Scontro istituzionale con Schifani che si infuria Ma rimanda il testo in Commissione
di Sara Nicoli
“Ho dei dubbi”. Tre parole per dire: il ddl intercettazioni, così com’è, non passa. A costo di fermarlo io. Gianfranco Fini, da Santa Margherita Ligure, dichiara guerra alla legge bavaglio, schiera le sue truppe per contrastare questo ddl al Senato e promette che alla Camera ci metterà del suo per fare in modo “che il Parlamento rifletta ancora su quel testo”. A meno che non venga modificato. E forse succederà così visto che poi, come anticipato due giorni fa dal Fatto, il testo tornerà in commissione per un ulteriore approfondimento. Ma intanto le parole di Fini hanno scatenato il finimondo.
Il presidente del Senato le ha prese davvero male, anzi malissimo, un intervento a gamba tesa sui lavori della sua Camera che non è quella di Fini: “Non mi sono mai occupato – è la replica stizzita – di dare valutazioni politiche in merito ad argomenti all’esame dell’altro ramo del Parlamento”. Contro-replica di Fini: “Non rinuncio al mio ruolo politico; sulle questioni relative alla legalità e all’Unità nazionale non ho intenzione di desistere”. Ultima parola per Schifani: “Voglio garantire un ruolo di terzietà”.
Lo scontro istituzionale è conclamato. E pare anche di quelli che si annunciano definitivi. Fini “dà giudizi politici e di merito – lo rampogna Schifani – su argomenti che stiamo esaminando noi”, un fatto intollerabile che convince ad uscire allo scoperto anche Sandro Bondi: “L’intervento di Fini non solo è inutile, ma anche dannoso”. Così, quella che doveva essere una battaglia parlamentare senza esclusione di colpi tra maggioranza e opposizione, con quest’ultima decisa ad andare fino in fondo pur di bloccare tutto, si è trasformata nell’ennesima puntata della lenta – ma inesorabile – dissoluzione della maggioranza intorno all’ennesima legge ad personam. Al punto da far usare al presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, un’espressione di sincero compiacimento: “Siamo molto soddisfatti; Fini, poi, è d’accordo con me”. In effetti, l’affondo di Fini è arrivato mentre in aula al Senato si discuteva il testo. Il vicecapogruppo del Pd, Luigi Zanda, aveva chiesto a Schifani di rinviare il testo in commissione Giustizia perché “ci sono emendamenti importanti della maggioranza con novità consistenti”. Stessa richiesta di Idv e Udc. Le parole del presidente della Camera hanno portato scompiglio tra i banchi della maggioranza a Palazzo Madama. Seccato lo sguardo di Maurizio Gasparri al pari di quello di Gaetano Quagliariello che ha sparato subito a zero in direzione di Montecitorio: “Fini ha un conflitto d’interessi che deriva dal doppio ruolo di capo della minoranza e presidente della Camera; ha tutti gli strumenti per superarlo”. Par di capire che Fini questo “gap” tra i due ruoli lo voglia superare a modo suo. Oggi riunirà i suoi fedelissimi, a partire da Italo Bocchino passando per Fabio Granata fino ad arrivare a Giulia Bongiorno che terrà in mano le redini del provvedimento quando arriverà in commissione Giustizia alla Camera.
Tre i punti su cui si focalizzano i dubbi di Fini: “La norma transitoria che contrasta con il principio di ragionevolezza, mi inquieta un po’ anche il limite dei 75 giorni e le parti sulle intercettazioni ambientali che così diventano impossibili”. Fini, insomma, la vuole smontare la legge così come la vuole Berlusconi. Schifani lo ha capito perfettamente. E per evitare il peggio, ovvero che il testo che uscirà dal Senato (si ricomincia a parlarne in aula l’8 giugno) venga modificato nuovamente alla Camera, obbligando ad una quarta lettura, ha previsto il ritorno in commissione: "Un pit stop ai box", secondo Gasparri. Invece è molto di più.
Lo ha chiarito, con un discorso dai toni a tratti commoventi Sergio Zavoli. Tre cartelle per dire che “la democrazia va difesa ogni giorno” e che il punto più alto di questa è “una parola alta, che va detta e udita in nome della responsabilità che essa esige, così solenne che si stenta a ripeterla senza qualche imbarazzo, ma la libertà, cui tutti dobbiamo richiamarci, è la prima a dar vita alle nostre speranze di non essere sconfitti dalle nostre sordità o dalla nostra rassegnazione; pronunciamola dandole un fondamento comune, è la sola che nessuno può pronunciare solo per se stesso”.
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