di Luigi Morsello, Roberto Ormanni e Irene Testa *
UNO
Ogni estate esplode il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri italiane. O meglio, ogni estate torna la paura delle rivolte.
La memoria corre agli inizi degli anni ’70, quando il fenomeno tragico del terrorismo iniziò a flagellare l’Italia e i detenuti colsero l’occasione per richiamare l’attenzione, attraverso le sommosse, sulla necessità di nuovi diritti.
L’iniziativa partiva sempre dai grandi carceri giudiziari: San Vittore, Regina Coeli, Poggioreale, l’Ucciardone, per poi propagarsi a macchia d’olio negli altri istituti penitenziari.
Reclamavano la riforma del Regolamento carcerario del 1931 e, soprattutto, l’applicazione dell’articolo 27 della Costituzione, pietra miliare dell’esecuzione penale nell’ordinamento giuridico italiano.
Non stavano lì a pensarci troppo, i disordini nelle carceri divennero endemici.
Non comprendevano però (in quel periodo erano in molti a comprendere poco) che questi fenomeni, nelle intenzioni destinati a sollecitare il legislatore, in realtà aggravavano l’allarme sociale e quindi la pubblica opinione (all’epoca c’era ancora una pubblica opinione) che a sua volta condiziona il legislatore.
L’ordinamento penitenziario varato nel 1975 fu così mutilato di un istituto giuridico, il più importante per riportare la calma nelle carceri: il permesso premiale. E come in una spirale, i disordini, causa della mutilazione, trovarono nuova linfa diventandone effetto fino agli inizi degli anni ’80, spegnendosi più o meno in concomitanza della sconfitta graduale del terrorismo.
Nel 1986 la legge “Gozzini” richiamava in vita l’istituto del permesso premio. Da quel momento in poi le proteste dei detenuti tornarono nei limiti fisiologici e individuali.
I permessi premio non venivano concessi a chi subiva sanzioni disciplinari e non partecipa attivamente all’osservazione scientifica della personalità.
Non ci sono più stati episodi di rivolte generalizzate. È accaduto che una singola sezione abbia inscenato qualche protesta, ma solo per singoli episodi di intolleranza da parte, va detto, di elementi del personale di sorveglianza un po’ troppo suscettibili.
I direttori delle carceri constatavano, con sollievo, che il sovraffollamento non produceva più effetti di concausa delle rivolte.
Inoltre, periodicamente venivano varati leggi di amnistia e indulto, al duplice evidente scopo di alleggerire il carico di lavoro della magistratura e dell’esecuzione penale.
Appare però incomprensibile che il legislatore non sia mai intervenuto a eliminare le cause strutturali del sovraffollamento.
In ogni caso, l’amministrazione stava dando corso a un programma ventennale di costruzioni di nuovi istituti penitenziari, sulla base di progetti fotocopia, che sostituivano vecchie strutture.
Questo programma fu rallentato da molti episodi di corruzione e da una gestione dei progetti che metteva in secondo piano i rilievi idrogeologici del territorio su cui i nuovi carceri venivano costruiti.
In un caso, l’intero muro di cinta con garitte camminamento di ronda per la sorveglianza armata, è affondato totalmente nel terreno.
Tuttavia, anche il numero dei posti letto cresceva, anche se in modo non direttamente proporzionale alla quantità di finanziamenti.
L’errore fondamentale è stato quello di avere abbandonato il sistema di celle ampie a più posti per privilegiare quello delle celle singole, in un malinteso rispetto delle regole minime dell’ONU del 1955, che però non stabilivano lo spazio vitale per ogni detenuto e utilizzavano ancora la parola dormitorio.
Successivamente, il Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti Inumani o degradanti (CPT) ha individuato in 7 metri quadrati per detenuto “la superficie minima auspicabile per una cella detentiva”( 2° Rapporto di attività del CPT per il periodo 1 ° gennaio al 31 dicembre 1991).
I progetti di nuove carceri prevedevano 12 metri quadrati per cella singola, compresivi dei servizi sanitari essenziali, più di quanto individuato dal CPT.
Eppure un nuovo errore era in agguato: sono mancati studi di settore che determinassero la curva di tendenza dell’accrescimento della popolazione carceraria nel tempo, studi da tenere continuamente aggiornati.
