domenica 11 aprile 2010

La forma delle riforme


di Furio Colombo

Mi faccio guidare da alcune citazioni, parole autorevoli dette tutte lo stesso giorno, tutte sullo stesso argomento, tutte con competenza e peso, sia pure di natura diversa. Giorgio Napolitano: “Le condizioni per mettere mano insieme alle riforme sono obiettivamente maturate nel Paese, è un'occasione speciale da non perdere” (“La Stampa”, 9 aprile). Stefano Folli: “Non sappiamo se l'Italia diventerà presidenziale o con un premier più forte o nulla di tutto questo. Al momento, nel discorso sulle riforme, prevale la nebbia più spessa” (“Il Sole 24ore”, 9 aprile). Giovanni Sartori: “Dico presidenzialismi al plurale perché ne esiste più d'uno, al quale si aggiungono due presidenzialismi fasulli inventati dall'ignoranza dei politici e dal pressappochismo dei giornalisti” (“Il Corriere della Sera”, 9 aprile). Enrico Letta: “Se mi si chiede di scommettere con i bookmaker inglesi, punterei sul successo di questa stagione di riforme, perché ci sono tre anni di tempo, perché c'è l'interesse di tanti e perché c'è Napolitano che considera questo l'obiettivo principale del suo settennato. E soprattutto perché il comportamento di ognuno di noi passerà sotto lo “scanner” degli italiani, pronti a punirci e a premiarci in base a come finirà questa vicenda” (“La Stampa”, 9 aprile).

Il profondo disagio che si prova leggendo queste parole (e che, almeno nella citazione di Sartori e in quella di Folli, anche l'autore della frase citata sembra provare) è una vistosa non corrispondenza fra il paesaggio (Italia di oggi) e il progetto (le riforme istituzionali). Si può descrivere così: in molti si fanno avanti – o vengono incoraggiati a farsi avanti – con il disegno della torre da costruire. Ma nessuno sembra aver dato un'occhiata all'infida natura paludosa del terreno su cui dovrebbe sorgere la torre.

Esempi illuminanti

Sono persuaso di proporre alcune questioni oggettive, alcuni fatti contro la festa delle riforme che è sul punto di propagarsi. Certo, questi fatti sono influenzati dal giudizio politico, ma restano fatti. Ecco un esempio modesto, che non ci costringe a tornare indietro, a ricordare il passato politico italiano così fitto di incidenti. Sullo stesso “Corriere della Sera” del 9 aprile, da cui ho tratto una delle citazioni (Sartori, pag. 1), basta spostarsi a pag. 8 per trovare la seguente notizia: “Diritti Tv, per Berlusconi richiesta di rinvio a giudizio. Le accuse: Appropriazione indebita e frode fiscale”. Cito dal testo: “Il presidente del Consiglio è accusato (nella compravendita Mediaset di diritti Tv) negli anni 2002-2005, mentre era a Palazzo Chigi, di aver concorso a svuotare di 34 milioni di euro la sua società quotata in Borsa di cui è azionista di maggioranza e a frodare il fisco per 8 milioni di euro, con effetti tributari che si sono protratti fino al settembre 2009”.

Ovvio che si tratta di accuse gravissime, che non sono più la ragione di un'indagine, ma la motivazione in base a cui, a indagine conclusa, i giudici istruttori dicono: ci sono tutte le ragioni per fare il processo, ovvero per andare allo scontro finale accusa-difesa. Se dovessimo interpretare l'evento per gli studenti di una scuola media, più del testo – pur chiarissimo – del “Corriere” (a firma Luigi Ferrarella) useremmo la fotografia che illustra l'articolo. In essa si vedono i tre giudici detti “delle indagini preliminari” di fronte a un avvocato molto noto, che vediamo spesso in televisione o in Parlamento. È l'avvocato Niccolò Ghedini, difensore personale di Berlusconi Silvio ai processi, braccio destro di Silvio Berlusconi nel partito detto “Popolo della Libertà” (il partito di maggioranza e di governo) e componente di spicco della commissione Giustizia della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana. Ho detto prima “E' ovvio che si tratta di accuse gravissime” e, avrei potuto aggiungere: non solo per il peso dei reati contestati, ma per la drammatica perdita di reputazione e di credibilità dell'imputato. Adesso è il momento di precisare: “Ovvio che Berlusconi Silvio, l'imputato, potrebbe essere innocente, con grande giovamento di Silvio Berlusconi, il premier”. Ma restano alcuni problemi, che hanno comunque a che fare con la grandiosa stagione delle riforme verso cui ci stiamo avviando, problemi che forse preoccuperanno i bookmakers (scommettitori) inglesi più di quanto non abbiano colpito Enrico Letta.

