Perché possano svolgersi elezioni vere bisogna prima risolvere tre questioni: legalità, informazione imparziale, nuova legge elettorale
di Paolo Flores d’Arcais
Governo tecnico? Dipende. L’emergenza che vive l’Italia è un’emergenza democratica, il passaggio già avvenuto dal malgoverno (che non sarebbe una novità, è praticamente la costante dell’ultimo mezzo secolo) al regime, e la sua rapida trasformazione in peggio (perché al peggio non c’è mai fine) attraverso innesti già programmati di vero e proprio fascismo, come la legge sulle intercettazioni che garantisce la galera ai giornalisti ancora giornalisti (il loro mestiere sarebbe infatti informare) e impedisce ai magistrati di indagare seriamente su tutti i reati per i quali le intercettazioni sono “conditio sine qua non”, calpestando con ciò il dettato costituzionale della “obbligatorietà dell’azione penale”.
Da questo avvitamento antidemocratico, i cui modelli sono del resto due fraterni amici di Berlusconi, Putin e Gheddafi, l’Italia non uscirà certo grazie all’opposizione, secondo il modello dell’alternanza in uso nelle democrazia liberali europee anche le più malmesse, visto che da noi l’opposizione è un simulacro, ha la consistenza dei lemuri, non agisce e neppure parla, qualche volta semmai pigola e cinguetta, tranne quando i gerarchetti sopravvissuti si insolentiscono (obliquamente) l’un l’altro.
Dalla morta gora della ruberia di cricche e caste l’Italia perciò uscirà, se uscirà anziché finire in un precipizio di stile greco, solo attraverso la crisi interna dell’attuale maggioranza di malgoverno. Crisi della quale si vanno accumulando motivi e sintomi ma per la cui apertura manca ancora l’ingrediente irrinunciabile, un barlume di coraggio e di coerenza tra il dire e il fare di una fronda, quella di Fini e dei “suoi” (non sappiamo quanti), che fin qui da brava fronda si è limitata a stormire. Se in politica valesse la regola di una razionalità anche minima, la crisi dovrebbe aprirsi sul federalismo o sulla giustizia, visti gli appelli alle ragioni della nazione e della legalità repubblicana che lo stormire di Fini e dei suoi ha replicato in ogni trasmissione tv. Ma l’incidente scatenante potrebbe invece avvenire sulla proverbiale buccia di banana di una questione assolutamente minore, come pure il governo potrebbe continuare a malgovernare per i prossimi tre anni senza inciampare mai nell’auspicabile (per quel che resta della nostra convivenza civile) capitombolo di un voto sfavorevole che costringa il caimano alle dimissioni. Qualora il fausto evento accadesse davvero, però, il problema posto ipoteticamente dall’immarcescibile Pier Ferdinando Casini, e sdegnosamente snobbato dal suo alter ego di partitocrazia Walter Veltroni, diventerebbe la non aggirabile questione del giorno. Nella speranza che gli eventi ci sorprendano dal punto di vista del calendario, proviamo a discuterne per non trovarci “sorpresi” politicamente, dovesse una volta tanto accadere il meglio e non il peggio.
Quel giorno, infatti, il dilemma sarebbe proprio: elezioni o governo di transizione? Dipende. Le due cose, a voler essere dei democratici coerenti, non sono infatti in contrapposizione ma anzi debbono integrarsi necessariamente. Perché per “elezioni” dobbiamo intendere delle elezioni democratiche, mentre quelle che si dovessero svolgere “sic stantibus rebus” assomiglierebbero all’accezione di democrazia cara al caro amico Putin.
Tre sono infatti le questioni da risolvere preliminarmente, perché possano svolgersi delle elezioni democratiche non solo di nome ma, approssimativamente almeno, anche di fatto. Legalità, informazione imparziale, nuova legge elettorale.
Già nelle passate elezioni la situazione dei media era di uno squilibrio ingiurioso in sé e offensivo per i criteri minimi di qualsiasi democrazia occidentale (non a caso siamo stati retrocessi al 72° posto, come paese dove l’informazione è solo “parzialmente libera”). Nel frattempo l’occupazione “manu militari” dell’etere è minzolianamente proseguita con gli stivali delle sette leghe, e dovesse passare la legge sulle intercettazioni saremmo addirittura alla fascistizzazione “in progress”. Perché ci siano elezioni democratiche, perciò, è inutile continuare a nascondersi dietro un dito: bisogna liberare l’etere (bene comune esattamente come l’aria) dall’attuale manomorta berlusconiana, dall’esproprio feudale compiuto in nuce un quarto di secolo fa con la legge Mammì e perfezionato anno dopo anno (la voracità del caimano c’era già tutta, bella e squadernata). Questo in primo luogo.
Ma bisogna anche garantire che valga il principio “una testa un voto”, anziché quelli alquanto incompatibili con la democrazia liberale che suonano “una pallottola un voto”, “una bustarella un voto”, “un ricatto un voto”, che sono invece ormai una presenza dilagante nell’Italia devastata da mafie, corruzione e altre lepidezze per le quali l’impunità di regime è sempre più garantita. Il che significa, se non si vuole affrontare un cancro con l’aspirina o peggio l’omeopatia, che si tratta di tornare alla situazione legislativa del ’92, abrogando con un sol tratto di penna tutte le norme, troppo spesso bipartisan, penali e procedurali, che hanno regalato ai delinquenti ogni ben di Dio impunitario e a magistratura e polizia frustranti e punitive camicie di forza.
Dando vita, infine, a una legge elettorale, uninominale o proporzionale (o mista) che sia, ma rispettosa del principio di rappresentanza, oltre che dell’obiettivo della governabilità. La quale ultima, come è noto, la sanno raggiungere anche le dittature.
Quando parla di governo tecnico, Casini ha in mente queste misure, preliminari ad un ritorno alle urne? Sarebbe allora opportuno chiamarlo con il suo vero nome: governo di lealtà costituzionale. Casini però pensa a qualcos’altro, tutto interno alla Casta e ai suoi maneggi. Non è un buon motivo, comunque, perché questo “governo di lealtà costituzionale” non sia fin da ora l’obiettivo e il “tormentone” di ogni democratico.
Nessun commento:
Posta un commento