di Antonella Mascali
Erano già preoccupati, ma adesso lo sono ancora di più i 26 procuratori delle direzioni distrettuali antimafia al pensiero che presto sarà legge il ddl intercettazioni, firmato Alfano. Peggiorato, rispetto al testo approvato alla Camera un anno fa. Lo hanno detto all’unisono ieri in un incontro alla settima commissione del Csm.
I magistrati hanno rimarcato che il giro di vite alle intercettazioni per i reati comuni pregiudicherà i processi di mafia perché spesso le inchieste sulla criminalità organizzata e sugli intrecci con i colletti bianchi nascono da indagini su reati comuni. Quindi “non ci sarà materia per indagare poi su reati gravissimi in cui la criminalità organizzata è dentro sino al collo”.
All’incontro c’era il procuratore nazionale Piero Grasso che ha parlato anche dei pochi strumenti che hanno gli inquirenti per contrastare la mafia: ”ll nostro lavoro è difficile e spesso rispetto ai mezzi che abbiamo, i risultati sono miracolosi”.
Un altro magistrato, in prima linea nella lotta a cosa nostra, Antonio Ingroia (per l’ennesima volta minacciato di morte insieme al collega Nino Di Matteo), ha parlato da Napoli contro il ddl. Intervenendo al convegno sui beni confiscati organizzato da Libera, il procuratore aggiunto di Palermo è tornato a spendersi per far capire l’importanza delle intercettazioni nella lotta alla criminalità organizzata ma anche a un aspetto “più occulto e più insidioso della mafia: quello della grande finanza, del riciclaggio, degli affari”.
Se passa la legge, secondo il pm “Avremo una norma non efficiente e saremo un po’ più indeboliti nell'azione investigativa. L'esperienza degli ultimi anni - ha aggiunto - ha mostrato che con le intercettazioni si sono scoperti flussi finanziari di riciclaggio in Italia e verso l'estero e sono stati sequestrati centinaia di migliaia di euro”.
E ha lanciato una proposta: “Credo che sia il momento di pensare a un testo unico antiriciclaggio che possa ottimizzare il lavoro della magistratura, delle forze dell'ordine”. Ma al legislatore attuale l’unica cosa che interessa è far approvare questa legge sulle intercettazioni e in fretta. Il presidente Schifani, a scanso di equivoci, ha fatto sapere che il Senato concluderà l'esame, prima del ddl anticorruzione. La “banda della cricca” e le due inchieste a carico del coordinatore del Pdl Verdini, lo scandalo della casa con vista sul Colosseo che ha costretto Scajola a dimettersi da ministro, evidentemente sono un buon motivo per far andare avanti la maggioranza come un panzer. Perché è certo che se ci fosse già stato il giro di vite sulle intercettazioni, queste indagini non sarebbero nate. In più il ddl centra l’obiettivo di far tacere la stampa.
In Commissione Giustizia del Senato è stato approvato l’emendamento che vieta ai giornalisti di pubblicare qualsiasi atto giudiziario fino al rinvio a giudizio dell’imputato (che può avvenire anche dopo un paio di anni). Il cronista che viola la normativa rischia una multa fino a 10 mila euro e il carcere fino a 2 mesi. Se viene condannato in concorso con la “talpa” di una Procura, può essere condannato a 6 anni di carcere. Per gli editori è previsto un fortissimo deterrente: 465 mila euro di multa. Il ddl, che il centro-destra avrebbe già voluto approvare in Commissione già una settimana fa, è all’ordine del giorno da martedì a giovedì prossimi. L’obiettivo – ostruzionismo dell’opposizione permettendo - è quello di approvarlo definitivamente in Aula entro fine maggio. Il professore Rodotà, ex Garante della privacy, ha lanciato l’idea di inviare una mail ai senatori per sollecitarli a “ripensarci”.
Nessun commento:
Posta un commento