Il risultato è (dovrebbe essere) sotto gli occhi di tutti: oggi in 12 metri quadrati nelle celle vivono tre detenuti (siamo scesi ben al di sotto dei 7 metri quadri per detenuto “auspicati” nel 1991) e fortuna che non ve ne possono essere ammassati di più, visto che l’altezza dei soffitti non supera i 2 metri e 70 centimetri.
In queste celle infatti si possono sovrapporre solo due brande, diversamente da quanto accade nei vecchi istituti penitenziari, dove i soffitti sono a 3 metri e 20 e si possono “incastellare” tre, talvolta quattro letti. Con il risultato di cadute notturne, fratture multiple e, talvolta, morte del detenuto, come è accaduto di recente.
DUE
La legge 241/2006 è l’ultimo provvedimento di indulto varato per far fronte al sovraffollamento. La maggioranza è stata molto ampia, votarono contro soltanto l’Italia dei valori, la Lega Nord e Alleanza nazionale. Ancora una volta le carceri si svuotarono. Le recidive dei detenuti che beneficiarono dell’indulto, al solito, furono insignificanti, ma amplificate dal partito del NO all’indulto, che però non proponeva nulla di significativo per eliminare le cause del sovraffollamento, salvo costruire nuove carceri.
L’allora capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, dichiarava al Corriere della sera il 17 ottobre 2007 che, tempo 18 mesi, in mancanza di iniziative significative, le carceri sarebbero state sovraffollate come prima dell’indulto, senza il quale i detenuti sarebbero stati a quella data (2007) 78.000! Lo stesso Ferrara poi esponeva la sua idea di iniziative significative: “… sul piano amministrativo stiamo sperimentando l' utilizzo degli agenti penitenziari per vigilare sui detenuti che hanno beneficiato di misure alternative (semilibertà, arresti domiciliari, lavoro esterno).”
E su quello legislativo? Zero.
Facile previsione quella di Ferrara, sostituito con Franco Ionta, attuale capo del DAP. Le misure ‘amministrative’ erano puramente di facciata, leggi ne venivano fatte si, ma peggioravano la situazione. Come la Bossi-Fini, nella parte in cui ammette i respingimenti al Paese di origine in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra Italia e Paesi limitrofi, che impegnano le polizie a cooperare per la prevenzione dell'immigrazione clandestina. Le navi di clandestini non attraccano sul suolo italiano, l'identificazione degli aventi diritto all'asilo politico e a prestazioni di cure mediche e assistenza avviene in mare... Senza che nessuno abbia mai osservato che salire su imbarcazioni della marina militare equivaleva a trovarsi sul suolo italiano.
I tribunali di Genova, Torino, Bologna, Ancona, Gorizia, Trieste, Milano, Terni e Verona avevano sollevato una questione sulla legittimità costituzionale della norma che prevedeva la pena della reclusione da 1 a 4 anni per gli stranieri che non rispettano i decreti di espulsione e rimangono, illegalmente, sul territorio italiano.
Ecco una nuova causa di sovraffollamento.
Quanto bastava inoltre per alimentare il clima di razzismo che è esploso in Italia, sul cui presupposto è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano, alla faccia della sbandierata superiorità della cultura giuridica risalente al diritto romano, il REATO DI CLANDESTINITÀ.
La legge introduce il reato di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. Gli irregolari si vedranno infliggere un'ammenda dai 5mila ai 10mila euro con espulsione immediata. È obbligatorio denunciare gli immigrati clandestini, ad eccezione di medici e dirigenti scolastici.
Dal sito stranierinitalia.it: “Che il reato di clandestinità non fosse in linea con la Costituzione lo si sospettava già durante l’iter parlamentare del ddl sicurezza (…) Tra le critiche ritenute rilevanti dal giudice, c’è che il nuovo reato colpisce una condizione non necessariamente sintomatica di pericolosità sociale. Sarebbe poi incostituzionale perché è retroattivo, dal momento che punisce anche chi è irregolarmente in Italia da una data antecedente l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza.
