di Marco Travaglio
Una delle riforme più urgenti in materia di giustizia dovrebbe essere l'obbligo di informarsi prima di parlare di giustizia. Il dibattito sulla legge-bavaglio rivela il problema dei problemi: chi parla non sa di che parla. Pigi Battista del "Corriere della Sera" deplora ad "Annozero" che le norme attuali abbiano permesso di screditare Francesca, la massaggiatrice del Salaria Sport Village che diede la famosa "ripassata" a Bertolaso, spacciandola per una escort. Ma chi ne ha pubblicato il cognome, rendendola identificabile, è già punibile per la legge sulla privacy del 1996 che consente alla vittima di denunciare il colpevole al Garante, il quale può pure agire motu proprio: accertata la lesione, scatta il procedimento penale in Procura. Dunque per tutelare Francesca e le altre non occorrono nuove leggi: bastano quelle esistenti.
Battista chiede "limiti precisi" per evitare che "s'intercettino tutti per sempre". Forse non sa che già la legge attuale impone limiti strettissimi (infatti le persone ascoltate sono appena 15-20 mila all'anno): le intercettazioni possono essere disposte dal gip su richiesta del pm solo per i reati puniti dai 5 anni in su, più quelli contro la pubblica amministrazione, il contrabbando, le armi, la droga, l'usura, l'insider trading e l'aggiotaggio. E solo se esistono "gravi indizi di reato" e se intercettare è "assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini".
Ogni 15-20 giorni il pm deve chiedere al gip il permesso di proseguire, altrimenti deve mollare lì. Il selvaggio Far West descritto da questi signori esiste soltanto nella loro testa confusa. Sempre ad "Annozero", il finiano Italo Bocchino ha evocato il problema dei costi: "Lo Stato ha debiti con le società che intercettano per 500 milioni". Forse non sa che ciò deriva da una scelta politica dissennata: lo Stato subappalta il servizio a privati (come quello che donò a Berlusconi l'intercettazione segretata Fassino-Consorte) e paga tariffa piena alle compagnie, che incassano due volte la bolletta di ogni telefonata intercettata: dall'utente controllato e dallo Stato che lo controlla. Basta imitare Francia e Germania, che impongono alle compagnie concessionarie pubbliche di rendere servizio gratuito, e non si spende più un euro.
Per Piero Ostellino ("Corriere della Sera") "la responsabilità primaria" della "divulgazione di migliaia di intercettazioni... non è dei giornalisti, ma dei magistrati che buttano sul mercato dell'informazione, come merce da vendere al migliore offerente, notizie che nulla hanno a che fare con le indagini". Ma i magistrati sono obbligati a depositare alle parti (non a "buttare sul mercato") tutte le intercettazioni per un principio garantista, altrimenti gli indagati sospetterebbero una selezione tendenziosa per nascondere le parole utili alla loro difesa. Invece i giornalisti non sono obbligati a pubblicare tutto. Se non vogliono sputtanare Francesca, possono benissimo non parlarne, oppure ometterne il nome.
Informare non è facile. Ma informarsi non è impossibile.
(03 giugno 2010)
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