Per esempio, i rapporti dirigenziali e proprietari di Berlusconi Silvio, l'imputato, nell'azienda Mediaset, società di famiglia di televisione e informazioni, rapporti confermati dalle indagini e che certificano il conflitto illegale. Infatti Silvio Berlusconi (il politico) siede a palazzo Chigi come primo ministro negli stessi giorni mesi e anni in cui agisce da proprietario per le sue aziende. Per esempio il fatto che i reati riguardino lo svuotamento di fondi di un'azienda quotata in Borsa, ovvero non solo a vantaggio degli eventuali profittatori (che sono anche artefici e sorveglianti della politica fiscale italiana) ma – soprattutto – a danno di investitori fiduciosi (una combinazione azienda privata - Palazzo Chigi in cui investire a occhi chiusi non capita spesso). Ora - se il reato è stato compiuto – i cittadini investitori sono stati derubati dal duo Berlusconi Silvio (l'imprenditore) e Silvio Berlusconi (il primo ministro). Infine la fotografia già citata. Come accade nei processi complicati a carico di figure non chiare (nel senso che hanno spesso mentito), ogni dettaglio conta e può diventare una prova. Nella fotografia del “Corriere della Sera”, come ho detto, si fronteggiano, pur nella ritualità del processo, i giudici e l'avvocato difensore. Nonostante le finzioni che anch'io ho usato in questa pagina, sia i giudici che l'avvocato si occupano della stessa persona. Quella persona è un'istituzione, il capo dell'Esecutivo, soggetto a un'inchiesta grave e importante. Il capo dell'Esecutivo si fa difendere da un'esponente di rilievo di un'altra istituzione, il Parlamento. Occorre infatti ricordare che Ghedini è “solo” l'avvocato difensore del suo capo azienda. Ma il suo capo azienda è primo ministro. D'altra parte, l'avvocato Ghedini ha un ruolo di rilievo nella maggioranza parlamentare che sostiene il governo di cui l'imputato è primo ministro e che lo stesso Ghedini – insieme al ministro della Giustizia, Alfano – è vistosamente mostrato al popolo (fotografie, interviste, retroscena, talk show) come co-autore della riforma della giustizia, su cui non ha difficoltà a esprimersi con chiarezza in pubblico. L'altra istituzione documentata dall'immagine de “Il Corriere della Sera” sono i giudici, che rappresentano uno dei tre poteri che reggono il sistema democratico. Qualunque costituzionalista, qualunque giurista dichiarano finita una democrazia che ostacola, impedisce o esclude la piena indipendenza della magistratura.

Il premier e l’imputato

Una cosa va ripetuta e ricordata. Lo scontro di Berlusconi Silvio, l’imputato, e di Silvio Berlusconi, il presidente del consiglio, contro la giustizia non è una pur evidente conseguenza implicita, magari strisciante, di un fatto come quello appena annunciato dal“Corriere della Sera”. E il fatto annunciato dal “Corriere” non è la prima imputazione del presidente del consiglio; al contrario, è l’ultima e neppure la più grave di una lunga serie che ha reso Berlusconi il politico italiano famoso nel mondo. Ma l’imputato presidente, sulla materia giustizia, è stato sempre molto chiaro, a suo modo leale. Ha dichiarato guerra all’istituzione magistratura mentre rappresentava(e rappresenta)l’istituzione esecutivo, scortato da una forte maggioranza (che include i suoi avvocati) dell’istituzione Parlamento. Ora non so che cosa sanno di tutto questo i bookmakers inglesi quando scommettono sulle nostre riforme. Ma se fossi Enrico Letta sarei più cauto con le scommesse sul tremendo caso italiano. Mi sembra che prevalga la fitta nebbia(confermata dal caos di conoscenze della materia descritto da Giovanni Sartori) di cui parla Stefano Folli. E una cosa mi sento di predire. La guerra di Berlusconi Silvio e di Silvio Berlusconi contro la giustizia non finisce. Infatti il 10 aprile quello dei due che è primo ministro, in difesa anche dell'imputato ha rinnovato la sua dichiarazione di guerra di fronte all'Assemblea degli imprenditori italiani riuniti a Parma. Ha detto: “Vi libererò dalla oppressione burocratica (verifiche di bilancio) , dalla oppressione fiscale (pagare le tasse), dalla oppressione giudiziaria (rispondere dei reati). Accade però qualcosa che sta segnando la storia italiana. I magistrati non cedono. Perché dovrebbero cedere gli altri italiani ? Perché chiederglielo?

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