Il giudice punta il dito anche contro la mancata previsione di un “giustificato motivo” per trattenersi illegalmente in Italia. Sottolinea infine che il nuovo reato è praticamente inutile, dal momento che all’espulsione del clandestino si poteva arrivare anche con le vecchie norme del testo unico sull’immigrazione, ma caricherà pesantemente gli uffici giudiziari…”.
La Consulta ha poi respinto tutte le eccezioni, con varie motivazioni, ma una nuova questione di legittimità è stata sollevata dal giudice di pace di Lecce nel mese di maggio scorso. Ma è facile prevedere che sarà respinta anch’essa.
TRE
Il problema delle tossicodipendenze. La legge prevede sempre la sanzione amministrativa per chi detiene sostanze stupefacenti per uso personale e ha abolito la distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti” a cui si aggiunge la reintroduzione dei limiti quantitativi per poter distinguere l’uso personale dall’uso finalizzato allo spaccio.
Il governo ha fissato i “limiti soglia” massimi delle sostanze stupefacenti che costituiscono il discrimine fra ”uso personale” e ‘’spaccio” con decreto dell’11 aprile 2006 del Ministero della Salute che contiene le tabelle attuative della cosiddetta Legge Fini sulle droghe, elaborate dalla Commissione tecnica.
Le quote di stupefacente che la nuova legge sulla droga considera per uso personale e, quindi, non punibile sono: 1000 milligrammi di cannabis (circa 35-40 spinelli); 750 milligrammi di cocaina (circa 5 dosi); 250 milligrammi di eroina (circa 10 dosi); 750 milligrammi di Mdma (ecstasy, circa 5 pasticche); 500 milligrammi di anfetamina (circa 5 pasticche) e 150 milligrammi di Lsd (circa 3 “francobolli”). Il superamento di tali quote fa scattare la denuncia per spaccio.
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 39017 del 2008, ha chiarito che il nuovo testo della legge sugli stupefacenti non ha introdotto una presunzione di responsabilità penale nel caso di detenzione di sostanza stupefacente in quantità superiori a quelle previste nelle tabelle allegate al D.P.R. 309/1990 poiché la legge punisce la detenzione solo quando la sostanza appare destinata ad un uso non esclusivamente personale.
In casi del genere il giudice penale deve prendere in considerazione la quantità di principio attivo della sostanza stupefacente, le modalità di presentazione, il peso lordo complessivo, il confezionamento e il frazionamento, dovendo motivare in maniera rigorosa l’esclusione di un uso non esclusivamente personale della sostanza, pur in presenza del superamento dei limiti di soglia indicati nel decreto ministeriale. (Uso personale di sostanze stupefacenti - Martini Bolognini – studio legale –Ancona).
Qui si registrano due inconvenienti: l’abbassamento delle soglie per uso personale (un colpo di coda del governo) e la difficoltà da parte delle forze di polizia di applicare quanto la Cassazione ha sentenziato circa l’inesistenza di un, diciamo così, automatismo fra superamento della soglia di non punibilità penale e uso personale. Questa analisi accurata caso per caso, come suggerito dalla Cassazione, resta naturalmente impossibile: il caso Stefano Cucchi lo dimostra in modo lampante).
QUATTRO
La situazione attuale di sovraffollamento. Il sito del Ministero della Giustizia fornisce i dati dei detenuti alla data del 30 aprile 2010: 67.444.
Un dato allarmante, se si considera che la capienza normale è di 43.000 posti e massima raggiunge i 63.000.
Esaminando i dati precedenti la curva di tendenza sembra essere di ottocento detenuti al mese in più.
“L'allarme carceri si chiama estate. E sta per diventare allarme rosso. Non c'entra il caldo. Nemmeno l'afa. Le prigioni italiane sono una bomba a orologeria che sta per esplodere. Le celle fatiscenti di nove metri quadrati con quattro detenuti stipati dentro, tavolaccio e latrina alla turca, erano già la vergogna d'Europa. Ma oggi nemmeno bastano più. Gli spazi sono finiti. La polizia penitenziaria è poca. I soldi meno ancora. E così il rischio collasso denunciato dallo stesso ministero della Giustizia sta per trasformarsi in emergenza nazionale: se la capienza regolamentare di 44 mila carcerati è già stata superata da tempo, a marzo s'è sforata anche la tolleranza massima dei nostri 207 istituti di pena. Stringendo le celle e ammassando i detenuti al limite dell'umanità si ricavavano poco più di 66.500 posti. Quando in Italia già il 28 febbraio erano rinchiuse 66.692 persone.”
