mercoledì 10 marzo 2010

Pdl bocciato per la terza volta



E IL PREMIER INVOCA LA PIAZZA

di Paola Zanca

Arrivano al Tribunale alle 19 e 53, sette minuti prima che scada il termine a disposizione del Tribunale per deliberare. Se ne vanno cinque minuti dopo. Facce scure, passo svelto, nessuna voglia di parlare: Alfredo Milioni, il rappresentante della lista Pdl a Roma e provincia, Gianni Sammarco, coordinatore romano del partito, e Marco Marsilio, deputato. La loro lista è respinta. Un “sopruso violento e inaccettabile” secondo Berlusconi, che invoca la piazza. Non c’è alcuna certezza che la lista che hanno ripresentato lunedì (come previsto dal decreto) fosse la stessa che era pronta per la consegna alle ore 12 di sabato 27 febbraio. Il decreto interpretativo, infatti, consentiva una nuova presentazione delle liste, a patto che fossero le stesse del giorno ufficiale. Ma il cartone rosso del Pdl quel giorno per più di due ore (tra le 17 e le 19.30) è sparito: dunque, nessuno può dire se qualcuno ci abbia rimesso le mani. Per decidere, la commissione presieduta da Anna Argento, ci ha messo più di dieci ore. Alla fine, ha dato l’ennesimo stop alle candidature del Popolo delle Libertà romano: il terzo, per la precisione, senza contare l’affaire Milioni e il ritardo del panino. Ed è pure entrata nel merito, evitando dunque di contestare, come aveva fatto il Tar, la legittimità del decreto.

Terzo stop, dunque, ma il Pdl ancora non si rassegna: stamattina presentano ricorso al Consiglio di Stato (che dovrebbe pronunciarsi già questo sabato). E sabato 20 marzo scendono in piazza. Ufficialmente quel giorno era già stato fissato per la presentazione delle candidati del centro-destra alle elezioni. Nella pratica, salvo improbabili ribaltamenti di sentenze, quella piazza potrebbe trasformarsi nella chiamata alle armi evocata giorni fa dal ministro della Difesa La Russa.

Un bagno di folla necessario, ora più che mai. Già, perchè nel vertice tenuto ieri a palazzo Grazioli tra il premier, i coordinatori nazionali del Pdl Bondi, La Russa e Verdini, la candidata nel Lazio Renata Polverini e il sindaco di Roma Alemanno una sola è la cosa uscita certa: che tutto questo trambusto di ricorsi e controricorsi sta facendo perdere voti.

Berlusconi è nervoso (oggi parlerà in una conferenza stampa), ma ancora di più lo è Renata Polverini, che ha dovuto spendere metà campagna elettorale a parlare con gli avvocati. Dopo la riammissione del suo listino, per lei, sarebbe stato meglio fosse finita lì. “Il Pdl - commenta dopo l’ennesima esclusione della lista - proverà giustamente tutte le misure giudiziarie per la riammissione delle liste ma intanto bisogna continuare perché è stato preso un impegno con gli elettori e dobbiamo portarlo avanti”.

Se a Roma la situazione resta incerta almeno fino al pronunciamento del Consiglio di Stato, anche a Milano non è tornata la calma. Secondo i legali della Lista Penati, lo sfidante di Roberto Formigoni, la sentenza del Tar che ha riammesso il listino del candidato del centrodestra “osserva il decreto legge pedissequamente” e quindi è ancora a rischio ricorso, e “potrà essere impugnata anche dopo le elezioni da qualunque elettore”. In realtà la riammissione di Formigoni ci sarebbe stata anche senza decreto: “L’ufficio centrale non ha alcun autonomo potere di procedere ad un riesame di profili già oggetto di verifica e non censurati dai soli soggetti legittimati, ovvero dai delegati di liste o di candidati eliminati”. In pratica, dice il Tar, una lista ammessa da quell’ufficio, non può essere poi esclusa da quello stesso ufficio.

C’è chi, come i Radicali, pensa che con un rinvio generalizzato delle elezioni tutto si potrebbe risolvere. Ma non sembra questa la strada che il governo è deciso a imboccare. Solo il ministro Rotondi sostiene che una sentenza positiva del Consiglio di Stato si tradurrebbe inevitabilmente in uno slittamento delle elezioni. In realtà sarebbe difficile motivare un rinvio quando il problema riguarda - approssimativamente - una lista su mille: quella del Pdl a Roma e provincia. Ne è convinto anche il segretario Pd Pierluigi Bersani: “Chiedere un rinvio generale consegnerebbe, dopo due nano-secondi, all’opinione pubblica, il fatto che il rinvio nasce per un problema solo in una regione”.

Continua intanto il dibattito sulla scelta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che venerdì nella notte ha firmato il decreto interpretativo del governo.

Il presidente Idv Antonio Di Pietro non ritratta le sue accuse al Capo dello Stato ma promette che alla manifestazione di sabato - quando tutto il centrosinistra si riunirà in piazza del Popolo, a Roma - condannerà “‘Benito Berlusconi’ e non altri”.

Non ammorbisce i toni, invece, Luigi De Magistris: “Se l’arbitro non è imparziale - ha detto a proposito di Napolitano - è il popolo che alza la vigilanza democratica per attuare una resistenza pacifica costituzionale verso un’oligarchia istituzionalmente golpista”. Dal canto suo, il Quirinale, chiede di mettere fine alle “ricostruzioni per tanti aspetti inconsistenti, se non fantasiose, dell'incontro svoltosi nella sera del 4 marzo”, quella della firma del decreto, appunto. E proprio sul decreto, la Camera ha già cominciato a lavorare: sabato scade il termine per presentare le pregiudiziali, tra cui quella di costituzionalità. Verranno votate dopo la discussione generale, tra quindici giorni. Il capogruppo Pd a Montecitorio, Dario Franceschini ha già annunciato ostruzionismo. Certo, finora quel decreto non è servito a nulla. L’umiliazione della sconfitta, è quella che preoccupa quando Berlusconi chiama alla piazza.

Nessun commento: