Storia di una donna di sinistra alle porte di Bergamo
di Nando Dalla Chiesa
Perlita. Con quel nome un po’ Spagna e un po’ fumetto, a scuola devono averle fatto vedere i sorci verdi. Rime senza fine, battute ingenue o irriverenti. Magari non c’entra niente, ma il carattere è venuto fuori bello tosto, sotto una buccia spessa di dolcezza e autoironia. Le sarebbe difficile d’altronde, senza un carattere così, rappresentare il Pd e la voglia di cultura e scuola e civile convivenza in uno dei paesi simbolo della Lega di governo. Curno, settemila abitanti alle porte di Bergamo, ai piedi della Val Brembana. Difficile stare in prima fila dovendo tirare su da sola tre figli ormai adulti, perché suo marito Beppe, ingegnere, morì undici anni fa in un crepaccio durante un’escursione alpina.
Perlita Serra è donna di scuola. Professoressa di francese anche se la laurea in Lingue a Bergamo l’aveva presa in tedesco. “Me la sono fatta tutta la provincia. La montagna, i paesi di pianura, fino ad arrivare a Bergamo città quando ho vinto il concorso per le superiori. Poi la scuola l’ho lasciata ma mi è rimasta la malattia. Così ho fatto la rappresentante dei genitori nelle medie di Curno, dove andavano i miei figli e dove il preside era Franco Gatti, un vero maestro della scuola bergamasca. Non mi va di restare con le mani in mano, ho la partecipazione nel cuore, sono anch’io una figlia del ’68, meglio del ’69, perché le cose a Bergamo arrivarono un po’ più tardi, mentre ero al liceo. Non sono mai stata iscritta a un partito fino a che è nato il Pd, ho sempre preferito le associazioni e il volontariato”.
Un temperamento curioso, perennemente inquieto. Un giorno le è venuto pure in mente di seguire un corso dell’Università di Bergamo per diventare guida turistica. Conoscenza del territorio, storia dell’arte. Ha preso uno dei primi patentini di abilitazione rilasciati per legge dalle province. Così oggi, tra un dibattito e una riunione di partito, arrotonda portando per musei o per piazze comitive multicolori di anziani turisti stranieri. E la politica? Perlita ci ride su d’istinto, sotto un trucco leggero e capelli a caschetto. “È incominciata così. Un giorno del 2002 mi telefona Anna Maria Morelli, la vicepreside della scuola dove rappresentavo i genitori. E mi comunica quella che lei definisce una proposta indecente: stare nella sua squadra di candidato sindaco alla testa di una lista civica, ‘Insieme per cambiare Curno’. Macché indecente, non ci ho pensato un attimo, ho risposto subito di sì. Abbiamo vinto le elezioni, perché Lega e Forza Italia erano divise. Ma anche perché eravamo tante facce nuove e credibili. Che assessorato ho avuto? E me lo chiede? Istruzione e cultura, ovviamente. E sport, pure. Che in verità alla fine mi ha dato le maggiori soddisfazioni, con tutti quegli ometti a cui chiedevo pareri in umiltà assoluta perché non ne sapevo niente. È stata un’esperienza bellissima. La più grande gioia l’ho avuta nel settembre del 2006 quando abbiamo fatto una splendida festa per le strade di Curno, invase da associazioni, artisti di strada e tavolate. Robe da paese, dirà lei. Ma questo è un dormitorio alle porte di Bergamo. Mentre per me la polis è rete di relazioni visibili. Certo, poi abbiamo perso. Perché la destra si è rimessa insieme e perché soffiava il vento contro il governo Prodi, che qui si era fatto uragano. Ma io mi sono buttata lo stesso nel Pd. Sentivo Veltroni e vedevo una politica che puntava in alto. Sono stata chiamata nella segreteria provinciale da un’altra donna, Mirosa Servidati. Ora sono presidente dell’assemblea provinciale del partito. Capirà: avevo sostenuto Ignazio Marino, non venivo da nessun partito, ero pure una donna…”.
Come dire: lei lo sa con che criteri estetici si danno gli incarichi. “La formazione politica è la mia passione. Me ne ero occupata quando ero in segreteria, me ne sto occupando ora a Curno, un bel corso sulla ‘Città ideale’. Aperto a tutti, perché quella della porta aperta è la mia idea di vita. Ci partecipano in tanti, ci si è iscritta anche una consigliera leghista che viene sempre. Stavolta sulla Costituzione. Poi sarebbe bello andare sui diritti, sugli immigrati, sulle donne, sa, tutte quelle cose che bisogna fare se si vogliono perdere le elezioni… (risata monella, ndr). Che penso del Pd, vuol sapere. Qui in Lombardia, nella bergamasca, si sente disperatamente il bisogno di avere un Pd all’altezza. Con grandi obiettivi, che sappia dar fiducia in un’Italia migliore. Ci ho sperato, ci spero. Ma ho avuto molte delusioni, troppi equilibrismi, il merito che non va avanti, proprio come nel paese. Qualche volta mi sento una foglia di fico. Lo sa come lo vorrei il mio Pd? Coraggioso e generoso. Ma non lo è. Quante volte mi viene risposto ‘ma si è sempre fatto così’ e allora io mi incavolo. Noi dobbiamo cambiare la cultura anzitutto, perché a rapporti di forza politici stiamo malissimo. Senza contare che ci sono anche amministrazioni leghiste che funzionano bene. Mica a Curno, per carità, ma a Treviolo o Brembate di Sotto sì, per esempio. Sarà una bella lotta”.
E i figli? “Seguo anche loro. Li chiamo i miei gioielli: Pietro, Valentina e Giovanni. Vanno dai 28 ai 22. Forse perché sono rimasta da sola a far da capofamiglia, credo che mi ammirino; in ogni caso non mi hanno demolita. Il primo fa l’attore di teatro, la seconda un master a Lisbona sul no-profit… Proprio non abbiamo la vocazione del denaro. Guardi la mia auto, un politico leghista ne avrebbe orrore: una Fiat Punto a metano. Capisce? Piccola, italiana ed ecologica”. Parola di Perlita, antileghista nell’animo e nell’auto.
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