di Rita Di Giovacchino
L’elegante appartamento di via Gianturco - salone, tre camere e servizi - a due passi da piazza del Popolo non ha niente da invidiare al mezzanino dell'ex ministro Scajola con vista sul Colosseo. Ma quel che è più importante serve a chiudere la “cinquina” delle case di lusso di cui Diego Anemone beneficiava chiunque fosse utile alla sua scalata nel mondo dei Grandi appalti. Balducci, il generale Pittorru (due case), Scajola e ora Ercole Incalza, grande commisario del ministero delle Infrastrutture dove ieri sedeva Pietro Lunardi, oggi Altero Matteoli. Ma questo poco importa perché l'architetto Incalza, classe 1944, curriculum prestigioso, è uno di quei personaggi in grado di risolvere ogni problema, un po' come l'uomo con la valigia di Pulp fiction. Nessuno può farne a meno.
Per i magistrati di Perugia non è un nome nuovo. Furono proprio loro ad arrestarlo il 7 febbraio 1998, quando Tangentopoli era già finita, ma la rivoluzione dei pm proseguiva nelle procure di provincia. Nella stessa inchiesta, denominata Tangentopoli 2 - finita a Perugia anche allora per il coinvolgimento di magistrati romani - c'erano nomi importanti della “sinistra ferroviaria” e il fior fiore degli indagati milanesi. Come l'ex amministratore delegato delle Fs Lorenzo Necci, il banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia, l'ex Dc Emo Danesi, il patron della Lazio Sergio Cragnotti, i socialisti Silvano Larini e Rocco Trane. Lui, Ercole Incalza, era un dirigente della Tav. I pm perugini gli contestano il reato di corruzione per appalti nel settore della chimica e dell'alta velocità. Lo accusarono di far parte di una "struttura bene organizzata composta da manager pubblici e privati che manipolava gli appalti Tav per creare fondi extra-contabili”. In parole povere pagare mazzette. Era l'esito finale di un'inchiesta nata nel 1993, con Di Pietro a Milano, che poco dopo si dimise dalla magistratura. E poi passata a Roma dove rischiò di essere insabbiata. Tutto ciò accadeva nel 1998, ma nel 2004 quando Incalza beneficiò del bell'appartamento di via Gianturco, l'aria era cambiata. Lunardi lo aveva chiamato al suo fianco come consigliere, l'uomo cui affidare pratiche delicate come la metropolitana di Parma. I rapporti tra l'ex ministro Anemone, Balducci e l'intera “cricca” sono agli atti dell'inchiesta sulla Protezione civile. Quale ruolo vi abbia avuto Incalza ancora non è chiarissimo, ma è proprio in quel periodo che il “tecnico” fa la sua ascesa nelle stanze del ministero delle Infrastrutture, dove diventa “indispensabile”. Tanto che Matteoli al suo ingresso decide di affidargli un ruolo di vertice di cui ora potrebbe essere chiamato a rispondere.
Sembra sia proprio questo l'incubo di Berlusconi: due ministri nel mirino della magistratura e lui “ribaltato” come nel '94. Balducci, Scajola, Pittorru e ora Incalza. Il meccanismo è identico, affari d'oro per tutti.
In questo caso siamo di fronte a un regalo da 560 mila euro, con il contante trasformato in assegni da 10 mila euro ciascuno, presso la solita filiale "Deutsche Bank" di largo Argentina. Anche il notaio, Gianluca Napoleone, è lo stesso. E come le sorelle Papa per il mezzanino di via Fagutale, anche i coniugi De Carolis proprietari di via Gianturco accettano di vendere in nero. Il prezzo reale è di 900 mila euro, ne viene dichiarato meno della metà, 390 mila euro. Al resto ci pensa Anemone. L'intestatario Alberto Donati, 52 anni, originario di Montevarchi, residente a Spoleto, è marito della figlia di Incalza. Alla Finanza ha detto: ”Cercavamo casa, mio suocero mi disse di rivolgermi all'architetto Zampolini”. Ancora lui.
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