di Marco Palombi
Esiste una cricca anche per gli appalti dei palazzi della politica? È la domanda che sta alla base di un dossier preparato dai Radicali e inviato alle Procure di Roma e Perugia, che potrebbe aprire un nuovo fronte nelle inchieste sulle varie conventicole delle opere pubbliche. Trattasi di ben 21 interventi, tutti “strategici”, dal costo stimato di 305 milioni di euro (ma il prezzo è già lievitato, di milioni ad oggi ne sono stati stanziati 389): il tutto, ovviamente, assegnato attraverso procedure riservate e con i cantieri secretati a poche selezionate ditte munite di Nulla osta di sicurezza.
Ricorda qualcosa? Anche i nomi, vedremo, intersecano le cronache di questi giorni: basti dire che per alcuni di questi progetti - almeno quattro, tra cui un palazzo di largo Toniolo di proprietà del Senato - l’architetto è Angelo Zampolini, l’uomo di Anemone. Solo che stavolta gli appalti stanno nel cuore del potere nazionale: tre in palazzi del Senato, quattro della Camera, tre della presidenza del Consiglio, uno del Quirinale, tre sedi di ministeri.
I restanti sei sono un vero mistero “strategico”: il Museo della fisica Enrico Fermi, il Museo storico delle Comunicazioni, Palazzo Venezia, la Scuola nazionale del cinema, il teatro Ateneo dell’università La Sapienza, il commissariato Fiumicino Polaria.
Ventuno appalti gestiti attraverso un “sistema legale criminogeno” (copyright radicale) messo in piedi tra il dicembre 2003 e quello successivo sull’asse che va da palazzo Chigi, sede del Cipe (il comitato che mette i soldi), alle Infrastrutture dell’allora ministro Pietro Lunardi, al Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio retto all’epoca da Angelo Balducci.
“Il sistema” è semplice: uno dei molti commi della Finanziaria 2004 stabilisce che anche i palazzi della politica o di particolare rilevanza culturale possono essere considerati “opere strategiche”: come tali ricadono sotto la “legge Merloni”, che permette di assegnare i lavori in deroga delle norme sugli appalti pubblici (e in tutta segretezza).
A novembre 2004 il ministero delle Infrastrutture consegna la sua istruttoria sui 21 progetti: tutto a posto. Un mese dopo il Cipe approva il programma, spiegando che la strategicità di queste opere “è motivata dall’accresciuto ruolo politico dell’Italia sul piano internazionale”, che la espone a nuove minacce.
Si parte: l’aggiudicazione dei lavori e relativo monitoraggio, per regolamento, vengono devoluti dal ministero (Lunardi) al cosiddetto Siit del Lazio, che poi è il Provveditorato (Balducci).
Ultima chicca: a parte i primi 53 milioni, gli altri 335 vengono stanziati con delibera del 29 marzo 2006, nel pieno della campagna elettorale che avrebbe portato Prodi a palazzo Chigi. In attesa delle mosse della magistratura, la proposta dei Radicali è una commissione d’inchiesta parlamentare sui palazzi della politica: “Non ci si venga a dire – teorizzano - che Balducci era un servitore infedele dello Stato. Il problema sono le norme criminogene che lui ha provveduto ad applicare”.
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