mercoledì 12 maggio 2010

IO, DE BENEDETTI E LA PILLOLA DI BERLUSCONI


Un’anticipazione del libro “Guzzanti vs De Benedetti” di Paolo Guzzanti (Aliberti editore) che verrà presentato domani al Salone del Libro di Torino.

di Paolo Guzzanti

ERA LA FINE DEL MESE D’APRILE DEL 1985. La vera scena alla Alberto Sordi, secondo noi, avvenne quando De Benedetti telefonò a Silvio Berlusconi e gli disse: “Senti un po’, tu: ma sei lo stesso Silvio Berlusconi che l’altro giorno mi ha telefonato entusiasta per congratularsi con me dell’acquisto della Sme? E allora come spieghi che adesso, senza preavviso, scopro che proprio tu, che venivi da me scodinzolando e preparando geniali piani pubblicitari, stai cercando di farmi fuori con una cordata di amici tuoi per impedirmi di avere ciò che ho già acquistato?”. E Alberto Sordi rispose: “Chi? Io? Io non c’entro niente. Ha fatto tutto Craxi. Mi ha telefonato e mi ha detto di fare quello che ho fatto: Craxi è il padrone e quel che dice io faccio”. [...]

L’annuncio del preliminare della vendita Sme a De Benedetti è del 29 aprile 1985. Ma il 15 giugno di quell’anno, con un decreto del governo Craxi, la vendita fu annullata e altri possibili compratori, fra cui un riluttante Berlusconi agli ordini di Craxi, furono convocati per amore o per forza e il sogno di De Benedetti svanì. [...]

E dunque secondo lei Berlusconi era sincero. Lo fece soltanto perché il suo padrino politico Craxi glielo impose per mettere i bastoni fra le ruote a lei, accusato di aver trescato con Prodi per portarsi via i gioielli della corona alimentare di Stato per quattro soldi.

Quattro soldi un corno: avevo fatto un’offerta di poco inferiore di quella che poi fecero loro. Ma Berlusconi era sincero: era contro il suo interesse mettere su la cordata contro di me. Ovviamente, Silvio lo fece perché aveva suoi interessi giganteschi che dipendevano da Craxi, come le frequenze televisive. E quegli interessi valevano per lui infinitamente di più del sacrificio che gli veniva chiesto per mandare all’aria il mio progetto alimentare. Alla fine lui non ne ha avuto nessun danno, però era contro il suo desiderio, contro il suo interesse e contro la sua volontà. Era Craxi a volermi silurare, non certo Silvio, almeno non in quel caso. [...] Il 24 marzo 1993, dunque pochi mesi prima della “discesa in campo” del Cavaliere, ci fu uno scontro diretto fra De Benedetti e Berlusconi. Ecco come il giorno seguente Repubblica lo racconto: “Parliamo di cose serie e lasciamo stare i gabibbi” ha detto il presidente della Olivetti durante la trasmissione televisiva Di tasca nostra. Il riferimento era al presidente della Fininvest, che lo aveva accusato di essere un “ottimista dell’ultima ora” sullo stato dell’economia del Paese. Immediata la replica del patron della Fininvest. “Sono d’accordo anch’io […]. Per chi distrugge posti di lavoro anziché crearne di nuovi, per chi addossa alla collettività i costi della sua incapacità e dei suoi insuccessi, per chi depaupera i propri azionisti, per chi, a seconda che gli convenga o meno, fa il pessimista o l’ottimista, perchi è condannato per concorso in bancarotta fraudolenta, i gabibbi sono argomenti troppo seri”.

