lunedì 5 aprile 2010

I nuovi barbari


di Eugenio Scalfari

La modernità è morta o moribonda. E si discute da chi e come sono condotte le invasioni barbariche in corso

Tutto è cominciato con un film di parecchi anni fa di produzione canadese intitolato 'Le invasioni barbariche' che ebbe molto successo. Era la storia di un'eutanasia compiuta da uno scienziato e docente universitario su se stesso con l'aiuto di suo figlio e di un gruppo di amici tra i quali una moglie da cui era da tempo divorziato e un paio di ex amanti. La morte del protagonista è splendida, avviene in un giardino sotto le stelle mentre parla con gli amici della morte di Socrate raccontata nel 'Fedone'. L'ho visto tre volte quel film e ancora non ho capito se i nuovi barbari fossero il suicida e i suoi scanzonatissimi parenti ed amici oppure gli altri che non capivano il loro approccio alla vita e alla morte e lo condannavano in nome del senso comune e - forse - del buonsenso.

Sull'onda di quel successo Daria Bignardi riprese il titolo del libro e condusse su La7 una trasmissione di successo intervistando personaggi di attualità e di qualità e portando all'attenzione del pubblico nuovi talenti ancora poco conosciuti. Roberto Saviano fu uno di quelli, Erri De Luca un altro; ma poi c'erano anche i politici opportunamente dosati ma sempre scelti tra quelli non più popolari ma più discussi. Anche in quella trasmissione non era ben chiaro chi fossero i nuovi barbari anche se la preferenza per i nuovi talenti segnava un consapevole distacco dai valori correnti. Ci andai anch'io un paio di volte in occasione dell'uscita di un mio libro e per altre occasioni di attualità. Comunque l'immagine delle invasioni barbariche era ormai entrata nel linguaggio corrente e fu spesso usata in saggi ed articoli di politica e di sociologia.

Non era mai avvenuto finora che i contemporanei avvertissero la fine della civiltà in cui erano nati e cresciuti. La storia antica procedeva con un passo molto più lento di quanto ora non accada e le trasformazioni d'una cultura e di un assetto sociale avvenivano molto gradualmente. La decadenza e la fine della grande civiltà egiziana fu impercettibile agli egiziani dell'epoca. Altrettanto era avvenuto per la fine della civiltà cretese-minoica, anche se su quel periodo di storia lavoriamo più su congetture che su fatti documentabili. Siamo però certi che anche la fine della civiltà romana, che la periodizzazione ufficiale fissa con l'ingresso dei Goti in Italia nel 476 a.C., avvenne nella completa inconsapevolezza sia dei Romani invasi che dei barbari invasori.

L'epoca nostra rappresenta dunque un'eccezione. La storia delle idee nella cultura occidentale si occupa ormai da oltre cent'anni della fine della nostra civiltà. Spengler, Stirner, Nietzsche ne analizzarono le cause, ciascuno a suo modo, gettando uno sguardo su un futuro ancora incognito. Poi vennero guerre, genocidi, barbarie spaventose che confermarono l'ipotesi di un intero sistema di valori che stava affondando. Ora, dopo un secolo di discussioni, di libri, di crisi etico-politica, quest'ipotesi è diventata una quasi certezza: la civiltà in cui le persone della mia generazione sono nate e cresciute è ormai scomparsa o morente. Noi sopravvissuti siamo circondati dai nuovi barbari che daranno vita ad una nuova cultura e a nuovi assetti sociali dei quali tutto ignoriamo e che non sappiamo ancora se proseguiranno o regrediranno rispetto alla precedente stagione culturale.

A questo punto ci si è domandati quale sia il nome da dare alla civiltà appena morta o alle prese con gli ultimi sussulti dell'agonia e si è preso atto che si tratta della civiltà moderna. Fa una certa sensazione pensare e scrivere che la modernità è morta o moribonda. Per il senso comune questa affermazione risulta paradossale poiché si ritiene che nulla sia più moderno del supermercato, della rete Internet, dell'economia globalizzata, della tecnologia spaziale, della bioetica e del film 'Avatar'.

Lo sgomento è comprensibile. La convinzione che queste nuove acquisizioni segnino il culmine di una modernità in continua evoluzione e non il suggello della sua fine è altrettanto comprensibile. Ma non c'è dubbio - questo è almeno il mio pensiero - che la civiltà tecnologica esplosa negli ultimi quarant'anni e le novità che essa ha introdotto nel costume, abbiano poco o nulla a che fare con la modernità, quella di cui il Rinascimento costituì l'incunabolo e che si dispiegò pienamente con l'Illuminismo settecentesco e con l'età che fu definita 'goethiana' in omaggio ad uno dei suoi maggiori protagonisti.

Queste riflessioni mi ronzano intorno da tempo e me le ha ancor più stimolate un libro apparso da poco nelle librerie. Si intitola 'Lezioni illuministiche', l'autore si chiama Vincenzo Ferrone, docente di Filosofia all'Università di Torino, l'editore è Laterza. Si tratta di una cavalcata storico-filosofica che tratteggia la storia delle idee e i lineamenti dei 'tempi moderni' degli ultimi quattro secoli, dalla nuova scienza di Galilei e di Newton fino al pensiero di Cassirer e di Heidegger. Non è un libro riservato agli specialisti; può aiutare la riflessione e accrescere le informazioni anche di un pubblico genericamente colto e interessato ma non necessariamente specializzato.

La lettura delle 'Lezioni illuministiche' mi ha coinvolto anche per una singolare coincidenza: proprio in questi giorni l'editore Einaudi sta stampando un mio libro sul tema della modernità e dei 'nuovi barbari', che copre lo stesso periodo analizzato da Ferrone, con forme, percorsi e giudizi molto diversi, partendo da Montaigne e chiudendo con Calvino e Montale. Ma molti altri, a quanto so, stanno studiando questo tema e cercano di rispondere alla domanda se la modernità sia morta e chi siano i nuovi barbari e le invasioni barbariche in corso.

È un tema affascinante, sul quale varrà la pena di tornare.

(26 marzo 2010)

Nessun commento: