RICCARDO ARENA
Il mafioso ergastolano è gravemente depresso, ha il diabete e soffre di cuore. E per questo il suo quadro clinico è considerato incompatibile con la detenzione. È libero, ora, Salvatore Vitale, di 64 anni: libero anche se dal carcere non dovrebbe teoricamente uscire mai più, dopo che, nel febbraio 2007, gli diedero l’ergastolo per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, poi strangolato e sciolto nell’acido dagli uomini di Giovanni Brusca perché il padre, il pentito Santino, non aveva ceduto al ricatto e aveva continuato a collaborare con i magistrati.
È depresso, Salvatore Vitale, e il magistrato di sorveglianza di Pavia gli ha concesso il differimento della pena. La decisione definitiva spetterà al tribunale di sorveglianza di Milano, ma per adesso l’ex proprietario del maneggio in cui il tredicenne Di Matteo venne rapito, il 23 novembre del 1993, è tornato a casa sua, a Palermo. Senza altro vincolo che quello di firmare, tre volte alla settimana, il registro di un commissariato. Già una prima volta, durante le indagini, Vitale aveva avuto i domiciliari per motivi di salute. Poi era tornato libero per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Dopo due annullamenti, la Cassazione aveva però riconfermato la massima pena, nel 2007. Tre anni dopo l’ultimo arresto, Vitale è di nuovo fuori dal carcere. E del resto lo sono anche i pentiti che Giuseppe Di Matteo lo strangolarono o contribuirono ad ucciderlo: Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo sono in detenzione domiciliare. Vincenzo Chiodo è finito in cella nel 2008, dopo essere rimasto libero per dodici anni. Stefano Bommarito è affidato in prova ai servizi sociali. E Giovanni Brusca, mandante del sequestro, durato 26 mesi, pur essendo ancora detenuto, 14 anni dopo l’arresto, ogni 45 giorni gode di permessi straordinari.
I pentiti comunque hanno dato un contributo alle indagini. Vitale invece ha sempre negato le proprie responsabilità e il suo legale, l’avvocato Giuseppina Paci, ha fatto leva sulla fortissima depressione che impedirebbe al capomafia di rimanere «ristretto» in carcere. Giuseppe Di Matteo fu rapito dagli uomini della cosca di Brancaccio nel maneggio di proprietà di Vitale e del fratello Nicola, poi morto suicida. Nel commando di finti poliziotti c’erano altri due pentiti, Salvatore Grigoli e il dichiarante Gaspare Spatuzza.
I Vitale sapevano, furono complici? Il dubbio c’è sempre stato, sin dall’inizio, al punto che due diversi Gip negarono gli arresti chiesti dalla Procura. Sta di fatto però che furono loro a fare sparire il motorino con cui Giuseppe, pur avendo solo 13 anni, era sceso a Villagrazia dalla sua Altofonte. La Cassazione accolse il ricorso dei pm Giuseppe Pignatone e Franco Lo Voi nel marzo del 1996 e Salvatore Vitale venne arrestato. Un paio di mesi prima, l’11 gennaio di 14 anni fa, Brusca aveva ordinato di «allibirtarisi du cagnuleddu», di liberarsi del cagnolino.
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