Controreplica di De Benedetti: “Una reazione così gratuita e scomposta a una tranquilla battuta scherzosa può trovare una spiegazione solo nel nervosismo che evidentemente attanaglia chi vede con terrore decomporsi il regime di cui e stato insieme frutto e alimento”. Contro-contro-risposta: “A proposito di regime e di passato, da che pulpito viene la predica!”. I due sono da sempre su posizioni opposte, anzi inconciliabili e nemiche, ma qualcosa hanno in comune: entrambi sono imprenditori di successo e De Benedetti riconosce con lealtà che Berlusconi è stato un realizzatore, uno che ha fatto, come lui, crescere le idee e le aziende. Ci sono mai stati fra loro punti di contatto? Ovviamente sì: i due si conoscono e, anche se non credo si siano visti negli ultimi anni, si danno del tu, si trattano, o trattavano, con confidenza, anche se con diffidenza. De Benedetti mi ha raccontato che, prima del caso Sme, Berlusconi lo andava a trovare per proporgli contratti pubblicitari. “Ricordo che Berlusconi veniva da me, si sedeva, chiedeva un bicchiere d’acqua e metteva una pillola vicino al bicchiere. Io naturalmente non dicevo niente: se uno deve prendere una pillola sono fatti suoi. Allora lui, che sperava che io gli chiedessi la ragione di quella pasticca, mi dice: Non mi chiedi perché prendo questa pillola? Dico: No, non te lo chiedo. Perché te lo dovrei chiedere? E lui: Perché con questa pillola io ne mando ‘storte’ (cioè sciancate) due al giorno”, ovviamente parlava di donne, delle sue straordinarie performance sessuali, allora come oggi. Era già un’ossessione ed eravamo nei primi anni Novanta. E oggi non è cambiato: mi dicono che a Roma lui se ne va da solo, non manda neanche l’autista, a fare spesa di cianfrusaglie, bigiotteria e regalini nei negozietti dalle parti di Campo de’ Fiori: tutta quella robetta che poi regala alle donne che arrivano a casa sua con i pulmini. Che tristezza, si vede un traffico sotto quel palazzo che non è difficile da interpretare. E lui gira con la sacca di plastica piena di farfalline, tartarughine, cianfrusaglie che regala alle ragazze che sbarcano a casa sua a dozzine”. I due ebbero contatti anche per la vicenda Sme, perché Berlusconi non aveva alcuna voglia e alcun interesse a comperare il tesoro della corona alimentare dell’industria di Stato. A lui interessava fare la pubblicità ai prodotti, non produrre panettoni e pomodori sott’olio. Berlusconi gli disse di essere stato costretto da Craxi, al quale non poteva negare nulla, ma non era affatto contento di aver dovuto mettere insieme la cordata che doveva contrastare De Benedetti. Nel 2005 De Benedetti annunciò la sottoscrizione di una consistente quota da parte di Silvio Berlusconi per un fondo finanziario destinato al recupero delle imprese in difficoltà. Appena la notizia venne fuori, De Benedetti si vide attaccato proprio dal suo giornale: Repubblica lo accusava più o meno di trescare col demonio. L’Ingegnere fu costretto a rinunciare alla partecipazione di Berlusconi per far contenti i suoi dipendenti, ma ebbe il torto di ricavarne alla fine un involontario vantaggio economico. Era successo infatti che l’annuncio dell’ingresso di Fininvest aveva provocato un forte rialzo in Borsa, che poi si era assestato su un guadagno di 300.000 euro. De Benedetti è certamente il duellante e l’anti-Berlusconi per eccellenza ma, per quello che ho potuto vedere, con un certo fair play. Mi ha detto del Cavaliere: “È un autocrate come tutti noi imprenditori, ma come persona non è affatto cattiva ed è anzi sicuro di fare il bene. Il suo vero problema è che è un formidabile bugiardo, al punto di credere alle sue stesse bugie di cui alla fine si convince. Il motivo per cui io lo combatto è che, essendo un imprenditore al comando del Paese, è per definizione un rischio per la democrazia. Anch’io, se mi mettessi a fare il politico e pretendessi di applicare all’amministrazione del Paese i criteri con cui ho amministrato le aziende, sarei un pericolo per la democrazia. E tutto ciò che fa Berlusconi, pur essendo probabilmente sicuro di fare il bene del Paese, distrugge la democrazia”.

Dice sul serio che gli imprenditori sono un pericolo per la democrazia?

Noi industriali, gente che ha costruito qualcosa nelle imprese e nella finanza, siamo tutti degli autocrati. Non siamo democratici: ed è per questo che nessuno di noi deve governare. Non dobbiamo farlo, perché ognuno di noi è tendenzialmente un dittatore nelle sue aziende ed è giusto che sia così. E capisco anche che un imprenditore, magari esasperato da come vede andare le cose nell’amministrazione pubblica, possa avere la fantasia di dire: adesso vado ad amministrare il Paese come le mie aziende. Ma se questa fantasia diventa realtà, non abbiamo una democrazia, ma un’autocrazia, una versione piu o meno morbida di una dittatura. È per questo, prima di tutto, che detesto Berlusconi in politica: perché è un imprenditore, ha anche costruito molto e molto bene, ed è per forza uno sciagurato come tutti noi e non deve governare l’Italia perché una democrazia ha bisogno di personale politico sinceramente, strutturalmente democratico. Anch’io in politica sarei un autocrate in sofferente delle regole, infatti non esiste al mondo il caso di un imprenditore che poi si sia rivelato un grande statista democratico. Non c’è possibilità, non ci sono casi nel mondo in cui abbia funzionato, da Bernard Tapie in Francia a Ross Perot negli Stati Uniti, sono stati tutti un disastro.

Dunque lei lo conosce bene, vi conoscete bene, vi date del tu, vi telefonate (o vi telefonavate), dunque lei ne ha un’opinione che nasce da un rapporto diretto, è così?

Conoscendo bene Silvio, l’ho sempre ritenuto prima di tutto uno straordinario venditore di pubblicità e uno straordinario intrattenitore. Non gliene importava niente di possedere le aziende alle quali invece voleva vendere pubblicità. Lo paragonai al grande Remigio Paone, se lo ricorda? Dissi a Silvio: tu sei un Remigio Paone, perché sai mettere in scena degli spettacoli in cui tu stesso ti inserisci in una parte. Solo che si tratta di una parte virtuale ma tu riesci a crederla reale, perché sei talmente bugiardo che credi sinceramente alle tue bugie. Hai superato il livello di bugia tollerabile, nel senso che un bugiardo è comunque cosciente di aver detto una bugia, mentre tu invece, in buona fede, sei convinto di non aver mentito.

Sì, me ne sono reso conto con gli anni: Berlusconi ha l’aggravante dell’innocenza. Ha perso la cognizione della bugia originaria e dopo un po’ si sente come lavato e rinato dalla sua stessa bugia e crede realmente nella propria innocenza. Per questo secondo me l’innocenza diventa un’aggravante.

In questo senso, sì. Onestamente: io non mi sento di dire che Berlusconi è un mascalzone. Silvio per arrivare ai suoi scopi ne ha fatte di tutti i colori, però adeguandosi ai tempi. Per esempio, Agnelli finanziava Craxi così come l’ha finanziato Berlusconi, tale e quale. Però Silvio perlomeno è riuscito a trarne un vantaggio, perché essendo furbo e senza prosopopea, in quel periodo, non avendo una noblesse, accettava di essere considerato lo schiavo di Craxi. Non gliene fregava niente purché raggiungesse il suo scopo. Era per certi aspetti simile a me, salvo che io non mi sono mai venduto alla politica e lui sì, quindi c’è una differenza. Devo dirle che Berlusconi ha fatto delle mascalzonate incredibili però non è una cattiva persona, non mi sento di dirlo. Una delle cose che mi hanno colpito è stata quando, tre o quattro anni fa, o forse cinque, sono stato per l’ultima volta a colazione con lui. Eravamo invitati da Gianni Letta ed eravamo soltanto noi tre. Lui mi vede – erano anni che non ci incontravamo – e mi dice: Ciao, come stai, ti trovo bene, non invecchi mai: sa, quelle cose che si dicono tanto per dire. Poi vedo che quasi non ne può più e alla fine esplode: C’è una cosa che però proprio non capisco: perché non mi vuoi bene? Io diventai paonazzo, non credevo alle mie orecchie ed esplosi andando un bel po’ sopra le righe: Ma cazzo, Silvio! Con il culo che m’hai fatto alla Sme prima, alla Mondadori dopo, vuoi anche che ti voglia bene? Ma che cosa pretendi? Ecco, questo credo che sia stato l’ultimo nostro colloquio a quattr’occhi. E in quella sua domanda c’era tutto Berlusconi. Lui era sincero. Vuole essere amato da tutti e dunque quando mi ha chiesto perché non gli volevo bene, non voleva affatto prendermi in giro. Era serio, era dispiaciuto, era addolorato. Io ho reagito male, ma ho sbagliato perché lui davvero non capiva, non riusciva a capacitarsi del fatto che non gli volessi bene. È convinto che a uno come lui non si puo che voler bene.

È così. Quando io l’ho lasciato a causa dei suoi indecenti rapporti con Putin e per la mignottocrazia, mi ha telefonato a casa e mi ha chiesto: Perché mi odi? Che ti ho fatto di male per farmi odiare da te? Io gli risposi che non lo odiavo affatto. Lo disapprovavo, ma personalmente, umanamente, non mi è meno simpatico di prima perché incarna l’arcitaliano, quello cui tutti debbono volere bene perché li rappresenta tutti e vuole che tutti lo riconoscano come il loro specchio, l’uomo che incarna un intero popolo in modo passionale, sentimentale, persino affettuoso. In questo senso non è affatto un Mussolini, è un Alberto Sordi, come ho scritto nel mio libro su di lui.

