venerdì 4 giugno 2010

I sacrifici necessari


CRISI ECONOMICA, SCENARI POLITICI

I sacrifici necessari

Quando vinse le elezioni due anni fa si dava per scontato che il Cavaliere sarebbe arrivato saldo in sella a fine legislatura.
Io sono stato tra i pochi dubitosi perché prevedevo (il 12 novembre 2009) che il successo di Bossi avrebbe creato un Pdl troppo concentrato al Sud e quindi in conflitto di interessi con il Nord. Nel frattempo gli economisti si sono finalmente accorti — in colpevole ritardo —, di aver allevato una perfetta catastrofe economica. Berlusconi ha fatto il sordo finché ha potuto, ma oramai ammette che la crisi c’è e così si trova anche lui impigliato in problemi che non ama e che non conosce. Sì, l’economia domestica, l’economia della sua «masserizia» (come la chiamava Leon Battista Alberti) il Nostro la conosce a perfezione; ma del resto, dello Stato e del suo bilancio, si deve occupare Tremonti, non lui. Sulla «stangata» si è defilato e se ne chiama fuori adducendo, poverino, di non avere «poteri», quasi fosse il prestanome di chissà chi. Però, bravo.

Finora gli va riconosciuto di essersi mosso con impareggiabile astuzia. Ma siamo soltanto all’anteprima della vicenda. La stangata è stata soltanto preannunziata, ed è ancora materia di trattativa e di ritocchi. A tutt’oggi si discute e basta. Ma i tagli della stangata arriveranno prestino, perché per l’euro e per l’Europa noi siamo importanti. Fino a pochissimo tempo fa l’Italia rischiava di precipitare nel gruppetto dei cosiddetti pigs, la sigla o l’acronimo per Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna: appunto, i Paesi sull’orlo del collasso. Però, salvo uno, Paesi di secondaria importanza. La Grecia ha 11 milioni di abitanti, il Portogallo 10 milioni, e l’Irlanda appena 4 e mezzo. Dei quattro pigs (vuole il caso che la parola significhi in inglese «maiali») il caso allarmante è la Spagna: 45 milioni di abitanti e, da sempre, di alta disoccupazione.

L’Italia, allora. Come reagirà il Paese quando la mannaia comincerà davvero a decapitare? Con ragionevole, seppur dolentissima rassegnazione, oppure con un crescendo di ribellismo? Beato chi lo sa. Nelle emergenze la dottrina prevede tre soluzioni. Primo, un «governissimo», detto di solito governo di unità nazionale, un governo con tutti dentro. Secondo, una grosse Koalition alla tedesca, un governo dei partiti maggiori, o comunque di una larga maggioranza compatibile, e cioè in grado di mettersi d’accordo, di volta in volta, sui provvedimenti necessari e urgenti. Infine, terzo, un governo tecnico (pur sempre sottoposto, s’intende, al controllo del Parlamento) i cui dicasteri sono affidati a tecnici invece che a politici di mestiere.

Queste soluzioni sono ovviamente molto diverse, ma sono legate da una logica comune. Se tutti i governanti impongono decisioni impopolari, e anzi le stesse misure impopolari, l’elettorato non sa più chi punire. O il castigo popolare si distribuisce più o meno a caso, oppure si attenua: se la stessa stangata viene appioppata da tutti, può darsi che sia davvero inevitabile. La formula tedesca della più larga coalizione possibile è la più razionale ma resta esposta ai ricatti degli estremisti che ne restano fuori. È pertanto la più rischiosa per chi governa.

Giovanni Sartori
02 giugno 2010

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