“A marzo sono oltre 67 mila e il trend non lascia speranze: ne entrano ottocento in più ogni mese.”
“Strutture vecchie, poca manutenzione, carcerati costretti a restare venti ore al giorno dietro le sbarre, senza educatori, senza lavorare, senza socializzare. Fra violenze, risse e suicidi.”
Ed ancora:” Sono oltre 30 mila gli imputati che restano dentro solo poche ore e la statistica dimostra che il 30 per cento di loro sarà assolto.”
“A dare il colpo di grazia a un sistema già sotto stress è stata la Bossi-Fini. Con il risultato che quasi 25 mila detenuti sono, in questo momento, stranieri. Molti di loro vengono arrestati e spesso rilasciati nel giro di poche ore. Il risultato è che in alcune regioni il numero dei carcerati è doppio rispetto alla capienza delle prigioni, proprio perché la metà sono irregolari in transito.”
Donatella Ferrante denuncia: "È dovuto al cosiddetto effetto 'porta girevole', il turn over di stranieri arrestati perché privi di documenti e poi rilasciati: un viavai tanto oneroso per lo Stato quanto inutile per la collettività".
I rimedi governativi: ”Il ministro della Giustizia Angelino Alfano aveva annunciato a gennaio un piano edilizio per costruire penitenziari. La previsione è di investire 1,4 miliardi di euro per 24 nuovi istituti, da realizzare con l'ormai collaudato sistema dell'emergenza, sotto l'egida della Protezione civile di Guido Bertolaso. Proprio com'è stato per il G8 della Maddalena. Si partirà con 700 milioni e nuovi padiglioni per espandere le strutture già esistenti. Edifici che dovrebbero garantire 21 mila posti in circa sei anni. Peccato che, anche se i cantieri partiranno davvero e rispetteranno i tempi, da soli serviranno a ben poco. Basta un viaggio dentro l'inferno quotidiano delle galere stracolme per capire che il problema non è di strutture.” (Bomba carceri – Tommaso Cerno –L’Espresso – 10.4.2010)
Si è a conoscenza che nella casa circondariale di Pavia è in corso la realizzazione di un nuovo padiglione, di 350 posti, utilizzando la superficie del campo sportivo detenuti, che quindi sparisce.
A questo proposito, basti pensare che già questo carcere ha una capienza di 400 posti (2 letti monoposto sovrapponibili per ogni cella), alla fine avrà una capienza di 750 posti, con la conseguenza che l’apparato tecnico-amministrativo del carcere non sarà in grado di far fronte alle necessità di 750 detenuti.
Così sarà anche nelle altre carceri in cui sono in corso analoghe costruzioni: 47 per una spesa di 500 milioni di euro e la previsione di ultimazione entro la fine del 2010. (Edilportale.com – 7.4.2010).
È inoltre prevista la costruzione di nuove carceri, 13, per la spesa di 1,1 miliardi di euro.
Infine, l’assunzione di 2.000 agenti di polizia penitenziaria. Bene: nessuno osserva che al 2001 (D.M. 8.2.2001) l’organico è di 44.406 unità, al 31 gennaio 2009 la forza presente è di 39.156. Dunque, le ‘nuove’ assunzioni non coprono nemmeno il ‘turn over’ naturale.
La previsione è che con un tasso di incremento di ottocento detenuti al mese bel 2012 si sfiorerà la quota di 100.000 detenuti.
Facendo un po’ di conti, ammesso che l’incremento di posti del piano di edilizia carceraria sarà pari a 21.000, aggiungendoli alla capienza normale (43.000 posti) si arriva a 64.000 posti; se invece si aggiungono alla capienza massima (63.000 posti) si arriverà a 84.000 posti.