È quello che penso anch’io. Lo dico da suo avversario: non è assolutamente una carogna. Poi lasci perdere la gente che ha intorno, quello è un altro discorso perché tutti i potenti hanno sempre avuto in giro dei servi che ovviamente si adeguano e soprattutto si arricchiscono. Ma io gliel’ho detto tante volte e prima di lei: guarda, Silvio, che tu sei l’Alberto Sordi della politica perché sei l’italiano tipico, quello che si incontra al bar. Lui rappresenta tutti gli estremi dei nostri vizi: fancazzista, tifoso di calcio, corteggiatore di donne, cornificatore della moglie, furbastro; è quello che siamo tutti noi, ma portato all’eccesso. Diciamo la verità: ognuno di noi dentro di sé, nelle sue parti oscure, è anche un po’ Berlusconi. Lui però, come le infermiere che hanno la capacità di beccare subito la vena con l’ago, è riuscito a infilare la vena del popolo italiano in un momento di sconcerto e l’ha fatto con una capacità straordinaria e con grande coraggio. La discesa in campo del ‘94 era stata preparata già nel ‘93.

Preparata da Agnelli che gli fece organizzare una cena al Grand Hotel di Roma, con Cossiga, Rossignolo, il professor Scognamiglio che me ne ha raccontato i dettagli: lui, Berlusconi, all’inizio non ne voleva assolutamente sapere, temeva di moltiplicare i suoi guai giudiziari, avrebbe preferito tenersi defilato, ma alla fine si arrese e si gettò nell’avventura. Del resto l’Avvocato Agnelli era stato cinico e lapidario come sempre dicendo di lui: se perde, perde da solo. Ma se vince, vince per tutti.

Bè, lì è stato geniale perché comunque ci ha messo la faccia e nessun altro sarebbe stato disposto a farlo. E lo ha fatto presentandosi come liberale, quando lui è l’antiliberale per eccellenza. Giuliano Urbani gli diceva che bisognava essere liberali e lui: Vabbè, ho sentito che Urbani dice liberale e facciamo i liberali, ma non sapeva neanche che cosa vuol dire il termine liberale, perché oltretutto Silvio è un monopolista. È una contraddizione, perché quando Berlusconi ha provato ad andare sul mercato ha sempre fallito clamorosamente. Ad esempio, la Standa è stata un fallimento storico: era quando faceva “la casa delle italiane” e andava dalle cassiere a portare la rosa al mattino. Pensi poi a Pagine Utili in concorrenza con le Pagine Gialle: altro fallimento epocale e ci ha rimesso anche centinaia di miliardi. In realtà Berlusconi è il genio della televisione, cioè di questa televisione. Lì è stato bravissimo: ha realizzato le sue televisioni usando trucchi italianissimi, ad esempio portando le videocassette in automobile alle varie emittenti perché era vietata la diffusione sul territorio nazionale. È stato di una genialità assoluta: come gli sarà venuto in mente che puoi aggirare la legge portando le cassette a mano? Berlusconi o frodava la legge o l’aggirava e ha fatto la televisione aggirando la legge senza avere l’autorizzazione per le frequenze – non ha mai pagato una lira per le frequenze – portando in giro le cassette, con Galliani che andava a piazzare le antenne di notte perché non aveva i permessi eccetera. In tutto questo però Silvio ha una sua grandiosità.

Concordo. Quando andai a intervistarlo per La Stampa e lui mi tenne una giornata a raccontarmi tutti i dettagli di quell’impresa – portare la cassetta del secondo tempo di un film in un paesino e ritirare quella del primo tempo da un altro, su e giù per le montagne, col sole o con la pioggia – capii che era un tipo affascinante, uno che non si arrende, aggira, ci prova e ci riprova e alla fine vince.

Vede, io credo che D’Alema abbia fatto tantissimi errori e non capisca più la sua gente, come il caso Puglia insegna. In quanto a Berlusconi, il mio giudizio su di lui come uomo politico è estremamente negativo, ma almeno Silvio ha fatto qualcosa. D’Alema e quelli come lui non hanno fatto niente. Mi odiano, ci odiano e adesso si sono messi in testa che Ezio Mauro voglia diventare il leader del Pd e questo li fa impazzire, e naturalmente non è vero nulla, è una panzana pura ma se la sono messa in testa e sono scatenati contro di noi. Sono ridotti così male che hanno inventato questa leggenda.

Mi sta dicendo che è in pessimi rapporti con il Partito democratico che una volta era la luce dei suoi occhi?

No, guardo i fatti e le persone. Ad esempio, io stimo moltissimo Bersani: è stato un eccellente ministro e di lui come persona e uomo di governo posso soltanto dir bene. Ma come leader? Suvvia, è totalmente inadeguato. Lui e D’Alema stanno ammazzando il Pd, per non parlare della storia dell’alleanza fra loro e Casini in Puglia, alleanza che poi è fallita perché Vendola ha vinto sia le primarie che le elezioni regionali. Pensi quale alto livello politico.

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