pressioni da Zimbabwe – per tutelare l'azienda, parole sue – intratteneva rapporti con Giancarlo Innocenzi dell'Agcom nel disegno contro Annozero. Masi resta in silenzio: “Parlo lunedì, non scappo dalle accuse”.

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