Com’è di tutta evidenza, la situazione dovrebbe far tremare le vene e i polsi al ‘commissario straordinario’ Franco Ionta e più in su al Ministro della Giustizia e al presidente del Consiglio, che si presenterà alle elezioni politiche generale del 2013 con questo sfacelo.
CINQUE
I rimedi. Della Bossi-Fini e del reato di clandestinità si è già detto. Si deve aggiungere che entrambi sono a nostro giudizio un gigantesco inganno, del tutto improduttivo di effetti sul piano pratico, salvo quello di sovraffollare le carceri. Infatti, vi sono solo due accordi con paesi esterni alla UE per il rimpatrio di detenuti stranieri, a fronte di 140 paesi stranieri dai quali provengono.
Dunque di che si sta parlando?
E veniamo al codice penale.
Qui parla Bruno Tinti, già procuratore aggiunto della Repubblica di Torino, che scrive su IL FATTO QUOTIDIANO del primo febbraio 2010: “L’efficienza della giustizia italiana è inferiore a quella del Gabon; così ha detto il Procuratore Generale della Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario … Codice e leggi penali italiani sono infarciti di reati inutili. Qualcuno può spiegare perché chi guida senza patente o in stato d’ebbrezza (che non significa che un ubriaco ha investito qualcuno; significa che guidava dopo aver bevuto un bicchiere di troppo) deve essere punito con una pena criminale? Cosa cambierebbe se la stessa pena (sempre di soldi si tratta) venisse inflitta dalla Polizia Stradale che lo ha beccato? Sequestro immediato della macchina, il malcapitato resta a piedi, paga 1000 euro di multa e chiasso finito. Si arrangi lui a tornarsene a casa, magari in piena notte e sotto l’acqua. Sarebbe un intervento molto più efficace, rapido, dissuasivo rispetto a quanto succede in Italia: denuncia in Procura, il PM richiede il decreto penale (sempre per 1000 euro), il GIP lo emette, il non patentato o l’ubriaco si oppongono, quindi si fa un processo in Tribunale, uno in Corte d’Appello e uno in Cassazione con definitiva sentenza di assoluzione per essere il reato estinto per prescrizione. Lo stesso ragionamento vale per la sosta con l’utilizzo di tagliandi di parcheggio falsificati, l’omesso versamento di ritenute INPS e di imposta, l’omessa esposizione della tabella dei giochi leciti, il soggiorno illegale nel territorio dello Stato (10.000 euro di ammenda!; ma vuoi mettere l’alto contenuto ideologico) e una miriade di altri pseudo-reati che dovrebbero essere sanzionati in via amministrativa, pagando una multa, proprio come si fa per la sosta vietata. Invece noi utilizziamo il processo penale, cioè quello strumento costoso e lunghissimo che si adopera per gli omicidi e i traffici di droga. È ovvio che in questo modo le risorse economiche, materiali e umane che il Paese destina alla giustizia penale sono sprecate e che, mentre si fanno questi processi inutili, i delinquenti veri, con colletti bianchi e neri, ne fanno di tutti i colori.”
Insomma, i reati ‘inutili’ sono circa 200, ma una riforma del codice penale è di là da venire, l’ultimo testo consegnato al ministro della giustizia “pro-tempore” Clemente Mastella giace in un cassetto ministeriale, come i precedenti progetti.
SEI
Non se ne esce fuori. Non ci mezzi e strumenti in grado di produrre effetti deflattivi immediati.
Quest’estate il Parlamento chiuderà per ferie: tutti al mare!
Ma un mare di sudore e un caldo soffocante attendono i detenuti stipati come sardine.
L’unico rimedio efficace e rapido è un nuovo provvedimento di indulto. (Pronunciamola la parolaccia!).
È già tardi per rimediare, anche con un iter parlamentare accelerato, una corsia preferenziali e l’accordo governo-opposizione.
Prima che l’indulto diventi legge dello Stato e vada a regime l’estate sarà bell’e passata. Ma un conto è se i detenuti hanno la certezza del provvedimento di clemenza, un conto se tale certezza degrada al rango di semplice speranza.
In tal caso, se anche quest’estate l’amministrazione penitenziaria e il governo la faranno franca, sarà un vero e proprio miracolo.
*Segretaria dell’Associazione “Il detenuto Ignoto”
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